Finisce dopo sette anni l’odissea di Dennis Cavatassi

E’ durato sette anni il calvario di Denis Cavatassi, l’imprenditore di Tortoreto arrestato nel marzo 2011 con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio del suo socio d’affari, Luciano Butti, in Thailandia, e condannato alla pena di morte, in primo grado e in appello. A ridare vita a Cavatassi e’ la Corte suprema che lo ha assolto. L’agronomo era arrivato nel paese del sud-asiatico nel 2009 e qui aveva conosciuto Luciano Butti, proprietario di una guest house nelle Isole Phi Phi, distrutta dallo tsunami. Cavatassi da’ una mano nella ricostruzione diventando socio di Butti. Il 15 marzo 2011 Butti viene a ucciso a colpi d’arma da fuoco: vengono arrestati tre thailandesi, tra cui un cameriere che lavorava nel ristorante gestito da Cavatassi. Un elemento sufficiente per la polizia thailandese per accusare Cavatassi di essere il mandante dell’omicidio, senza spiegare il movente, e arrestarlo. Nelle lettere inviate al fratello, Cavatassi ha raccontato il tempo trascorso in “un carcere medioevale”, per almeno un mese a mezzo con i ceppi ai piedi e una catena fissata al muro: “In 200 in uno spazio che puo’ contenerne meno della meta’, se di notte mi giro su un lato non trovo piu’ lo spazio per rimettermi supino. Ho ancora davanti agli occhi e nelle narici le condizioni igieniche assolutamente indegne di questo luogo. Una vergogna”. Cavatassi defini’ la sua vicenda kafkiana: fu lui stesso a presentarsi alla polizia per aiutare le indagini, finendo invece in manette; in due occasioni, liberato su cauzione, avrebbe potuto tentare di fuggire, e invece e’ rimasto, “sorretto dalla incrollabile fiducia che la verita’ alla fine sarebbe emersa”, spiegava il fratello Adriano. “Le circostanze del primo arresto di Denis sono a dir poco anomale”, aveva ribadito la legale Alessandra Ballerini  “visto che al suo interrogatorio non hanno preso parte ne’ un avvocato ne’ un funzionario dell’ambasciata ne’ un traduttore. E’ stato l’inizio di un incubo: nessun testimone, due sentenze di condanna condensate in poche paginette. Alla fine, a pesare e’ stata la convinzione dell’ufficiale di polizia titolare delle indagini la cui attendibilita’ e’ stata pacificamente accettata con una considerazione di tipo negativo, ‘non ha nulla contro l’imputato’. Tra l’altro Denis per la giustizia thailandese sarebbe il mandante dell’omicidio, ma nessuno si e’ mai nemmeno chiesto quale sarebbe il movente”.

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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