Tempi medi di pagamento della pubblica amministrazione a 104 giorni

Tornano ad aumentare i tempi medi di pagamento della pubblica amministrazione alle imprese. Lo rileva l’ufficio studi della Cgia sottolineando che se nel 2017 il compenso veniva corrisposto dopo 95 giorni dall’emissione della fattura – contro i 30 stabiliti dalla normativa europea che possono salire a 60 per alcune tipologie di forniture, come quelle sanitarie – nell’anno in corso la media e’ salita a 104 giorni. E rispetto alla media europea, in Italia i ritardi sono superiori di oltre due mesi (precisamente 63 giorni). In Spagna e in Francia ci vogliono rispettivamente 56 e 55 giorni per liquidare i fornitori. In Germania, invece, il dato e’ salito a 33 giorni, mentre nel Regno Unito si e’ attestato a 26. “Siamo maglia nera in Ue e nonostante le promesse fatte in questi ultimi anni – dichiara Paolo Zabeo coordinatore dell’Ufficio studi – gli enti pubblici continuano a liquidare i propri fornitori con ritardi inammissibili, mettendo in seria difficolta’ soprattutto le imprese di piccola dimensione che, da sempre, sono sottocapitalizzate e a corto di liquidita’. E sebbene da almeno tre anni chi lavora per il pubblico ha l’obbligo di emettere la fattura elettronica, ancora adesso il sistema informatico messo a punto dal ministero dell’Economia non e’ in grado di stabilire a quanto ammonta complessivamente il debito commerciale della nostra Pa; una situazione surreale”. Dalla Cgia ricordano che a seguito di questa situazione nel dicembre scorso la Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia dell’Unione a causa del sistematico mancato rispetto delle disposizioni europee contro i ritardi di pagamento. Secondo gli ultimi dati riportati dalla Banca d’Italia nella relazione annuale 2017, lo stock di debiti commerciali in capo all’amministrazione pubblica italiana sarebbe sceso da 64 a 57 miliardi di euro. E in attesa che il ministero dell’Economia riesca a dimensionarli con esattezza, si stima, al netto della quota riconducibile ai ritardi fisiologici (ovvero entro i 30/60 giorni come previsto dalla legge), che le imprese fornitrici vanterebbero circa 30 miliardi di crediti dalla Pa

 La Cgia ricorda inoltre che dall’inizio del 2015 ha fatto il suo debutto lo split payment. Questa misura obbliga le amministrazioni centrali dello Stato (e dal 1 luglio 2017 anche le aziende pubbliche controllate dallo stesso) a trattenere l’Iva delle fatture ricevute e a versarla direttamente all’Erario. L’obbiettivo e’ stato quello di contrastare l’evasione fiscale, ovvero, evitare che una volta incassata dal committente pubblico, le aziende fornitrici, che secondo Banca IFIS nel 2017 sono state circa 1 milione, non la versino al fisco. “La nostra Pa – afferma il segretario della CGIA Renato Mason – non solo paga con un ritardo inaudito e quando lo fa non versa piu’ l’Iva al proprio fornitore. Pertanto, le imprese che lavorano per lo Stato, oltre a subire tempi di pagamento spesso irragionevoli, scontano anche il mancato incasso dell’Iva che, pur rappresentando una partita di giro, consentiva alle imprese di avere maggiore liquidita’ per fronteggiare i pagamenti correnti. Questa situazione, associandosi alla contrazione degli impieghi bancari nei confronti delle imprese in atto in questi ultimi anni, ha peggiorato la tenuta finanziaria di moltissime piccole aziende”. Stando alle informazioni rese note dalla Ragioneria Generale dello Stato, attualmente il ministero dell’Economia ha informazioni solo sul 70 per cento circa dell’importo complessivo saldato ogni anno dalla Pa che si aggira attorno ai 160 miliardi di euro. Pertanto, ben 48 miliardi di pagamenti ancora adesso non transitano attraverso la piattaforma informatica. Pur essendo costretti a imporre per legge la fattura elettronica ai propri fornitori, moltissimi enti pubblici (almeno il 40 per cento del totale) utilizzano mandati di pagamento cartacei, non consentendo al ministero dell’Economia di certificare i ritardi e le somme non ancora liquidate. 

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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