Il 55% di pubblici esercizi, negozi e botteghe rimarrà aperto, soprattutto nelle località turistiche. Si cerca liquidità dopo un anno difficile: nel 2020 fatturato in calo per 9 su 10, oltre 50mila imprese temono di chiudere. Nord Ovest il più colpito, ma è il Sud a ripartire più lentamente Pubblici esercizi, negozi e botteghe aperti per crisi.Questo agosto, il 55% delle attività di vicinato rinuncerà alla chiusura estiva, soprattutto le attività delle Isole (68%) e del Centro (61%). A tenere le saracinesche alzate, in particolare, saranno le imprese nelle località turistiche; più chiusure, invece, fra le imprese di quartiere delle città medie e grandi, svuotate dalle ferie dei residenti. Ma saranno comunque stop di breve durata: solo 6 su 100, a livello nazionale, fermeranno l’attività più di due settimane nel mese. È quanto emerge da un sondaggio condotto da Swg per Confesercenti su un campione di attività di vicinato – commerciali, artigianali, turistiche e pubblici esercizi – in oltre 250 comuni di tutta Italia.Le imprese che rimangono aperte cercano di recuperare un po’ di liquidità dopo un anno difficile: l’89% degli intervistati dichiara di aver chiuso il primo semestre dell’anno con fatturati in netto calo rispetto allo stesso periodo del 2019, con una perdita media del 31%.Solo il 6% ha registrato un aumento, mentre un ulteriore 5% ha resistito, mantenendo un livello di vendite invariato. Dal punto di vista territoriale, a indicare le riduzioni di fatturato più consistenti sono le attività del Nord Ovest, Lombardia in testa, dove l’emergenza Covid è stata più intensa: in media, in questa area del paese, il 69% delle imprese dichiara un crollo delle vendite superiore al 30% nei primi sei mesi dell’anno.E luglio, purtroppo, non ha portato l’inversione di tendenza attesa: in media, il 74% delle imprese ha rilevato un andamento delle vendite insoddisfacente o molto insoddisfacente, mentre solo il 26% sembra aver agganciato il ‘rimbalzo’. Tra le cause delle cattive performance, gli imprenditori individuano soprattutto le restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria, indicate dal 62%. In seconda posizione, tra le problematiche più segnalate con il 21%, il generale rallentamento dei consumi. Una situazione critica che porta molte imprese a valutare la cessazione definitiva dell’attività. Il 7% lo sta già facendo: una quota che, rapportata al totale di imprese, si tradurrebbe in circa 50mila chiusure. Un ulteriore 45% teme di dover considerare la cessazione, invece, se la situazione di incertezza dovesse protrarsi.
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