
“Era una delle prime esperienze del genere- sottolinea la neuropsichiatra- e il problema principale che avevamo erano i genitori: alcuni ci venivano a dire che l’autismo del compagno si stava ‘attaccando’ al proprio figlio, sottolineandone urla e comportamenti maleducati”. È da qui che nasce l’idea della neuropsichiatra di cercare di capire come venissero percepiti i bambini autistici: “Per farlo abbiamo scelto la strada della fantasia- racconta- ossia abbiamo chiesto a ogni alunno di scrivere due storie: una dove ci fosse il proprio compagno di classe preferito e un’altra dove fosse inserito il compagno autistico. La prima storia- spiega Vizziello- ci serviva per capire il livello e le modalita’ di pensiero del bambino e l’altra per comprendere come venisse vissuto il ragazzino autistico dai suoi compagni di classe”.
Dall’esperienza dei racconti scritti dai ragazzi e’ nato un libro intitolato ‘Il bambino che regalo’ un arcobaleno. Fiabe per un compagno con autismo’. “Lo abbiamo pubblicato dieci anni dopo la chiusura del ciclo delle elementari- spiega la neuropsichiatra- raccogliendo tutti i racconti che avevano scritto i bambini e il materiale che di volta in volta producevamo. ‘Arcobaleno’ era il nome della nostra scuola”. Un libro che secondo Magda Di Renzo, responsabile delservizio Terapie IdO “andrebbe recuperato e valorizzato”. Per questo “intenzione dell’Istituto- sottolinea la psicoterapeuta dell’eta’ evolutiva- e’ rilanciare il lavoro di narrazione del volume riproponendo il progetto di far raccontare ai bambini come vedono i propri compagni con disturbi dello spettro autistico,
perche’- dice Di Renzo- a volte i bimbi possono cogliere sfumature che gli adulti non vedono”.
perche’- dice Di Renzo- a volte i bimbi possono cogliere sfumature che gli adulti non vedono”.
Ma che cosa e’ successo ai bambini della scuola ‘Arcobaleno’, ignari precursori di una grande novita’? “Li abbiamo incontrati in occasione della pubblicazione del libro, quando erano ormai maggiorenni- racconta Vizziello- e quello che ci ha colpiti e’ che tutti i ragazzi normotipici avevano scelto di intraprendere professioni che avevano in qualche modo a che vedere con la sanita’: fisioterapia, infermieristica, logopedia, psicologia ecc… Questo perche’, ci hanno spiegato, erano stati cosi’ impressionati da quell’esperienza fatta a scuola che avevano passato il tempo a chiedersi chi fossero quei compagni con cui avevano condiviso il percorso e cosa avrebbero potuto fare per loro. Quell’esperienza- sottolinea in conclusione la neuropsichiatra- gli aveva mosso qualcosa dentro”.