Lavoro all’estero, un laureato su quattro pronto a partire

Lavorare all’estero è una possibilità che sempre più professionisti prendono in considerazione, soprattutto nell’era della globalizzazione, del remote working e della continua evoluzione tecnologica. Per questo motivo, Boston consulting group (Bcg), in collaborazione con The Network e The Stepstone Group, realizza per il quarto anno di seguito la ‘Global talent survey’, un’indagine sulle preferenze di mobilità lavorativa a livello globale, che ha coinvolto 150 mila persone provenienti da oltre 180 Paesi. I risultati della ricerca, raccolti e analizzati nello studio ‘Decoding Global Talent’ 2024, evidenziano come nel 2023 un professionista su quattro (23%) abbia cercato attivamente lavoro in altri Paesi. Globalmente, il totale di coloro che sono orientati a trasferirsi all’estero si attesta al 63%, leggermente meno del 66% del 2020 e del 78% del 2018. La mobilità attiva del 2023 ha registrato un aumento rispetto al 21% del 2018 e del 2020. Il 23% degli intervistati, infatti, si è detto propenso e attivo nella ricerca di un trasferimento, mentre il 21% risulta mobile in modo passivo, quindi non attivo nella ricerca seppur disposto ad un trasferimento. Infine, il 19% considera la mobilità come ultima risorsa. Tra le mete più ambite, l’Australia si aggiudica il primo posto, un primato che nel 2014 e nel 2018 era stato degli Usa e, nel 2020, del Canada. D’altronde i Paesi di lingua inglese e con economie forti continuano a dominare la classifica: al primo posto seguono proprio Usa, Canada e UK. Successivamente troviamo diversi Paesi europei (es. Germania e Svizzera) e alcune destinazioni asiatiche come Giappone e Singapore.

A rendere attrattivi i Paesi sono il progresso professionale, ragione specificata dal 68% dei rispondenti che hanno indicato l’Australia e dal 77% di coloro che hanno indicato gli USA. Seguono fattori quali la qualità della vita, il reddito e il costo della vita, la sicurezza e la stabilità, la cultura accogliente e inclusiva, ma anche l’ambiente family-friendly, l’assistenza sanitaria, l’innovazione e la digitalizzazione, così come la facilità di accesso a processi per visti e permessi di lavoro.

Le persone provenienti da Paesi con un surplus di manodopera, dovuto a tassi di natalità più elevati, tendono ad essere più mobili rispetto a chi vive in aree con forza lavoro in diminuzione. Ad esempio, il 64% dei lavoratori in Medio Oriente e Africa è attivamente disposto a trasferirsi; di contro, si osservano percentuali molto più basse in Nord America (16%) ed Europa (10%). Interessante notare anche l’emergere di una precisa aspettativa da parte dei lavoratori rispetto ai propri datori di lavoro: il 79% degli intervistati confida, infatti, di ricevere supporto per l’alloggio, il 78% per il visto e il permesso di lavoro, il 69% per la ricollocazione, il 54% per l’adattamento linguistico e la formazione e il 44% per la consulenza legale e finanziaria. L’indagine ha riguardato un panel significativo anche in Italia, equamente distribuito tra uomini e donne, con diversi livelli di istruzione, background lavorativo e stati occupazionali, nonché situazione abitativa. È emerso che il 15% è disposto attivamente a lavorare all’estero: un dato che torna in linea con il 17% del 2018, crollando rispetto al 57% del 2020, anno caratterizzato dalla pandemia da Covid-19 e probabilmente influenzato dallo stesso fenomeno. Tra i giovani, ossia tra i rispondenti con meno di 30 anni, la percentuale sale al 20% e, per gli italiani in possesso di laurea, master o dottorato, al 24%. La meta ideale per gli italiani resta la Svizzera, seguita dalla Spagna, che guadagna interesse spodestando il Regno Unito, poi ancora da Germania, Usa, Uk, Francia, Australia, Canada, Austria e Olanda. A favorire il trasferimento all’estero intervengono ragioni quali offerte di lavoro concrete (67%) e fattori economici (66%), ma anche il miglioramento della qualità di vita complessiva (62%) e la crescita personale (55%). Invece, per chi decide di restare in Italia, il motivo principale è l’impossibilità di portare con sé familiari e/o partner (54%), seguito dal forte legame affettivo con il proprio Paese (26%) e dal costo della ricollocazione (25%).

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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