Claudia Maria Franchina: l’Abruzzo come esperienza di vita.

Claudia Maria Franchina è una scrittrice di poesie di Varese che ha intrapreso un viaggio verso l’Abruzzo come esperienza di vita. Oltre al suo libro, Cenere Organza, che costituisce la sua prima raccolta di poesie, gestisce su Instagram la pagina Voce ai Libri dove recita poesie, frammenti di romanzi e racconti.
La sua vita è votata alla scrittura, la laurea magistrale in lettere è uno dei traguardi raggiunti, quasi a voler confermare la sua vocazione per le parole.
Ho avuto con lei una chiacchierata interessante che ho trascritto con colpevole ritardo.

Iniziamo dal tuo viaggio. Come mai hai scelto l’Abruzzo?

Ero già predisposta a venire in Abruzzo, volevo vederlo. Ho colto al volo il pretesto per viaggiare grazie ad una persona con cui ho stretto amicizia: è stata in grado di farmi incontrare il presente, il passato e il futuro.

C’è stata una specie di “chiamata”?

Sì, stranamente sì. La definisco iniziazione. Anche perché ho raggiunto un traguardo che può sembrare irrilevante, conseguire una Laurea Magistrale dopo tante avventure e un forte desiderio di mollare… alla fine è stata una grande soddisfazione. A quel punto mi sono detta che era il caso di stare un po’ da sola, affrontare un viaggio che fosse una metafora e non una semplice vacanza.

Quali posti hai visitato?

Fara San Martino, Chieti, Civitella, Ortona, Pescara… Non è molto, ma in sette giorni non potevo pretendere di più.

Ti è piaciuta di più la montagna o il mare? Cosa hai trovato di diverso?

A me la montagna piace molto, e nonostante io la viva molto perché sono figlia di un padre camminatore, sono più predisposta per il mare. Amo l’acqua. Il mare ha qualcosa che mi affascina particolarmente, anche se mi fa star male: è come se emergessero improvvisamente tanti malesseri, malinconie… Non so se a te sia mai successo, a me fa quest’effetto.

Anche in questi giorni hai avuto questo malessere?

In questo periodo sto abbastanza bene, sono in equilibrio, serena.

Tu hai già scritto un libro di poesie?

Sì, Cenere Organza. È una raccolta di poesie molto brevi, molto dense. L’8 settembre uscirà una seconda raccolta, “Erebo” per i tipi Nulla Die.

Perché Cenere Organza come titolo per la prima raccolta?

_La raccolta è divisa in due sezioni. Ognuno dei due termini rimanda a queste sezioni , disposte però “chiasticamente” rispetto al titolo. Cenere si rifà alla sezione Altrove, un mondo apparentemente separato dalla nostra vita psichica più lucida, ma ben presente in noi e spesso nascosto sotto quello che resta delle emozioni e dei ricordi; la seconda parola, Organza, invece si rifà a Trame, che vorrei richiamasse non solo la trama di questo tessuto prezioso ma anche, per estensione, le trame della mia vita.
Ho cercato di delineare con tratti densi ed ermetici gli eventi che mi hanno segnato in qualche modo.
Sai, una volta ho letto un articolo su una rivista di poesia in cui il giornalista si lamentava del fatto che i poeti oggi si rifugiano in un “altro dove”, lasciando in secondo piano il confronto con temi sociali di ampia portata. Io però mi domando: come fa una persona che non conosce sé stessa, che non ha una consapevolezza del proprio io nel mondo, a creare un dialogo solido con un universo fatto di leggi, speranza, dolore e ingiustizia? Non esiste solo un modo, questo lo so bene, ma per me è stato importante sondare prima me stessa._

“La pelle calda di tremila ceri
Cucita osso ad osso
Con la foga arrugginita di un ago
Capelli di Medusa
Le labbra fuse a specchio nella cruna
Una lingua che accarezza la sete
Mi ricorda lo scotto
Che si paga bruciando”
Perché hai scelto questa poesia nel frontespizio?

Secondo me è quella che rappresenta di più il concetto della mia raccolta, ci sono tutta una serie di immagini molto importanti. Il fuoco come elemento primigenio e come passione, le emozioni che rimangono sopite e scavano all’interno dell’individuo sullo sfondo della quotidianità, così come l’immagine dell’ago e del cucitura, della trama, del ricordo…

Questa quindi è la poesia più rappresentativa. Quella in cui ti riconosci di più?

Mi piacciono molto la prima poesia, che è un distico, e la prima poesia della seconda sezione.

Quella che ha richiesto più lavoro nella stesura?

La penultima: ha una struttura fatta di distici di endecasillabi. È una riflessione su cosa significhi per me diventare adulti.

Ci sono alcuni “demoni interiori” che hanno contribuito alla stesura della raccolta di poesie?

Sì, non li ho ancora razionalizzati tutti, ma ci sono, eccome.

Scrivere è stato terapeutico per te?

Sì, scrivere mi ha aiutato parecchio a superare e affrontare molti ostacoli, è una cosa che non smetterò mai di fare.

Il tuo picco massimo di creatività l’hai raggiunto alla fine della carriera accademica?

_ Sì. Quando ero alla fine del percorso universitario ho cominciato a produrre di più virando verso un nuovo stile. Il primo libro è nato nel giro di sei mesi, stavo molto male e ho scritto abbastanza per una raccolta di poesie. Ho iniziato per gioco.
Sono rimasta colpita da una frase di Patrizia Valduga: lei diceva che spesso si inizia per imitazione. È vero, la necessità di scrivere è fondamentale, ma spesso si inizia emulando qualcuno. I primi esperimenti magari saranno goffi, colmi di ingenuità, mano a mano che si procederà invece diventeranno precisi, preziosi. Così ci si renderà conto che questo gioco è diventato molto serio, un gioco da adulti. E come adulti si va avanti, chiaramente. Non basta il talento senza la tecnica e viceversa. Ci sono molti elementi che si compenetrano e l’aspetto del gioco è quello fondamentale._

Tu chi hai iniziato ad emulare?

_A me è sempre piaciuto Baudelaire, un grandissimo esponente del simbolismo. Ho amato i suoi toni cupi, decadenti. Lui ha portato in auge una corrente che ai tempi ha colpito i lettori. Ha cercato di nobilitare l’orrore della vecchiaia, del decadimento corporale, i contesti cimiteriali, la morte. Cose che oggi sembrano quasi un tabù, vengono sminuite per via della positività malata che si tenta di diffondere a tutti i costi. Non è per tutti questo tipo di approccio, nel 2022 risulta un modo di iniziare vetusto, si cerca una poesia più luminosa, alla Szymborska, bravissima poetessa e indubbiamente affilata, ma appartenente a un flusso diverso. Ciononostante a me sembra ricorrente una peculiarità: quando l’autore scrive usa una lama sulla pagina. Perciò nelle parole dei grandi si percepisce sempre una sottile sofferenza. È il dolore che spinge a produrre, e poi…i miracoli nascono da lì: trovo che la nascita di un bambino, o in generale di una creatura, ne sia la massima prova.

Non hai utilizzato a caso la metafora della lama.

No, la scrittura storicamente è associata all’incisione perché in origine per scrivere si incideva una tavola. Lo scrittore quando scrive secondo me incide sé stesso.

E tu quando incidi te stessa lo fai basandoti su un piano studiato razionalmente o è qualcos’altro a guidarti?

Non lo so. Ho una parte razionale molto forte, sto cercando di scrivere anche in versi liberi, ma la necessità di avere una griglia in questo momento è forte. Non mi baso su un concetto di metrica estrema. Certo, mi piace tenere una versificazione rigorosa, quando posso: endecasillabi con l’accento in quarta e in sesta, settenari, ottonari… evito le rime, ma mi avvalgo delle assonanze. .

E invece quali sono i tuoi fari, i pilastri che hai come punti di riferimento per la tua attività letteraria?

_Se Baudelaire è stata la mia spinta iniziale, e l’elemento simbolico mi ha trascinata nella scrittura, cito Emily Dickinson per la sua delicatezza ed Ungaretti per l’elemento ermetico. Ci sono poi alcuni esponenti russi, come Marina Cvetaeva e Anna Andreevna Achmatova: sono autrici russe che amo particolarmente perché hanno un taglio netto e definito. Alla fine molti erano sperimentatori, la Cvetaeva ne è un esempio. Mi hanno sempre colpito questi loro slanci.
Altra fonte di grandissima ispirazione è una pittrice surrealista: Leonora Carrington. È stata anche una scrittrice di prosa -racconti brevi e romanzi-, e fu grande amica di Jodorowsky.
Il suo modo di narrare (sia pittoricamente che letterariamente) mi ha colpito tantissimo, tant’è che ogni volta che scrivo qualcosa penso a lei. La Carrington nelle sue opere riprende due temi, l’infanzia e l’orrore, e li inserisce in un’atmosfera rarefatta e perturbante. Non a caso il tema dell’infanzia torna anche nella mia raccolta. Lei davvero mi accompagna nel mio percorso letterario._

Ho letto il tuo libro, è particolare. Continuerai con questo genere?

Sto notando un’evoluzione nello stile. Mi piace molto vedere che nella poesia posso dire moltissimo con poche parole. È una specie di rivalsa contro le chiacchere che si fanno ogni giorno, dappertutto. Nella vita si parla, anche a vanvera. Nella poesia questo non può accadere.

Nelle prime pagine del tuo libro c’è una dedica.

_È dedicato a mia nonna. È stata una presenza importante nella mia vita. I nonni sono importanti per tutti, sostituiscono i genitori quando non possono esserci.
Mia nonna mi ha insegnato molte cose: oltre al prendersi cura di sé e degli altri, mi ha insegnato, senza mai dirlo direttamente, l’importanza del viaggio e del leggere scritti che trasmettono una certa profondità, dotata come di di un prisma all’interno della struttura.
Lei ha sempre tenuto nascosto di essere stata bocciata quando era una bambina, però quando divenne adulta non si risparmiò mai di crescere intellettualmente. Raccoglieva articoli di giornale, ho trovato un sacco di suoi quaderni nei quali inseriva tutto ciò che poteva essere interessante, registrava i suoi appunti quando si trovava davanti ad un documentario, leggeva i grandi classici russi… Lei ci teneva molto a conservare una traccia della sua cultura personale, di ciò che la colpiva, nonostante la riservatezza e la reticenza a parlarne._

“Morire, dormire -nient’altro- e con un sonno dire che poniamo fine al male del cuore…” come mai la frase di Shakespeare in apertura?

_ È una frase che potrebbe apparire inflazionata, ma in quel momento della mia vita l’ho sentita molto “mia”. Quel mio sentire così doloroso si è ripercosso nel modo di scrivere e nell’impulso che ho dovuto seguire. Qualcuno mi ha detto “in alcuni punti dello scritto la lettura mi ha fatto star male”._

Beh hai raggiunto l’obiettivo.

_Quella frase va interpretata, immagino, e contestualizzata al lettore, alla sua vita. Spero sempre che alla fine la persona, qualora soffrisse anche a causa delle mie parole, viva una catarsi, una purificazione.
Per me è importante essere riuscita a comunicare un dolore in poche parole. Non è facile esprimere le emozioni e in alcuni casi il troppo stroppia. Ci vuole una speciale neutralità, difficile da raggiungere quando si è dentro a una certa situazione, c’è sempre un bagaglio emotivo forte che preme per uscire._

Come ci si sente a provocare una reazione emotiva attraverso ciò che hai scritto?

_Non ci ho mai pensato. Da una parte capace di toccare delle corde potenti, dall’altra dispiaciuta, sapere di recare una certa sofferenza quando qualcuno ti legge non è il massimo. Però credo che la poesia sia anche curativa, sprigiona qualcosa di rimasto inascoltato e costringe ad elaborarlo. Mi piace l’idea che il mio libro debba essere letto con foga, ma centellinato.
Con i libri di poesia d’altronde faccio così anch’io, li leggo a piccole dosi, al massimo una decina di poesie per volta.
Non è raro che legga ad alta voce, perché mi piace ascoltare il suono che fuoriesce dalla parola, mi immedesimo nella testa del poeta. Non necessariamente ci ritrovo quello che ha seminato l’autore, spesso ci metto del mio e voglio raccogliere ciò di cui ho bisogno in quel momento._

Parli di ermetismo?

Come ho accennato prima parlando di Ungaretti, su di me l’ermetismo esercita un grande fascino, soprattutto se unito ad una vena surrealista. Amo questa corrente anche se, per apprezzare testi simili, è necessaria una lettura stratificata, che vada sempre più a fondo e al contempo libera da vincoli razionali. Cogliere l’immagine nella sua interezza, percependola con la pancia è un ottimo inizio.

In un mondo in cui le cose scritte devono essere semplici per arrivare al pubblico più ampio e vasto possibile, quale criterio puoi suggerire per leggere le tue liriche?

I lettori devono pensare di essere davanti a un quadro, è così che scrivo. Da bambina ero molto brava a disegnare, ancora oggi non ho la più pallida idea del motivo per cui non abbia fatto il liceo artistico. In ogni caso questa passione l’ho trasposta nella parola. Quelle che creo sono piccole immagini, è come se dipingessi con le parole. Questo è il mio modo di scrivere per adesso.

Scrivere cose personali non ti fa sentire esposta, messa a nudo?

Beh da un certo punto di vista sì. La cosa più divertente è che quando le persone a te vicine leggono ciò che hai dentro si preoccupano, ti chiedono “stai bene? Devi andare in terapia? Io non sapevo che stessi così male!”. Certo non ci si aspetta di essere compresi, chi scrive sa già dal principio che tutti gli scrittori sono incompresi. Ma non è un problema sconvolgente. E sinceramente sono in una fase in cui non mi interessa molto della comprensione. Tutto nasce per un gioco che diventa una necessità, e poi diventa speranza di dare qualcosa di buono, un conforto a qualcuno. Chi scrive poesie oggi lo fa per una questione di fedeltà a sé stesso, all’arte e ai pochi che amano questo genere.

Quali consigli daresti a chi oggi inizia a scrivere poesie?

Credo che una persona che abbia queste intenzioni debba leggere tanto ed essere predisposta a leggersi dentro, a conoscersi. Lo studio è necessario nella prosa, nella poesia ancora di più per una questione di consapevolezza. Oggi c’è una tendenza: scrivere in verso libero perché non si conosce la tecnica, non c’è familiarità con gli strumenti. Io di mio ho voluto puntare su questi aspetti anche grazie a due poeti, Enrico Piccinini e Luca Quattrini. Quest’ultimo ha un approccio metrico fortissimo. Anche lui è ermetico e difficile da sondare, ma ha dimostrato di scrivere con enorme consapevolezza. Sviluppare un approccio razionale alla materia permette di fare tutto ciò che si vuole. Un altro consiglio è scrivere cercando di dare spazio al fiato sospeso, non finire nella banalità, la poesia non se lo può permettere. No alle frasi da bacio perugina. Si può anche utilizzare un linguaggio semplice, discorsivo, ma dev’essere in grado di smuovere chi legge. La poesia dovrebbe andare in controtendenza al marketing, non importa se una cosa “vende”, deve contare la rarità.

È un concetto coraggioso. Come si trova spazio se si procede verso una strandardizzazione della semantica, un declino della complessità in favore di una proposta più semplice e più comprensibile?

Sappiamo bene come funzionano le tendenze, e sappiamo altrettanto bene quanto sia scarsamente diffusa la capacità di leggere adeguatamente un testo base, soprattutto tra i ragazzi e tra i bambini. È un vero e proprio impoverimento culturale e sociale. Però mi chiedo: quanto possiamo combatterlo? La società è destinata a cambiare, e noi ci troviamo in un momento non dissimile da quello che occorse nell’800, quando la gente percepiva un’evoluzione esplosiva e inarrestabile, spaventosa anche. I tempi non sono molto diversi da questo punto di vista. Inoltre l’esubero di tecnologia, dei social, della semplificazione, la necessità dell’immediatezza e di didascalie ridotte all’osso rischiano di svilire, o tradire, qualcosa di importante: il senso.

Ma tu non hai una pagina in cui leggi i libri su Instagram?

È vero, ma lì faccio una cosa diversa, e mi piace sovvertire questa dinamica. Io voglio far conoscere la bellezza di opere letterarie leggendo dei pezzi cruciali. Di tanto in tanto parlo anche del mio lavoro, l’autore che crede nella propria opera ha il dovere di sponsorizzarsi: la casa editrice lo impone in qualche modo. Ma cerco di dare spazio ad altri: cos’ho io da raccontare rispetto ad un capolavoro? Scelgo un pezzo che a mio avviso può essere bello e lo leggo, semplicemente. Per me è una specie di ritorno all’oralità, molto affascinante.

Che rapporto hai con la musicalità dei testi e che rapporto hai con la musica contemporanea?

Poesia, matematica e musica sono strettamente correlate. La metrica è legata al concetto di battitura, lo stesso che c’è nella musica. Quando una persona legge ad alta voce, se sa come leggere, può riuscire a dare risalto a certe cadenze. Banalmente la frattura del verso, l’enjambement, la sospensione tra il suono e il significato, arricchisce il testo e apre vari squarci, vari orizzonti di interpretazione. Questo si collega bene alla scelta musicale. Nella mia pagina associo sempre la lettura ad alcune musiche che, per una questione di tonalità e di ritmica possono essere armoniche, possono accompagnarmi bene nella narrazione.
_La musica contemporanea… Dipende. Se penso alle grandi mode come la musica trap, la latinoamericana che sentiamo ovunque, non credo ci sia poesia. Non voglio fare di tutta l’erba un fascio: ci sono rapper che magari sono davvero dei poeti, alcuni hanno quella capacità. Inoltre il rapper, così come il cantante, compone testi che devono stare all’interno di una metrica, una partitura, un ritmo preciso.
Tutto sta nel capire la qualità dei testi. Ci sono testi e testi.
Oggi poi sta diventando una moda la preponderanza del drum&bass nelle canzoni. A me pare suggerire una sorta di ritorno alle basi, ridurre la melodia sulla scia della massima semplificazione per “muovere il sangue”. Non per niente ascoltare concerti di percussione fa questo effetto. Credo che nella nostra cultura ci sia molto da imparare da altri popoli. Penso alla cultura africana e a quella sudamericana: hanno un concetto di ritmo molto diverso dal nostro. _

Quindi c’è un ritorno alle origini come semplificazione e allo stesso tempo un ritorno alle origini da guardare in modo ammirato?

_Apparentemente è una contraddizione. Eppure sì, io trovo che ci siano queste due spinte che stimolano il mercato e gli artisti emergenti: da una parte una semplificazione consapevole, che è un ricollegarsi alle origini e alle sperimentazioni, dall’altra una povera emulazione priva di talento.
Quest’ultimo caso vorrei avesse pochi esponenti, invece crescono come funghi divenendo spesso esempi negativi a cui il mercato si piega per esigenze econimiche._

Il messaggio veicolato dal testo è importante?

_È fondamentale, supera la metrica. Lo scopo della scrittura è dare un senso artistico a ciò che si dice.
Il testo deve essere necessariamente intelligibile? Disponibile alla comprensione immediata? Non per forza, ciò che conta è che concretizzi un riflesso emotivo, poetico, suggestivo accendendo il cervello tramite stimoli inaspettati, come accade per l’appunto con la pittura._

Alcune cose scritte posso evocare sensazioni anche senza un messaggio di fondo, come un quadro di De Chirico.

Questo è vero. Quando scrivi un messaggio in una certa forma tu lo conosci perfettamente, ma magari non vuoi metterti a nudo, non vuoi che il messaggio si spogli del suo misticismo… o magari… è il tuo inconscio che parla e tu stesso devi prenderti del tempo per capirti… Forse l’obiettivo è innanzitutto ricreare la sensazione. Il messaggio c’è sempre, ma a volte l’autore non vuole che venga espresso in maniera così esplicita. Ciò, come detto poco fa, lo associo al nostro inconscio: trasmettere un’immagine apparentemente senza alcun senso, che però è in grado di suscitare delle sensazioni. Non siamo sempre consapevoli del modo in cui funziona la nostra testa, perciò una volta accettati i suoi misteri emergono isole interiori di cui nemmeno eravamo a conoscenza.

I tuoi obiettivi nella scrittura?

Fino a che c’è qualcuno che trova qualcosa di bello nel mio lavoro continuerò a proporre. Mi piacerebbe arrivare a coinvolgere più persone in quello che scrivo. Magari quando tornerò a scrivere in prosa. Un racconto breve era stato pubblicato in un’antologia in realtà. Ora in stesura ho un romanzo scritto a quattro mani e una serie di racconti brevi sempre permeati dal surrealismo.

Mentre eri in Abruzzo hai scritto?

Sì, durante questo viaggio ho scritto, ho avuto dei flussi poetici che mi hanno costretta a fermarmi e scrivere.

Tornerai in Abruzzo?

Non sono ancora andata via e già so che tornerò. Non so quando, ma tornerò.

di R. Matteo D’Angelo

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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