Lucano e la liberta’

di Lucio Achille Gaspari*

Marco Anneo Lucano è un poeta tuttora sconosciuto al grande pubblico. Merita invece di confrontarsi con Omero. I poeti suoi contemporanei ne segnalavano la grandezza. Dante sognava di rivaleggiare con lui, gli elisabettiani, Shakespeare e Corneille lo imitarono. Shelley e Leopardi lo preferivano a Virgilio e Goethe se ne ispirò in uno degli episodi più grandiosi del Faust. Baudelaire considerava la sua opera scintillante, melanconica, lacerante, stoica. Di questo poeta, figlio del fratello di Seneca e nato a Cordova nel 39 D.C. ci resta soltanto la Farsalia. Ma già le altre opere perdute lo avevano fatto stimare e considerare tra i geni della poesia tanto che Nerone amante delle arti , ,considerandosi egli stesso un artista, si circondava di poeti ed introdusse Lucano nella sua cerchia. La Farsalia tratta della guerra civile tra Cesare e Pompeo con una modernità sorprendente. Per lui gli dei dell’olimpo non ci sono o sono solo figure distanti senza nessuna relazione con il mondo su cui incombe un solo Dio misterioso e terribile. Mentre la potenza di Roma stava raggiungendo l’apogeo ne coglieva gli elementi di crisi e di decadenza, sentiva che quella società si avviava al vuoto e alla desolazione. Le sue descrizioni delle battaglie raggiungono una spietata e drammatica veridicità e si contrappongono a quelle dell’Iliade. Qui non c’è il bello della lotta e le gesta dell’eroe ma soltanto l’orrore e l’insensatezza della guerra. Le sue descrizioni degli incantesimi delle maghe tessale che fanno parlare i morti sono un preludio agli aspetti più tenebrosi e notturni del romanticismo tedesco, ricordano le storie terrifiche di Edgar Allan Poe e addirittura i moderni films degli Zombi. Potremmo dire che il nostro è il tempo di Lucano. Solo un moderno può apprezzare la sua disperazione, la sua grandiosa fantasia il suo stile breve, balenante e spezzato. Quello che in modo particolare colpisce il lettore è la sua condanna senza appello della guerra civile come il massimo dei crimini. Avrebbe potuto scegliere di parlare della guerra tra Mario e Silla, o della guerra tra Antonio e Ottaviano e Bruto e Cassio, oppure della guerra tra Ottaviano e Marco Antonio. Ha scelto invece di parlare della guerra tra Cesare e Pompeo per una precisa ragione: condannare non solo la guerra civile in se ma la guerra che è stata l’origine della fine della Repubblica e l’inizio del principato. Questi suoi versi sono paradigmatici.”vincitur his gladiis omnis quae serviat aetas. Proxima quid suboles aut quid meruere nepotes in regnum nasci?” Queste spade asserviscono, vincendo tutte le età. Per qual colpa la prole e i nipoti meritarono di nascere servi?

Lucano morì a 26 anni suicida per ordine di Nerone lasciando incompiuto il suo poema. Molti commentatori si sono interrogati su questo crudele ordine dell’Imperatore nei confronti di uno dei favoriti della sua corte. Alcuni pensano che si sia troppo vantato del suo successo letterario suscitando l’invidia di Nerone. Altri ritengono che fosse coinvolto nella congiura di Pisone. A me sembra che la ragione sia evidente. Il crudele tiranno che non arretrò dal matricidio e dall’uxoricidio non poteva sopportare questa forte condanna del principato e l’alta aspirazione al ripristino delle libertà democratiche. Lucano muore quindi suicida come il suo eroe Catone l’uticense e anche lui meriterebbe le parole di Dante “libertà va cercando ch’è sì cara come sa chi per lei vita rifiuta.”

*Lucio Achille Gaspari

Professore Ordinario Emerito
Direttore Sezione Clinica Chirurgica
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Università degli Studi di Roma Tor Vergata
Direttore U.O.C. Chirurgia Generale
Policlinico Tor Vergata

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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Un commento

  1. Articolo interessante che evidenzia la cultura dell’autore ,che sempre riesce ad affascinare con le sue ricerche Sempte “Ad Maiora”

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