Cassazione: con telefonate mute ad amici si rischia condanna 

Non sono da sottovalutare le conseguenze, penali, delle telefonate mute fatte ‘per scherzo’ a persone che si conoscono e che poi, dopo che le indagini hanno smascherato l’autore, sono pure disposte a ritirare la denuncia contro ignoti presentata per lo stato d’ansia e turbamento suscitato dalle chiamate anche notturne dell’anonimo. La denuncia non si ferma e prosegue il suo corso – avverte la Cassazione – perche’ gli squilli muti sono un fatto di “ordine pubblico” e non una burla dato che suscitano timori e angosce. Cosi’ la Cassazione ha stabilito che le chiamate anonime non possono ‘finire a tarallucci e vino’ quando si scopre che il rompiscatole e’ un conoscente perche’ “il reato di molestie o di disturbo alla persona mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillita’ attuato mediante l’offesa alla quiete privata”.

“Pertanto – spiegano gli ‘ermellini’ non inclini a chiudere un occhio – viene in considerazione l’ordine pubblico, pur trattandosi di offesa alla quiete privata”, e dunque “la tutela penale viene accordata anche senza e pur contro la volonta’ delle persone molestate”. La marcia indietro non vale. Per questo la Suprema Corte ha confermato la condanna penale alla pena di 200 euro di ammenda – per molestie – nei confronti di Pietro S., un abruzzese di 46 anni nato a Lanciano, che dal marzo al maggio 2015 aveva fatto “numerosissime telefonate di giorno e di notte” sul cellulare di una donna che si era preoccupata e infastidita tanto da denunciare l’accaduto. Solo in seguito agli accertamenti della polizia, l’uomo e’ stato identificato e la vittima lo ha riconosciuto come uno dei suoi amici che, peraltro, aveva gia’ fatto questo ‘scherzetto’ ad altri conoscenti. Tutto non si e’ concluso con una pacca sulla spalla ma davanti al Tribunale di Lanciano che nel novembre 2017 ha multato Pietro S. e a nulla e’ servito il tentativo dell’amica di lasciarsi alle spalle tutti gli squilli muti. “Ai fini della sussistenza del reato – sottolinea la Cassazione nel verdetto 13363 – gli intenti scherzosi o persecutori dell’agente sono del tutto irrilevanti, una volta che si sia accertato che, comunque, a prescindere dalle motivazioni che sono alla base del comportamento, esso e’ connotato dalla caratteristica della petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della liberta’ delle persone”.

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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