Studio Cgia, con spread a 300 punti imprese a rischio

Con uno spread sopra i 300 punti base, nell’economia reale del nostro Paese sono piu’ a rischio le imprese che le famiglie. A dirlo e’ l’Ufficio studi della Cgia che ha analizzato sia la situazione di liquidita’ delle imprese sia il peso dei titoli di Stato e il numero di mutui per l’acquisto della casa in capo alle nostre famiglie. Se circa la meta’ delle imprese italiane (2,5 milioni) ha all’attivo poco meno di 681 miliardi di euro di prestiti bancari (impieghi vivi relativi al mese di giugno del 2018), per contro, solo il 9,3 per cento delle famiglie (pari a 2,4 milioni) ha in essere un mutuo per l’acquisto della prima casa e un altro 6,1 per cento (pari a 1,6 milioni di nuclei) detiene dei Titoli di Stato. Sulla base dei dati della Banca d’Italia (aggiornati al 31 dicembre 2017) si evince che l’ammontare dei Bot e dei Cct/Btp in possesso delle famiglie e’ di 300 miliardi di euro, mentre l’indebitamento per mutui collegati all’acquisto dell’abitazione ammonta a circa 340 miliardi di euro.

Senza banche, sottolinea lo studio della Cgia, non si puo’ fare economia, soprattutto in Italia. Il nostro Paese, infatti, e’ costituito quasi esclusivamente da piccole e micro imprese tradizionalmente sottocapitalizzate e a corto di liquidita’. Il 98% delle imprese ha meno di 20 addetti. Pertanto, il ruolo degli istituti di credito rimane centrale sia per dare ossigeno all’intero sistema sia per creare le condizioni per rilanciare con forza la situazione economica che sta rallentando paurosamente. “Per questo”, afferma la Cgia, “auspichiamo che gli istituti di credito tornino a fare il loro mestiere, sostenendo e rischiando assieme al mondo delle aziende, in particolar modo con quelle di piccola dimensione”. La Cgia segnala che negli ultimi anni e’ aumentata a dismisura l’incidenza delle commissioni nette (costi per tenuta conto corrente, i servizi bancomat/carte di credito, i servizi di incasso/pagamento, le gestioni patrimoniali, l’intermediazione e il collocamento titoli, etc.) sui ricavi netti degli istituti di credito italiani. “Ormai la percentuale raggiunta si aggira attorno al 40% circa, un livello”, sostiene lo studio, “che non e’ riscontrabile in nessun altro paese europeo. In altre parole, una parte sempre piu’ consistente del fatturato delle banche e’ riconducibile ad attivita’ di puro servizio, a scapito del core business: ovvero dell’intermediazione creditizia”.

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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