Processo Bussi, le motivazioni della sentenza d’Appello

“Il punto fondamentale che ha consentito la condanna e’ lo spostamento in avanti da parte della Corte d’Appello delle condotte penalmente rilevanti in riferimento ai reati di disastro e avvelenamento: in tal senso i giudici di secondo grado hanno concordato con la posizione della procura generale nell’individuare nel 2002 la cessazione delle condotte, in concomitanza con il passaggio di proprieta’ tra Ausimont, ex Montedison e Solvay”, al contrario dei giudici di primo grado che avevano fissato la data al 1992. Emerge dalle motivazioni della sentenza di Appello del processo sulla mega discarica di Bussi sul Tirino, depositate ieri, alla scadenza dei 90 giorni dal verdetto del 17 febbraio scorso, dal presidente del Collegio giudicante della Corte d’Assise d’ Appello, Luigi Catelli, dal giudice relatore Armanda Servino e dai giudici popolari Carla De Angelis, Salvatore Giambra, Romeo Di Felice, Franco Di Giacinto, Lorenzo Menga e Tonia Napoleone. La Corte di Appello aquilana ha condannato a pene tra i due e i tre anni di reclusione per avvelenamento e disastro ambientale 19 persone, in gran parte ex manager della Montedison. Il verdetto e’ arrivato due anni e tre mesi dopo la contestata sentenza della Corte d’Assise di Chieti che aveva derubricato il reato di disastro ambientale in disastro colposo e giudicato gli imputati non colpevoli per sopraggiunta prescrizione. I giudici di secondo grado, al contrario, sono arrivati alla condanna perche’ un ricalcolo dei tempi ha portato a stabilire che la prescrizione non era scattata. 

Le condanne d’Appello sono state comunque condonate perche’ i fatti sono tutti antecedenti al 2 maggio 2006, data dell’indulto del governo Prodi. Le provvisionali e le spese legali da riconoscere alle parti civili ammontano a 3,7 milioni di euro. La sentenza d’Appello accoglie la tesi della procura generale della Repubblica, rappresentata dai pubblici ministeri Romolo Como e Domenico Castellani, e dell’Avvocatura dello Stato appellanti in relazione all’avvelenamento – spiegano i giudici di secondo grado – si tratta di un reato che, secondo la Corte, puo’ ben integrarsi laddove siano, come nel caso di specie, le acque sotterranee di falda a essere contaminate da agenti inquinanti nocivi per la salute. Al contrario, in primo grado la Corte d’Assise di Chieti aveva negato tutela giuridica alla falda, assumendo che solo l’acqua nel punto di captazione possa essere oggetto giuridico del delitto di avvelenamento. Questa presa di posizione costituisce, secondo fonti legali, “una rilevante affermazione di tutela di una matrice ambientale, perche’ l’acqua sotterranea costituisce risorsa di approvvigionamento idrico: sempre piu’ frequenti sono i casi di inquinamento delle acque superficiali (fiumi e laghi) e dunque la necessita’ di prendere l’acqua destinata a bere dalla falda, dal sottosuolo, anche a notevoli profondita’”. La Corte d’Assise d’Appello, accogliendo in gran parte sul punto, ancora una volta, la ricostruzione offerta dalla pubblica accusa e dalla difesa dello Stato, ha poi escluso la possibilita’ che della mega discarica TreMonti, come avevano invece affermato i giudici di primo grado, dopo il 1972 si fosse persa la memoria. La Corte ha ancora argomentato la sussistenza dell’ elemento psicologico della colpa cosciente per il disastro (dunque colposo, aggravato), insomma “una condizione psicologica per gli imputati riconosciuti colpevoli di poco al di sotto del dolo eventuale”. Ha evidenziato come nel corso degli anni, “nonostante i ripetuti allarmi sulla situazione ambientale, i vertici dell’azienda non abbiano adottato adeguate misure invece doverose”. Le prime veramente adeguate furono infatti eseguite solo da Solvay a partire dal 2002. 

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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