Terremoto L’Aquila, morto sotto le macerie ma per il giudice è colpa sua

Una sentenza che ha già iniziato a far discutere. Il giudice Monica Croci del Tribunale dell’Aquila ha rigettato in toto la richiesta di risarcimento nei confronti dello Stato per 10 studenti periti sotto le macerie.

“I nostri figli avrebbero dovuto prevedere quanto poi purtroppo accaduto e uscire di casa: mio figlio Nicola sarebbe stato incauto nel non uscire di casa”. Sono le parole di Sergio Bianchi, padre di Nicola, universitario originario di Monte San Giovanni Campano, deceduto la notte del 6 aprile all’Aquila, e presidente dell’Avus, associazione vittime universitarie sisma.

Parla di un’altra “sentenza choc” il legale della famiglia Alessandro Gamberini: “rigettando i risarcimenti e condannando i familiari delle giovani vittime al pagamento delle spese processuali, il giudice del tribunale dell’Aquila ha attribuito agli universitari con una serie di motivazioni non vere il 100% della colpa della loro morte. I giovani avrebbero dovuto uscire di casa con una decisione individuale senza che nessuno avesse lanciato allarmi o avvertimenti sul pericolo dei terremoto e dello sciame. Anzi in un clima di rassicurazioni istituzionali della protezione civile”. Bianchi parla di “una decisione che ci ha lasciato impietriti, senza parole”. Per i nove ragazzi morti erano stati chiesti risarcimenti tra i 500 e i 600 mila euro ciascuno. La sentenza è stata appellata: Nicola, 22 anni, morì nel crollo della casa di via D’Annunzio.

Il giudice ha scritto che bisogna “che qualunque rassicurazione fosse stata percepita doveva necessariamente venire meno ove l’abitazione in concreto occupata avesse presentato segni di danno per le precedenti scosse e/o fosse stata giudicata meritevole di controlli di stabilità”. Nelle altre motivazioni per altri ragazzi morti si può leggere come “fosse uscita di casa alla scossa delle ore 23:30. Tale condotta obiettivamente attesta come la defunta non avesse affatto maturato la convinzione circa la non pericolosità del terremoto e la superfluità di misure di autotutela, posto che agì in netto contrasto con detta convinzione”, oppure che “le scelte della defunta fossero da attribuire alla convinzione che l’edificio in cui abitava fosse sicuro”, ma anche che “la ragazza aveva fatto rientro nel proprio appartamento pur dubitando della solidità dell’edificio”.

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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