Il 71% dei lavoratori vuole rimanere nella propria attuale azienda, con percorsi di crescita più personalizzati. A tracciare la netta inversione di tendenza rispetto al fenomeno delle grandi dimissioni nato con l’insorgere della pandemia è la nuova edizione della ricerca del Gruppo Adecco Global Workforce of the Future. Il dato che segna il contrasto più forte rispetto al 2022 è il percepito del proprio stipendio: il 58% dei partecipanti ritiene che sia adeguato all’aumento dei costi, mentre il 35% non lo considera adeguato, e il 7% è incerto. Nel 2022, ben il 61% evidenziava di non ritenere il proprio stipendio adeguato a far fronte al caro vita.Le principali motivazioni espresse dai lavoratori che desiderano cambiare lavoro includono un miglior salario (26%), l’insoddisfazione verso la propria mansione attuale (19%), un miglior bilanciamento tra vita e lavoro (18%), migliori benefit extra salario (16%) e un maggiore investimento dell’azienda nella loro formazione (12%). D’altro canto, coloro che desiderano rimanere nel loro attuale impiego citano la stabilità (20%), un buon bilanciamento tra vita e lavoro (18%), l’utilizzo delle proprie skill a lavoro (16%), il salario (12%) e la cultura aziendale (11%) come i principali motivi per restare.
Un lavoratore su tre ha sperimentato il burnout. Tra le principali cause un carico di lavoro eccessivo, troppe responsabilità per il proprio ruolo e la mancanza di leadership. Per contrastare questo fenomeno e tutelare la propria salute mentale, i lavoratori italiani ritengono che l’aspetto più importante il riconoscimento e la celebrazione degli obiettivi personali e di team (34%), seguito da una gestione realistica delle aspettative della vita lavorativa (20%), l’inclusività e il senso di appartenenza (19%) e il rispetto dei periodi di ferie (18%). Tutti aspetti che ricadono, in primo luogo, sui manager e i leader delle aziende, reputati infatti i primi responsabili della tutela del benessere lavoratori dal 48% dei rispondenti alla ricerca. Segue un 27% per cui ognuno è il primo responsabile di sé stesso, un 14% per cui a intervenire dovrebbe essere il Governo e un restante 9% che, invece, nutre fiducia nei sindacati