Il mercato del lavoro italiano mostra segnali di stabilità dopo anni di incertezza, ma restano profonde fratture strutturali. È quanto emerge da una ricerca Eurispes sui mercati regionali e sull’impatto della trasformazione digitale, che evidenzia il crescente divario tra domanda e offerta di lavoro, aggravato dall’invecchiamento della popolazione e dal disallineamento tra percorsi formativi e fabbisogni delle imprese, sempre più orientate verso competenze digitali e intelligenza artificiale.
La ricerca segnala un aumento dei “working poor”, ovvero lavoratori occupati ma con redditi al di sotto della soglia di povertà, e denuncia il peso della burocrazia che continua a rallentare il sistema. L’intelligenza artificiale, pur rappresentando un motore di innovazione, accelera la polarizzazione del mercato: da un lato chi possiede le nuove competenze, dall’altro chi fatica ad adattarsi e rischia l’esclusione.
In prima linea restano i Centri per l’Impiego, con oltre 600 sedi e 20mila addetti impegnati in orientamento e formazione. Tuttavia, l’Italia destina ai Servizi per l’Impiego solo lo 0,051% del Pil, contro una media europea dello 0,18% e punte dello 0,3% in Germania e Danimarca. Un divario che limita la capacità di ridurre i tempi di incontro tra aziende e candidati e di accompagnare la transizione tecnologica.
Secondo Eurispes, il mancato matching non è più imputabile alla sola scarsità di posti di lavoro, ma anche a fattori culturali e formativi: le imprese pubblicano offerte che restano scoperte per mancanza di profili adeguati. Gli strumenti introdotti per migliorare il sistema, come la DID (Dichiarazione di immediata disponibilità) e i LEP (Livelli essenziali delle prestazioni), incontrano difficoltà operative e rigidità.