Nel 2024deserto il 74,9% dei posti nelle scuole di specializzazione in Medicina d’emergenza-urgenza

Nel 2022, 4.349 medici e 6.651 hanno lasciato il servizio sanitario nazionale. Si tratta di un numero più che triplo rispetto al 2016, quando erano stati rispettivamente 1.564 e 1.854. Quello delle “dimissioni volontarie” è uno dei principali segnali di sofferenza del personale del servizio sanitario. Le sue dimensioni sono emerse dalle audizioni dei rappresentati del ministero della Salute e di Agenas nell’ambito dell’Indagine conoscitiva sul riordino delle professioni sanitarie alla Camera. “In Italia, analogamente agli altri Paesi europei, si sta assistendo, da molti anni, ad una crisi del personale sanitario, acuitasi dopo il 2020 a causa della pandemia da Covid-19”, spiega nella sua relazione Mariella Mainolfi, direttore generale delle professioni sanitarie e delle risorse umane del Ssn. La crisi è di lungo periodo e l’incremento di quasi 35 mila unità del personale sanitario (dei quali 2.218 medici e 19.235 infermieri) registrato tra il 2017 e il 2022 non è stato sufficiente a invertirla. Né è bastato l’incremento dei posti nelle scuole di specializzazione, triplicati in 10 anni, passando dai circa 5 mila del 2014/2015 agli oltre 15 mila del 2023/2024, con 11.932 posti effettivamente assegnati. Anzi, sul fronte delle specializzazioni emerge una delle tendenze che più preoccupano: la disaffezione dei giovani medici per specialità fondamentali. Nel 2024, per esempio, il 74,9% dei posti messi a bando nelle scuole di specializzazione in Medicina d’emergenza-urgenza è rimasto deserto. Vuoti anche oltre la metà dei posti in specializzazioni chiave come Chirurgia generale, Chirurgia Toracica o Nefrologia. Non va meglio per gli infermieri. Dopo gli anni del boom delle professioni infermieristiche, con un’impennata di iscrizioni, nello scorso anno accademico per ogni 100 posti disponibili al primo anno, 15 sono rimasti liberi, con il numero di domande di iscrizione passate da 45 mila nel 2010 a poco più di 20 mila nel 2020. Un dato che non fa stare tranquilli: se infatti la dotazione di medici (4,1 medici per 1.000 abitanti) situa l’Italia ai livelli della media europea e al di sopra di Paesi come Regno Unito e Francia (3,2 medici per 1.000 abitanti), per gli infermieri le cose sono diverse. Con 6,2 infermieri per 1.000 abitanti nel 2021, siamo al di sotto della media europea di circa un quarto (8,5 per 1.000 abitanti). Gli infermieri sono anche più svantaggiati rispetto ai colleghi europei sul fronte retributivo: percepiscono uno stipendio del 19% più basso, mentre per i medici lo scarto è del 4%.

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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