Eurostat, in Abruzzo elevato gap occupazionale di genere

La Puglia è tra le regioni europee con il più alto divario occupazionale di genere. Secondo uno studio di Eurostat, il divario occupazionale di genere – inteso come la differenza tra i tassi di occupazione degli uomini e delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni – persiste in quasi tutti i territori Ue, con tassi più elevati per gli uomini. Nel 2022 sono state 20 le regioni europee in cui il divario occupazionale tra i sessi era di almeno 20 punti percentuali. Sette di queste si trovano in Italia, con il Mezzogiorno in testa: Puglia (30.7), Basilicata (28.7), Campania (28.7), Sicilia (26.7), Calabria (25.8), Abruzzo (23.6), Molise (22). La Puglia è la seconda regione col tasso di divario più alto d’Europa dopo la greca Sterea Ellada (31.4). Le disparità occupazionali tra i sessi, spiega Eurostat, sono dovute a una serie di ragioni, come le responsabilità di cura non retribuite delle donne, la discriminazione nelle assunzioni e la scarsità di donne nella leadership. Inoltre, fattori come l’inadeguatezza dei servizi per l’infanzia, i disincentivi fiscali e la segregazione occupazionale contribuiscono al persistere del divario occupazionale di genere.

Nel mondo del lavoro il gender gap si rileva non solo sugli stipendi ma anche a livello pensionistico, e anche fra le donne si evidenziano notevoli differenze di retribuzione fra chi ha figli e chi no. È uno dei dati che emerge dal XXII Rapporto annuale Inps evidenziato dal commissario straordinario, Micaela Gelera, nella presentazione al Collegio Carlo Alberto di Torino nell’ambito del ‘Ciclo sul Welfare’ promosso dal master in Welfare dell’Università. Il documento era già stato presentato in Parlamento il 24 ottobre. “Dai dati – ha spiegato Gelera- emerge ancora una differenza notevole sull’andamento dei redditi delle donne rispetto a quelli degli uomini. Situazione che dipende dal fatto che sono le donne prevalentemente quelle impegnate nella cura familiare e nei carichi domestici. Quindi ci sono più contratti part time o a tempo determinato, quest’ultimo in passato riguardava 1 donna su 10, ora circa il 30%. Questo comporta differenze retributive ma anche in termini pensionistici, perché le donne raggiungono più facilmente il requisito di vecchiaia che di pensione anticipata”. Inoltre da uno studio sull’andamento delle retribuzioni da 5 anni prima della nascita dei figli a 15 anni dopo la maternità, “emerge – ha detto ancora Micaela Gelera – che le retribuzioni lorde annue delle donne dopo 15 anni dalla maternità sono mediamente inferiori del 53% rispetto a quelle delle donne che non hanno figli”

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

Controllate anche

Osservatorio Vega, 191 morti sul lavoro nel primo trimestre

“A fine marzo 2024 si contano, tra infortuni nel luogo di lavoro e in itinere, …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *