Inverno 2017 in Abruzzo

Inverno 1943. Gli inglesi erano rimasti sconvolti dall’inverno abruzzese. Le truppe alleate provenienti dall’Africa si erano impantanate nel fango e nelle neve, nella pioggia e nel freddo. Fin allora avevano risalito l’Italia con una certa facilità e con una certa velocità. Poi in Abruzzo era cambiato tutto. La sorpresa era stata totale perché gli esperti meteorologi dell’Ottava Armata di Bernard Montgomery avevano fornito tutti i dati in loro possesso. Ma erano quelli della costa. Con incredibile leggerezza mancavano i dati dell’interno, dell’inferno di neve e di ghiaccio che in Abruzzo era la regola, non l’eccezione. I contadini e i montanari sapevano tutto, perché loro contro gli elementi ci lottavano ogni anno, da sempre; e i tedeschi pure, perché avevano studiato il territorio e avevano imparato a conoscerne le insidie, persino a sfruttarle a proprio vantaggio. Gli inglesi no. E avevano pagato carissimo quella sottovalutazione, in vite umane.

 

Inverno 2017.  Gli italiani rimangono sconvolti dall’inverno abruzzese. I più anziani ricordano un altro inverno, quello del 1956, entrato nella storia prima ancora di diventare leggenda, con mura di neve, paesi isolati, primi e secondi piani delle abitazioni che sembravano pianterreni. Era stata un’ondata di maltempo definita eccezionale, ma nei canoni del 1943, del 1944, di tanti altri inverni prima e dopo. Neve, neve, e ancora neve. Strano che ci sia chi scopre solo adesso che in Abruzzo la cattiva stagione è veramente cattiva, non è un’eccezione. Il prezzo pagato è stato carissimo, in vite umane.

 

Inverno 2017. Un quarto della popolazione abruzzese senza energia elettrica e senza riscaldamento. Come nel 1956. Con la differenza, rispetto ad allora, che la tecnologia ha portato in tutte le case illuminate e riscaldate la voce di chi ha pagato in prima persona l’improvviso ritorno nel buio e nel freddo del Medioevo. Merito dei telefonini, di Whatsapp, di Facebook: finché c’è stata una stilla di energia nelle batterie sono state veicolate informazioni su una situazione talmente paradossale da non sembrare vera.  Era vero anche il primo allarme partito dall’Hotel Rigopiano, sull’apocalisse bianco che l’aveva spazzato via e sepolto, con tutti gli ospiti, villeggianti e personale. Il paradiso naturalistico diventato inferno, con due miracolati che piangono di rabbia e di speranza.

 

Inverno 2017. Nell’era di gatti delle nevi col turbo, spazzaneve biturbo e turbine fantascientifiche, l’Hotel Rigopiano viene raggiunto a forza di braccia e di gambe, con gli sci e le ciaspole e le pelli di foca, nella notte, nella tormenta, come nel 1943. Sono dieci militari della Guardia di finanza che sfidano le avversità, il destino e la burocrazia: sono l’ingranaggio più scorrevole della farraginosa macchina dei soccorsi, tra mezzi che non ci sono o non funzionano o devono arrivare da lontano, come lo spazzaneve che all’hotel aspettavano per andare via, prima della maledetta valanga. I dieci diventano subito eroi, e lo sono davvero. Si spingono «Più là che Abruzzi», come ammoniva Calandrino nella giornata ottava (novella terza) del “Decamerone” di Boccaccio. Lo sapeva già Boccaccio quanto fosse impervio e impraticabile l’Abruzzo, abbarbicato alle montagne più alte dell’Appennino, la Majella madre e il Gran Sasso che di tanto in tanto regalano spaventosi sussulti sismici. La Natura non fa sconti.

 

Inverno 2017. Il circo mediatico innescato dalla valanga di Rigopiano riporta alla mente la tarda primavera del 1981, quando l’Italia trepidò per la prima tragedia della tv del dolore, quella del pozzo di Vermicino e del piccolo Alfredino Rampi. Ricorda anche l’autunno del 2002, col terremoto che fa crollare la scuola di San Giuliano di Puglia seppellendo maestre e bambini. Anche adesso la tv, in competizione con i social, scava, viviseziona, lancia allarmi e speranze, tra finestre e speciali, aggiornamenti ed edizioni straordinarie. Dietro ai microfoni, a corredo di interviste e interventi, c’è sempre una strana corona di persone in divisa di tutti i tipi, fanno scena, si affacciano ai dieci secondi di effimera celebrità, e viene da chiedersi perché sono lì e non sono a scavare, a coordinare, a predisporre, come nella zona dell’hotel sepolto fanno i loro colleghi, come nei paesi isolati e abbandonati fanno tanti altri. Ce ne sono anche nei salotti tv, con giubboni da Antartide a fronte di temperature da studio che  ricordano l’Africa. Scena.

 

Inverno 2017. Abruzzo.

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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