Sanità assediata, ma efficienza e qualità sono ancora possibili

 

Sanità assediata, ma efficienza e qualità sono ancora possibili

Ho letto con molto interesse l’articolo” Addio alla salute”, apparso sull’Espresso del 21 gennaio in cui si manifesta una preoccupazione per il presente ed il futuro del Sistema Sanitario Nazionale. Il Finanziamento pubblico è attualmente il 6,5 per cento del Pil, che rappresenta un 30% in meno della media dei paesi OCSE e arriverà nel 2020 addirittura al 6,3 % del Pil! E’ comprensibile che con questa carenza di fondi lestrutture e le apparecchiature degli ospedali che non sono stati chiusi siano in cattive condizioni. Se poi sul territorio non esiste una valida organizzazione che si prenda cura delle patologie a bassa intensità di cura, il peso di queste carenze ricade sulle spalle delle famiglie e sui Pronto Soccorso che appaiono talvolta come gironi danteschi. Il tutto è stato aggravato dai tagli lineari che hanno penalizzato le strutture efficienti allo stesso modo di quelle inefficienti. 

Imitiamo male il sistema Usa

A questo va aggiunto che si è cercato di imitare aspetti della organizzazione sanitaria statunitense senza comprenderla a fondo. Ad esempio fissare il numero dei letti per acuti al 3,1 per mille abitanti senza considerare che la nostra popolazione è più anziana e quindi bisognosa di maggior assistenza e soprattutto del fatto che i letti di day hospital e day surgery da noi sono computati tra i letti di ricovero ordinario mentre negli Stati Uniti non lo sono; se licomputassero come noi, i letti per acuti salirebbero al 4,5 per mille. Quindi se da noi chiudono gli ospedali e non potenziano il territorio, si riversano nei pronto soccorsi quei cittadini che hanno bisogno di assistenza e anche quelli che non hanno bisogno di assistenza urgente ( si consideri la percentuale di codici bianchi).

Infermieri e medici penalizzati 

Per quanto riguarda il personale infermieristico viene giustamente segnalata la grave carenza, e per il personale medico degli ospedali l’alta età media causata dal blocco del turn over e la condizione di precarietà del lavoro dei giovani medici. A questo proposito va tenuto conto che negli ultimi 10 anni ben diecimila camici bianchi sono emigrati all’estero. In questo non c’è nessuna fisiologia del mercato del lavoro europeo perché molti italiani vanno all’estero e pochi medici stranieri vengono in Italia. Sarebbe utile uno studio approfondito di questo fenomeno. Alcuni cercano lavoro in istituzioni e nazioni che per alcune branche della medicina, ad esempio la chirurgia, sembrano più prestigiose, ma molti altri sono spinti dalla mancanza di lavoro causata dal turnover o da un certo modo di gestire le assunzioni in Italia. Io ho la diretta testimonianza di chirurghi specializzatisi nella scuola da me diretta che hanno ottenuto all’estero (Gran Bretagna, Germania, Francia Spagna) posizioni di rilievo superando esaminazioni tese alla ricerca di bravi professionisti, che volendo rientrare in Italia, si sono trovati le porte sbarrate da concorsi in qualche modo preordinati. L’articolo denuncia il problema del lavoro precario che in Italia viene criticato e invece accettato di buon grado dai medici Italiani che lavorano all’estero dove i contratti di lavoro non sono a tempo indeterminato. Come mai questa disparità di opinione? 

Il nodo degli stipendi 

All’estero gli stipendi sono buoni, e chiunque faccia bene il proprio lavoro al termine del suo contratto non ha difficoltà a vederlo rinnovato o a cambiare posizione dove godrà di condizioni migliori. In Italia a parte l’atavico desiderio per il posto fisso (Checco Zalonedocet) il precario è mal pagato, è incerto sul futuro ed è mal considerato socialmente, almeno dalle banche cui si rivolge per chiedere un prestito. La soluzione non sta quindi nel posto fisso a quattro soldi per tutti, ma nella replicazione della organizzazione del lavoro e della società dei paesi più avanzati. Senza ottenere una specializzazione oggi è difficile per un medico ottenere lavoro ma, segnala l’articolo, esiste una forte discrepanza tra laureati in medicina e contratti di specializzazione. La determinazione del fabbisogno di medici specialisti non è semplice da computare ma è necessario farlo per non sprecare risorse. 

La sfida dei laureati

Sarebbe utile avvicinare il numero dei laureati in medicina a quello dei contratti di specializzazione e questo ultimo numero alle reali necessità del paese. Faccio un esempio: negli Stati Uniti si ritiene che il numero di contratti annuali per l’ingresso nella specializzazione in chirurgia generale sia 2 per milione di abitanti. Se adottassimo questo numero icontratti in Italia dovrebbero essere 120, invece sono 250. Forse questa è una delle ragioni perché molti chirurghi vanno all’estero e quelli che restano sono ingaggiati e sottopagati dalle cooperativeIl rischio è che il numero si auto livelli spontaneamente poiché questo lavoro pesante e rischioso dà poche soddisfazioni materiali e morali. Negli Stati Uniti la media di guadagno di un chirurgo è di 450.000 dollari all’anno, ma molti raddoppiano o triplicano questo introito. Un recente studio pubblicato sul Journal of American College of Surgeons rivela che il 30%dei chirurghi si ritira dalla professione a meno di 50 anni di età; sonoquelli che anno guadagnato e ben investito almeno 20 milioni di dollari. Forse ci sarà anche questo aspetto a causare una limitazione del numero dei chirurghi. 

Le liste di attesa, cosa accade

Vienesegnalato anche il problema delle liste di attesa per esami diagnostici ed adombrato che la causa risieda del comportamento scorretto dei medici che creano artatamente lunghe liste pubbliche per accaparrarsi malati privati. Se si ragiona così non si va da nessuna parte. Ci sono medici scorretti così come ci sono preti pedofili, politici corrotti e magistrati non imparziali. Ma le liste di attesa sono determinate da una cattiva organizzazione e da una mancanza di finanziamenti che trasforma queste liste in un sistema di razionamento. In Gran Bretagna lo ammettono e addirittura avevano fatto un accordo per mandare cittadini britannici con calcolosi della colecisti ad operarsi in Francia dove l’esborso per le finanze di Sua Maestà risultava essere minore. InItalia questo non si ammette! Distinguiamo le liste di attesa per ricovero per intervento chirurgico di elezione da quelle per esami diagnostici. Esistono classificazioni delle varie patologie con tempi di attesa ben definiti che raramente vengono rispettati. Vogliamo ridurre queste liste? Bene teniamo aperte le camere operatorie dalle 8 di mattina alle 10 di sera; ci vorranno più materiali , più personale  e anche integrazioni agli stipendi di chi prolunga l’orario di lavoro. La bacchetta magica non c’è e gridare all’untore non risolve i problemi. Per le liste di attesa per esami diagnostici il problema è differente. 

Troppi esami inutili

Neicentri di endoscopia digestiva l’ottanta per cento degli esami sono inutili, intasano le liste e non dovrebbero essere richiesti. Come fare? Stabiliamo chi deverichiedere l’esame. Forse meglio lo specialista del medico generico, formiamolo sull’argomento e vediamo come procede con le sue richieste. Ma se vogliamo un comportamento scientifico evitiamo la paura della denuncia e la medicina difensiva per cui si chiede tutto per tutti. L’articolo è ben scritto e descrive una veritiera situazione del Sistema Sanitario Nazionale a quaranta anni dalla sua istituzione ma appare un poco carente nella analisi delle cause e privo di proposte anche perché non è questo il compito del giornalista. 

Il deficit economico, perché 

Cominciamo dall’aspetto più importante, quello del deficit del finanziamento. Alcune cose si possono fare e le ho indicate in un precedente articolo. Concludere rapidamente il lavoro già iniziato dal Ministero della Salute, sulla struttura e compiti degli ospedali (tipologia e volumi di prestazioni di reparto e dei singoli professionisti, curve di apprendimento certificate) in relazione con la popolazione da servire. Crearecollegamenti di reti non solo per il trauma e le urgenze tra i vari ospedali ma anche per molte patologie di elezione, favorendo la circolazione di pazienti e di medici e utilizzando le nuove tecnologie di comunicazione ad alta definizione per la telemedicina in molti campi, compresa anche, se ritenuta utile, l’utilizzazione di robot chirurgici comandati a distanza. Il punto fondamentale sta però in un adeguato finanziamento. Alcuni rimpiangono il tempo delle mutue, quando gli ispettori delle medesime controllavano l’efficienza e la correttezza delle attività degli ospedali e dei medici di famiglia in modo puntuale e severo. All’epoca gli stipendi dei medici ospedalieri erano limitati ma erano ben integrati dalle compartecipazioni. 

Fondi tagliati del 30%

Bisogna quindi riflettere sul fatto che quel 30% che manca al finanziamento pubblico è pagato dai privati che possono permetterselo in strutture di alto livello (San Raffaele, San Donato, Humanitas, IEO) per lo più situate al nord, ma anche in molte Case di Cura che all’accogliente aspetto alberghiero non coniugano una sicurezza globale e si considera che la notte di guardia non ci sono equipe specialistiche pronte a d intervenire, ma un medico spesso giovane e poco esperto. Cosa fare allora?

In Cina? Sanità non a tutti

 E’ evidente che non si può dare tutto a tutti, benestanti ed irregolari compresi. Alcuni anni fa la direttrice dell’Ospedale Militare di Pechino, una generalessa con tanto di fascia rossa e stella al braccio mi chiese se fosse vero che in Italia si tutto a tutti (i ticket sono poca cosa) e alla mia risposta affermativa mi disse –siete pazzi, così non può funzionare_ Se fossimo capaci di rendere tutti  gli ospedali accoglienti ed efficienti come lo sono solo alcuni ,spesso di proprietà privata, potremmo accogliere anche quei pazienti che oggi spendono queste grosse cifre nelle strutture private . Non credo ci sarebbe difficoltà ad ottenere da questi cittadini consistenti partecipazioni alla spesa magari prevedendo qualche vantaggio fiscale.

Cosa è possibile fare 

 In questo mondo rendendo più realistiche le remunerazioni dei DRG ,introitando fondi dalla compartecipazione alla spesa , si renderebbe il sistema veloce ed efficiente, si eviterebbe la discriminazione di trattamento tra chi non può pagarsi le cure e chi invece può- I medici e gli infermieri che lavorano negli ospedali avrebbero stipendi adeguati in modo che l’astensione dalla professione privata non apparirebbe più come una imposizione vessatoria ma come una logica conseguenza del ruolo ricoperto Utopia ? forse si, ma se non si sogna un poco ogni miglioramento ed ogni progresso diventa difficile.

Achille Gaspari MD, Facs, Professore emerito di Clinica Chirurgica

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

Controllate anche

Meloni, la sindrome renziana e il marito tradito

di Achille Lucio Gaspari* Numerosi commentatori politici ritengono che Matteo Renzi sia il più abile …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *