Il 3 marzo il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani è intervenuto in diretta alla Conferenza preparatoria della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile. Occasione in cui ha illustrato le nuove sfide che il nuovo dicastero dovrà affrontare.
“La transizione per la prima volta ci mette di fronte a un approccio che non può essere né globale né locale: si usa in genere il termine glocal, ed è questo l’approccio che bisognerà utilizzare – ha spiegato Cingolani – Abbiamo un pianeta diviso tra Stati debitori e Stati creditori, abbiamo un chiarissimo divide dal punto di vista dell’energia, dell’aspettativa di vita, della scolarizzazione, della disponibilità di acqua. La transizione va oltre il concetto consolidato di ecologia, è una transizione globale e antropologica. L’ecologia dobbiamo pensarla non solo dal punto di vista dell’ambiente, ma dobbiamo pensare all’ecologia della mente, della società, cioè a un sistema che si regga in piedi con delle regole armoniche. Quindi: la visione è globale, ma le soluzioni devono essere innestate nel tessuto locale”.
“Sostenibilità ed ecologia sostenibile – ha proseguito – diventano concetti centrali per il futuro, basti pensare al fatto che adesso le aziende devono fare un bilancio di sostenibilità, in cui questi criteri siano quantificati, al fatto che anche i grandi investitori guardano alla sostenibilità come elemento essenziale, al fatto che il futuro dei nostri figli nei prossimi decenni dipenderà dalle scelte che facciamo oggi. Queste sono le chiamate alle quali dobbiamo rispondere adesso. Non c’è più tempo”.
“La transizione va oltre il concetto consolidato di ecologia, è una transizione globale e antropologica. L’ecologia dobbiamo pensarla non solo dal punto di vista dell’ambiente, ma dobbiamo pensare all’ecologia della mente, della società, cioè a un sistema che si regga in piedi con delle regole armoniche. Quindi: la visione è globale, ma le soluzioni devono essere innestate nel tessuto locale”
Il ministro ha poi sottolineato la gravità del debito ambientale che l’umanità sta contraendo nei confronti della biodiversità. “L’indicatore principale da tenere ben presente in tutte le scelte politiche e tecniche è che la biocapacità del nostro pianeta tra luglio e agosto sarà terminata: significa che viviamo in un’era di debito ambientale, oltre che economico, ed è spaventoso – ha affermato in proposito – Siamo tanti, le diseguaglianze sono aumentate e tra luglio e agosto esauriamo la nostra parte di risorse naturali”, ha sottolineato riferendosi all’impronta ecologica umana, cioè al consumo delle risorse della Terra, e all’Earth Overshoot Day, il giorno nel quale l’umanità consuma interamente le risorse prodotte dal pianeta nell’intero anno. “Viviamo quindi in una società del debito non solo economico, ma anche ambientale, e in altri contesti cognitivo, perché persino l’informazione e la cultura vengono mediati da sistemi talmente veloci che la nostra mente spesso non riesce a metabolizzare le informazioni”.
Mentre sul contrasto agli effetti dei cambiamenti climatici, Cingolani ha dichiarato quanto segue: “Le riflessioni per la costruzione di un piano di transizione ecologica sono numerose. Pensiamo al climate change: negli ultimi 10 anni ci sono stati 8 degli anni più caldi di sempre, abbiamo un budget di anidride carbonica che equivale a circa 700 giga tonnellate e questo, qualora dovesse essere superato, porterebbe a un aumento di temperatura superiore di 2 gradi centigradi al 2040. Questi dati mostrano che sia l’analisi che le soluzioni non possono essere formulate astraendoci dal contesto complessivo: come Italia, e come Europa, possiamo impegnarci quanto vogliamo ma se qualcuno dall’altra parte del pianeta non fa il suo dovere e non collabora, allora abbiamo poche leve per contrastare il Climate Change”. E, ancora: “Anche nella lotta ai cambiamenti climatici vige il principio fisico della termodinamica: il danno è veloce ma il recupero è lungo. Significa che se portiamo la temperatura più su di 2 gradi, il sistema ci mette poi secoli per raffreddarsi. Bisogna aver presente che già un aumento della temperatura di un grado e mezzo equivale a un innalzamento del livello dei mari di circa 20 cm. Significa che i nostri figli, non le generazioni future, ma anche quelle attuali, dovranno combattere con città costiere a rischio e con un ecosistema destabilizzato. Da padre, è un pensiero che ho sempre ben presente e che mi preoccupa molto. Non abbiamo molto tempo, siamo a fine partita”.
Un passaggio particolarmente interessante è stato quello incentrato sui trasporti, settore in cui verrà dirottata una fetta consistente delle risorse in arrivo con il Recovery fund. “Abbiamo una grande sfida che è quella dei trasporti – ha spiegato il Ministro – sull’elettrificazione, sul trasporto pubblico, sulla riduzione di mezzi privati, su sistemi che ci consentano di avere un’industria forte, di produrre progresso ma che nello stesso tempo sia il più sostenibile possibile. Ci sono sforzi enormi in progress, ma i grandi sistemi industriali sono energivori, quindi è necessario trovare giusto bilancio tra le esigenze di un’economia che genera lavoro e benessere e il fatto che questa economia non debba essere implementata a spese dell’ambiente in cui viviamo. Città, case housing, c’è mezzo pianeta in cui l’impatto principale dell’inquinamento viene vissuto per via dell’housing, di come si cucina, di come si riscalda, e c’è un’altra metà del pianeta in cui è più grande a livello di microparticolato e inquinamento negli spazi aperti, soprattutto i grandi centri urbani. Qui occorre una strategia che da un lato passa da tecnologie innovative, dall’altro pone il grande tema dell’educazione e della consapevolezza da parte di tutti che bisogna cambiare, a partire da noi stessi. L’urbanizzazione è sicuramente una grande opportunità per molte società, ma nello stesso è un generatore di problemi che va controllato”.
“Negli ultimi 10 anni ci sono stati 8 degli anni più caldi di sempre, abbiamo un budget di anidride carbonica che equivale a circa 700 giga tonnellate e questo, qualora dovesse essere superato, porterebbe a un aumento di temperatura superiore di 2 gradi centigradi al 2040. Questi dati mostrano che sia l’analisi che le soluzioni non possono essere formulate astraendoci dal contesto complessivo”
Da attenzionare anche il commento sull’uso che in Italia viene fatto delle risorse naturali e, di converso, sul maggior uso che invece si dovrebbe puntare a fare delle fonti rinnovabili. “Nel 2017 abbiamo usato 90 miliardi di tonnellate di risorse naturali primarie, questo è un numero molto più alto di 10 anni fa, la crescita economica ha fatto sì che le risorse naturali fossero fortemente impegnate – ha spiegato Cingolani – Pensate al digitale, la digitalizzazione è una tecnologia fantastica se usata in modo intelligente ma anch’essa non è gratis energeticamente: si stima produca circa il 4% della CO2 totale, gli aerei fanno il 2%, il trasporto leggero fa l’8%, quindi il digitale ha un peso specifico consistente. Non occorre dunque sprecare una risorsa che va ben utilizzata e ha a che fare anche con i grandi programmi di fine vita del rifiuto elettronico. Vale anche per le batterie, abbiamo un tema enorme di recupero di materiali molto pregiati la cui manifattura aumenta l’impronta di carbonio. Quindi è un modello consumistico che va affrontato globalmente, e considerato nel budget complessivo. Il digitale non merita più attenzione di altri settori ma è considerato una specie di soluzione al problema, e sappiamo che non esistono soluzioni a costo zero”.
Infine, un focus sulle tecnologie e su come possono e devono essere messe al servizio della prevenzione. “Dobbiamo cominciare a guardare al futuro con un’ottica diversa che è quella della prevenzione, serve l’analisi del rischio di tutto quello che facciamo – ha affermato Cingolani – In vista del Recovery Plan, mi viene in mente quanto sia importante oggi poter osservare il territorio mettere insieme satelliti, droni, i sensori che sono a terra, riuscire a fondere i dati, metterli in un cloud sicuro, analizzarli con l’intelligenza artificiale e riuscire così a monitorare le coste, le aree di verde, le discariche, le perdite dagli acquedotti o dalle condutture, la resistenza delle infrastrutture strade e ponti. Vivendo a Genova sono particolarmente sensibile a questo tema: ho visto il ponte Morandi crollare da casa mia, sono tutte cose che dobbiamo cominciare a mettere nel paniere delle nostre tecnologie. Una nazione smart, una nazione sicura, è in grado di prevedere, e per prevedere bisogna avere la possibilità di osservare le cose e metter insieme informazioni diverse, una nazione dove i cittadini hanno coscienza e consapevolezza”. “Questa per me è la transizione – ha concluso il Ministro rivolgendosi al personale del Ministero della Transizione Ecologica- è tutta da costruire, tutta da adattare. Avremo molto su cui lavorare insieme”.