Nei lontani anni ‘30 del secolo scorso, il 32° Presidente degli Stati Uniti d’America, Franklin Delano Roosevelt, pronunciò durante un suo discorso questa frase: “Una nazione che distrugge il proprio suolo si distrugge. Le foreste sono i polmoni della nostra terra, purificano l’aria e danno nuova forza alla nostra gente ”.
Oggi a distanza di oltre 90 anni, potremmo dire che aveva purtroppo ragione, ma l’essere umano ha continuato a non ascoltare i gridi di allarme e i segnali delle devastanti conseguenze dovute al cambiamento climatico causato dallo sfruttamento incontrollato delle risorse del Pianeta.
La causa principale dei cambiamenti climatici è l’effetto serra provocato da alcuni gas che agiscono proprio come una “serra”: catturano il calore del sole e lo trattengono provocando l’innalzamento della temperatura in ogni angolo del nostro pianeta.
L’innalzamento globale della temperatura si sta verificando molto più velocemente rispetto alle stime degli esperti e i drammatici effetti sono visibili a tutti:
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l’innalzamento del livello del mare a causa dello scioglimento dei ghiacciai,
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l’aumento di CO2 e dei gas ad effetto serra generato dalla combustione di carbone, petrolio e gas causato in gran parte dalle centrali elettriche, dagli altri impianti industriali e dai mezzi di trasporto,
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L’aumento dei fenomeni meteorologici estremi,
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la desertificazione causata dal cambiamento climatico e dall’uomo, perché il suolo è di per sé un serbatoio di CO2 che viene rilasciata con l’impoverirsi della vegetazione.
L’uomo sembra essersi accorto del problema solo ora? Ovviamente no.
Solo negli ultimi trent’anni troveremo migliaia di pubblicazioni, libri, articoli sul tema: gli esperti hanno presentato una infinità di dati scientifici e di proiezioni utili per comprendere la gravità del problema.
Non sono state profezie quelle sui devastanti effetti dell’inarrestabile ed accelerato aumento del riscaldamento climatico, ma dati oggettivi che la comunità mondiale ha preso in seria considerazione solo negli ultimi anni.
L’organizzazione delle Nazioni Unite e L’Unione Europea hanno assunto dal 2015 precisi impegni per contrastare i cambiamenti climatici e, nello specifico:
L’Unione Europea prevede
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di ridurre del 55% e entro il 2030 le emissioni di CO2 rispetto al 1990
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di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha predisposto L’agenda ONU 2030 che prevede di raggiungere entro il 2030 tre obiettivi climatici:
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ridurre del 45% le emissioni di CO2 entro il 2030,
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raggiungere la neutralità climatica entro il 2050
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stabilizzare l’aumento della temperatura globale a 1,5° entro la fine del secolo.
L’agenda ONU 2030 si compone oltre alla lotta per il cambiamento climatico anche di ben altri 16 goals:
Goal 1 – configgere la povertà,
Goal 2 – sconfiggere la fame,
Goal 3 – salute e benessere,
Goal 4 – istruzione di qualità,
Goal 5 – Parità di genere,
Goal 6 – Acqua pulita e sevizi igienico sanitari,
Goal 7 – Energia pulita e accessibile,
Goal 8 – Lavoro e crescita economica,
Goal 9 – Imprese, innovazione e Infrastrutture,
Goal 10 – Riduzione delle disuguaglianze,
Goal 11 – Città e comunità sostenibili,
Goal 12 – consumo e produzione responsabili,
Goal 13 – Lotta contro il cambiamento climatico,
Goal 14 – Vita sott’acqua,
Goal 15 – Vita sulla terra
Goal 16 – Pace, Giustizia e istituzioni solide,
Goal 17 – Partnership per gli obiettivi.
Riguardo al Goal 13, promuovere azioni a tutti i livelli per combattere il cambiamento climatico, Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Guterres, all’apertura del dibattito della settantaseiesima Assemblea generale del 21 settembre u.s., ha detto che
“… Siamo sull’orlo di un abisso e ci muoviamo nella direzione sbagliata. Sono qui per dare l’allarme … il mondo non è mai stato più minacciato e più diviso .. il recente rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Cange è stato un codice rosso per l’umanità. Siamo a poche settimane dalla Cop26 di Glasgow, ma apparentemente lontani anni luce dal raggiungimento dei nostri obiettivi. Dobbiamo fare sul serio, dobbiamo agire in fretta,…”.
La COP26 è la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021. L’ONU ormai da circa 30 anni riunisce quasi tutti i Paesi della terra sul tema del clima, ma la priorità è stata veramente innalzata solo negli ultimi anni a seguito del rapido e imprevisto ulteriore peggioramento delle previsioni.
Quest’anno la COP si terrà a Glasgow e avrà un carattere straordinario perché tutti i Paesi dovranno assumersi impegni ben più onerosi per tentare di rispettare gli impegni assunti nella COP di Parigi di contenere a 1,5 gradi l’aumento del riscaldamento globale.
Tutti i Paesi, compresa l’Italia, accettarono di sottoscrivere l’accordo con cui si impegnarono a raggiungere tale obiettivo entro il 2030.
Ma qual è la reale situazione ad oggi?
Nell’incontro effettuato fra 50 Ministri per L’ambiente ( riunione pre-COP26, presente per l’Italia il Ministro Cingolani) è emersa la necessità di fare di più se si vuole mantenere il riscaldamento sotto 1,5 gradi.
Tutti gli Stati devono impegnarsi di più per la decarbonizzazione e, riguardo ai Paesi in via di sviluppo, occorre garantire ogni azione per erogare entro il 2025 il fondo per il clima di 100 miliardi di dollari e disincentivare qualsiasi investimento nella ricerca ed estrazione dei fossili e concentrare tutti gli sforzi degli investimenti verso l’utilizzo di risorse energetiche a impatto zero per l’ambiente.
Cosa sta accadendo nel Pianeta?
Quali sono gli inquietanti segnali che hanno finalmente spinto i Paesi a cercare le soluzioni per fermare il riscaldamento globale e impedire che si prosegua verso un irreversibile peggioramento?
Scioglimento dei Ghiacciai.
Lo Fusione o scioglimento dei ghiacciai in corso è un problema noto a tutti.
Tanti sono stati gli allarmi lanciati nel corso degli ultimi due decenni sulla gravità del problema: dalla comunità scientifica, dalle associazioni ambientaliste, dagli esperti del settore e dalla gente comune.
Negli ultimi 20 anni c’è stata una forte accelerazione dello scioglimento dei ghiacciai, si calcola che abbiamo perso oltre 267 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’anno, con un’impennata del 130% tra il 2000 e il 2019.
Uno studio condotto da un team internazionale di ricercatori dell’Università di Tolosa effettuato sui 217.000 ghiacciai nel mondo, ha consentito di effettuare tali stime sulla base di misurazioni di altissima precisione dello spessore di tali ghiacciai. Dallo studio sono stati escluse le calotte della Groenlandia e dell’Antartide.
Le conclusioni di tale studio sono molto allarmanti se saranno confermate. Se anche dovessimo riuscire a limitare l’innalzamento della temperatura globale, stando alle conclusioni degli studiosi non potremmo mai più ripristinare lo stato dei ghiacciai a quello prima dello scioglimento.
Lo scioglimento dei ghiacciai alpini in Italia.
La situazione italiana non fa eccezione, ovviamente: sono almeno sette i ghiacciai d’Italia a rischio scioglimento a causa del cambiamento climatico.
Negli ultimi 150 anni la superficie dei ghiacciai alpini si è ridotta del 60% rispetto la superficie occupata, con punte dell’82% nelle Alpi Giulie e 97% nelle Marittime.
Sembra che le polveri che si depositano a seguito delle piogge faccia sciogliere ancora più rapidamente i ghiacciai.
L’aumento del livello degli oceani e dei mari.
Il progressivo scioglimento dei ghiacciai causa l’aumento del livello degli oceani con il conseguente rischio per gli abitanti delle città costiere che saranno costrette ad abbandonare intere regioni adiacenti la costa.
Le Isole Salomone. Gli abitanti dell’isola Nuatambu, arcipelago delle isole salomone, dal 2011 ad oggi hanno perso oltre la metà della loro area abitabile a causa dell’innalzamento del mare.
Le 25 famiglie che abitano l’isola hanno già perso 11 case. Altre 5 isole coralline dell’arcipelago sono scomparse, sommerse dalle acque del mare. In queste isole il livello del mare si è innalzato di circa 7-10 millimetri l‘anno. Altre 6 isole sono seriamente compromesse dall’erosione costiera.
Si calcola che Le isole Salomone scompariranno progressivamente dalle carte geografiche e ciò che più indigna è che a farne le spese sono gli abitanti che non hanno colpe riguardo all’innalzamento della temperatura; eppure, ne sono le prime vittime.
Gli incendi in California: deforestazione e siccità.
È drammatica la situazione degli incendi in California. Nel 2021 sono bruciati oltre 180.000 ettari nelle contee i Plumas, Butte, Losse e Teoma. In sierra Nevada, tra lo stato californiano e il Nevada, sono bruciati oltre 70.000 ettari. Incendi e siccità che crescono di anno in anno ad una velocità tale al punto che oggi il 73% del territorio è in condizione di siccità “estrema”. Sono bruciati in meno di due settimane circa 100 kmq nel Sequoia national park, un parco naturale della Sierra Nevada, noto per i suoi esemplari unici di alberi che hanno fino a 3mila anni di età.
Deforestazione e incendi in Amazzonia.
Si stima che nell’amazzonia negli ultimi 10 anni siano state bruciate aree di foresta amazzonica grandi come la superficie dell’Italia (circa 300.000 kmq). Nello stesso periodo sono stati tagliati o bruciati circa 170.00 kmq di foresta primaria, la più ricca di biodiversità. Anche in Amazzonia la situazione diventa sempre più grave di anno in anno e l’accelerazione di tali fenomeni ci potrebbe portare rapidamente verso un punto di non ritorno se non si avviano rapidamente iniziative per ridurre l’emissione dei gas serra. L’Amazzonia è (tra poco rischiamo di dover dire … era) il più grande polmone verde del mondo e patrimonio mondiale per l’equilibrio dell’ecosistema terra.
Deforestazione e incendi in Italia.
Sono sempre più frequenti anche in Italia gli eventi meteorologici estremi aggravati dal cambiamento climatico in atto: le alluvioni e le inondazioni si ripetono con straordinaria forza e frequenza causando ingenti danni e disagi alla popolazione. Ma si verificano anche lunghi periodi torridi e di siccità con conseguente rischio di incendi e desertificazione.
L’Italia detiene in Europa il primato del numero di incendi: anche se nella maggior parte dei casi essi sono innescati dalla mano dell’uomo, la facilità con cui si diffondono dipende dalla siccità e conseguente aridità delle aree. Si calcola che nel solo primo semestre dell’anno sono bruciati in Italia circa 102.000 ettari di bosco.
Decarbonizzazione e siccità in Australia.
l’Australia è il più grande produttore ed esportatore di carbone nel mondo e, come sappiamo, l’utilizzo dei combustibili fossili genera acidi solforici, carbonici e nitrici, che cadono sulla Terra come pioggia acida, incidendo negativamente sull’ambiente.
Nel Queensland, outback australiano, e in molte altre zone c’è una gravissima siccità: una volta l’Australia erano piena di prati verdi e di allevamenti . Ora nel Queensland gli allevamenti di sono ridotti a un decimo perché non c’è erba, gli allevatori nutrono gli animali con il mais che acquistano. Si riducono rapidamente le riserve di acqua, c’è una la siccità che va avanti da cinque anni: una tragedia che non si era mai verificata prima. Non ci sono più le piogge primaverili di anni fa. Sono aumentatigli incendi: dal 2019 in Australia è bruciata un’area più grande della Scozia.
Heron island – la grande barriera corallina australiana
Qui vive la tartaruga verde che contribuisce a mantenere l’equilibrio del sistema marino. Queste tartarughe depongono qui le loro uova, il sesso dei nascituri lo determina la temperatura. A causa dell’innalzamento della temperatura il 98 % delle nasciate sono ora femmine e le tartarughe verdi rischiano una rapida estinzione che comprometterebbe anche l’ecosistema in cui vivono. I Ricercatori del Queensland recuperano le uova quando la tartaruga le depone (1 tartaruga ne depone 120-150) , crea dei nidi artificiali per tenere le uova al fresco e far si che nascano un po’ ‘ di tartarughe verdi maschi. L’uomo sta cercando di intervenire su di un processo di cambiamento del tempo che sta avvenendo troppo rapidamente e non dà la possibilità alle tartarughe verdi di capire come mutare per non estinguersi: l’uomo in questo caso sta cercando di aiutarle, ma tante altre specie si stanno estinguendo per l’incapacità di adattarsi ai repentini cambiamenti climatici.
Rimedi
È abbastanza chiaro che il cambiamento climatico è innanzitutto un problema energetico: si calcola che la generazione, il trasporto e il consumo dell’energia è responsabile di circa l’80% delle emissioni mondiali di CO2. Non è soltanto un problema di passaggio all’utilizzo di energia rinnovabile pur essendo quest’ultimo una priorità per raggiungere l’obiettivo emissione zero (passaggio al fotovoltaico, eolico, idroelettrico). Ci sono anche tantissimi sprechi di energia: si calcola che solo 1/3 dell’energia totale prodotta è poi realmente convertita ed utilizzata per usi civili e industriali, gran parte è sprecata nel processo nella fase di produzione e della trasmissione. La digitalizzazione dei processi di produzione e trasmissione dell’energia può consentire di ridurre gli sprechi soprattutto nella fase di transizione dall’utilizzo di energia di origine fossile all’utilizzo di energie rinnovabili. Il processo di decarbonizzazione è molto più complesso perché occorre affrontarlo e risolverlo a livello mondiale dando la possibilità alle economie più povere e ai maggiori produttori / estrattori di energia fossile di riconvertire le loro economia. Soprattutto i Paesi in via di sviluppo hanno maggiori necessità di essere supportati anche finanziariamente in questa fase di riconversione. L’essere umano che è causa del cambiamento climatico deve intervenire in tempo e drasticamente rimuovendo non solo le cause del riscaldamento climatico, ma anche ripristinando l’ecosistema fortemente compromesso tramite la riforestazione delle aree bruciate o utilizzate per nuove praterie e nuovi allevamenti, il recupero delle aree desertificate, l’eliminazione degli sprechi – in primis quelli alimentari, la tutela del mare e con un uso più equilibrato dei terreni per scopo alimentare e industriale.
* Socio AIDR e Responsabile Osservatorio Tecnologie Digitali nel settore dei Trasporti e della Logistica.