L’Osservatorio

Studio Cgia, nel 2016 prezzi al consumo -0,1%

 Nel 2016 i prezzi al consumo per i cittadini italiani sono mediamente diminuiti dello 0,1 per cento. Ciò non avveniva dal lontano 1959 e il nostro Paese è in deflazione. Questo il primo risultato dell'ultima analisi dell'Ufficio Studi della Cgia che ha monitorato la variazione media dei prezzi di 200 voci di prodotto nei primi 11 mesi del 2016 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. In primis quelli dove il progresso tecnologico consente, sovente, la contrazione dei prezzi (computer fisso -11,5%, apparecchi per la telefonia fissa e telefax -9,5%, apparecchi per la riproduzione di immagini e suoni come tv/dvd -3,8% e giochi -2,4% che sono sempre più elettronici). In seconda battuta, nel 2016, sono scesi i prezzi degli energetici: gasolio per riscaldamento -9,5%, gasolio auto -8,8%, altri carburanti come GLP/metano -8,2%, gas per la casa -8,1%, benzina -5,9%; la determinante di tale discesa è ovviamente legata al prezzo del petrolio mantenutosi per gran parte del 2016 al di sotto dei 50 dollari al barile.

 In terzo luogo la deflazione ha colpito gli alimentari: pomodori (-5,4%), insalata (-3,9%), zucchero (-2,2%), arance (-1,9%) e gelati (-1,8%) sono i prodotti che hanno segnato la riduzione più ampia dei prezzi ma la lista degli alimentari con il segno meno è lunga: cereali per colazione (-1,4%), farina/altri cereali diversi dal riso (-1,2%), yogurt (-1,1%), preparati di pasta (-0,9%), prodotti di pasticceria confezionati (-0,8%), burro (-0,8%), carne suina (-0,7%) e banane (-0,5%). Dalla classifica dei prodotti alimentari con il segno meno se ne contano in tutto ventisette. Scorrendo il rank dei prezzi in diminuzione si notano anche i voli internazionali (-7,3%) sfavoriti in termini di domanda dalla paura generata dal terrorismo e i canoni/abbonamenti radio-tv (-2,4%) che includono gli effetti della riduzione del canone Rai. "Il calo del prezzo di alcuni prodotti è sicuramente una buona notizia per i consumatori ma un problema per l'economia italiana che fatica a crescere. Solo nel 1959 i prezzi sono diminuiti ma il Pil cresceva del 7 per cento, nel 2016, invece, la crescita dell'economia italiana è inferiore all'1% e la deflazione esiste perché la domanda è debole e i consumi sono troppo lontani dai livelli pre-crisi", dichiara il coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo.

La Cgia ha anche verificato l'andamento dei prezzi al consumo nei comuni capoluogo di provincia. In 44 comuni sui 72 per i quali i dati erano disponibili gli indici dei prezzi sono stati in flessione (Tab. 3). La deflazione coinvolge, a macchia di leopardo, tutto il Paese e nel 2016 nemmeno le metropoli si sono salvate dalla deflazione: Milano (-0,6%), Torino (-0,3%) e Roma (-0,3%); in testa alla classifica, insieme a Milano, Potenza (-0,6%) e Vicenza (-0,6%). Per il Centro Italia le contrazioni maggiori sono state ad Ancona (-0,3%), Terni (-0,3%) e Perugia (-0,2%). Il fatto che la discesa dei prezzi coinvolga quasi tutto il Paese testimonia come nei consumatori prevalgano preoccupazioni; l'incertezza non favorisce la fiducia

 La deflazione preoccupa gli artigiani comprimendo i margini delle imprese, spiega la nota della Cgia, ricordando come nel 2016, che si chiude con una variazione negativa dei prezzi al consumo pari a -0,1% su base annua, il calo dei prezzi abbia colpito 11 capitoli di spesa su 12. "L'artigianato, il piccolo commercio e il lavoro autonomo vivono soprattutto di domanda interna. I soli consumi delle famiglie rappresentano più del 60 per cento del Pil italiano mentre le esportazioni nette appena il 3%. E nonostante i consumi delle famiglie abbiano registrato una leggera ripresa negli ultimi tre anni, purtroppo questi sono circa 5 punti percentuali al di sotto del livello del 2007. La domanda è debole e questo influisce sul livello dei prezzi che continuano a scendere, comprimendo i margini di guadagno delle imprese", conclude puntualizza il Segretario della Cgia Renato Maso

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Tra Natale e Capodanno andranno in vacanza complessivamente circa 14,2 milioni di italiani

Tra Natale e Capodanno andranno in vacanza complessivamente circa 14,2 milioni di italiani (+11,6% rispetto al 2015) dormendo almeno una notte fuori casa. Emerge da un'indagine last minute di Federalberghi. Il giro d'affari sara' di circa 8,7 miliardi (+9,5% rispetto al 2015). Tra coloro che non faranno alcuna vacanza (46 milioni di italiani) quasi 23 milioni dichiarano di non potersi muovere per motivi economici.

 Per Natale saranno circa 6,9 milioni (6,6 milioni nel 2015) gli italiani che si muoveranno dalla propria citta', dormendo almeno una notte fuori casa, per un incremento del 4,8%. Tra chi andra' in vacanza il 91% (86% nel 2015) restera' in Italia, mentre il 9% (14% nel 2015) andra' all'estero. Per Capodanno saranno circa 7,3 milioni gli italiani (circa 6,2 milioni nel 2015) che si muoveranno dalla propria citta', dormendo almeno una notte fuori casa, per un +18,9% rispetto al 2015. Tra chi partira' in vacanza l'83% (80% nel 2015) restera' in Italia, mentre il 17% (20% nel 2015) andra' all'estero.

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Indagine Casevacanza.it, tra Natale e Capodanno il boom di prenotazioni a dicembre

Tra Natale e Capodanno si concentra oltre l'80% di tutte le richieste di soggiorno e prenotazioni registrate dal portale CaseVacanza.it nel mese di dicembre 2016. Stando ai volumi di domanda è Roma la città che cattura l'interesse maggiore da parte degli italiani. La Capitale raccoglie, spiega CaseVacanza.it, consensi in tutto il periodo considerato, tanto da occupare la prima posizione sia per i giorni di Natale, sia per San Silvestro. Se poi si distinguono i due periodi emerge una generale diversità di gusto: gli italiani sembrano preferire la montagna nella settimana in cui cadono il 25 e il 26 dicembre, mentre punteranno alle città d'arte per dare il benvenuto al nuovo anno. Scorrendo la classifica relativa a domanda e prenotazioni per il periodo compreso tra il 23 e il 27 dicembre le località più gettonate (oltre a Roma) sono note destinazioni montane: nella top ten dominano i comuni della Valle d'Aosta, con Aosta in seconda posizione e Bionaz - nota agli appassionati di sci di fondo - in quarta, La Salle in quinta e Valtournenche e Bard rispettivamente in nona e in decima posizione. Bene anche il Trentino Alto Adige, la regione più presente tra le 40 mete più prenotate del Natale: due sono le destinazioni entrate nella top 10, Molveno (Tn) in sesta e Ortisei (Bz) in ottava posizione.

Anche la Lombardia ha una località montana in classifica, Aprica, in provincia di Sondrio, che occupa la terza posizione. Unica città del Sud Italia presente nella classifica delle dieci mete più ambite è Napoli - il cui Natale è uno dei più suggestivi e pittoreschi d'Italia. Gli italiani che alloggeranno in casa vacanza in questo periodo resteranno 3,4 giorni, con un picco a Roma (4,2) e con una media di soli 3 giorni a Ortisei. La spesa più alta, tra le località in classifica, è prevista a La Salle, dove una famiglia di quattro persone spenderà 192 euro a notte. Solo 136 ne serviranno a Bard, che è il comune più conveniente tra i primi dieci. Nel periodo 30 dicembre-3 gennaio Roma, come detto, è prima in classifica e condivide il podio con altre due città contraddistinte da un alto traffico turistico: Firenze e Verona. A strettissimo giro c'è poi un'altra delle destinazioni regine dell'inverno, Bormio (So), che non è l'unica località lombarda presente in classifica, visto che in nona posizione si trova Milano, ormai diventata una destinazione turistica molto ambita. Fa ancora meglio Torino, che è sesta, con una performance di poco superiore ad Aosta, settima. Chiude la classifica Rivisondoli, località montana in provincia de L'Aquila.

A Capodanno, com'è tradizione, i prezzi salgono e, considerando le dieci destinazioni più prenotate, la più costosa è Bormio, in cui un gruppo di quattro persone spenderà 204 euro a notte; ben più conveniente è Abetone, con soli 144 euro a notte. Il pernottamento medio più lungo lo si registra a Torino (5 giorni), quello più breve - forse per via dei costi - è nella cittadina di Bormio (2,6 giorni)

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Un regalo su tre, il 29%, proverra’ dal web

Babbo Natale e' sempre piu' digitale. Sotto l'albero quasi un regalo su tre, il 29%, proverra' dal web. Vestiti, libri e specialita' gastronomiche saranno le prime scelte delle famiglie, insieme a smartphone e tablet. Una novita' sara' poi rappresentata dagli abbonamenti alle piattaforme streaming come Netflix o Spotify, esplosi come dono natalizio nell'ultimo anno. Sono queste le indicazioni del sondaggio di Confesercenti e Swg in occasione delle feste di Natale. La spesa prevista per i doni e' in media di 600 euro a famiglia, in linea con quella dello scorso anno (609 euro), ma con un deciso aumento delle disuguaglianze. Sono sempre di piu', infatti, quanti stanziano per i doni meno di 250 euro: quattro famiglie su dieci. E allo stesso tempo aumentano, dal 13% al 17%, coloro che non badano a spese, pagando oltre 800 euro per i regali. Pesa sulle intenzioni di acquisto l'aumento dell'incertezza percepita sia a livello politico, sia a livello personale, e c'e' una sensazione diffusa che sia peggiorata la situazione economica e sociale del Paese nel 2016. Non e' quindi il momento di "fare follie", oltre sette italiani su dieci hanno gia' ridotto le loro spese nel corso dell'anno, a Natale, pero', molti sono pronti a fare qualche sacrifico per offrire un regalo ai propri cari. Il 58% cerca un dono - anche solo simbolico - per tutti i familiari. Il 33% si concentra soprattutto sui bambini, mentre uno su dieci compra doni solo ed esclusivamente per i piu' piccoli. Per lo shopping, sempre piu' spesso le famiglie si lasciano tentare dalle offerte del web, a discapito soprattutto dei centri commerciali e dei grandi esercizi commerciali, presi un po' meno d'assalto del solito. La grande distribuzione resta comunque al primo posto per numero di preferenze, ma queste passano dal 39% del 2015 al 37% di quest'anno. Per una volta, resistono meglio all'avanzata dell'e-commerce i piccoli negozi e i mercatini di Natale, che vengono scelti dal 31% degli italiani per i loro regali (era il 32% lo scorso anno). "La stagione natalizia 2016 - afferma il presidente di Confesercenti, Massimo Vivoli - e' un banco di prova importante per i consumi, e, in particolar modo, per i negozi tradizionali: sono infatti proprio le attivita' di quartiere che hanno pagato in questi anni il conto piu' salato della crisi. Sarebbe bello se, anche per questo, gli italiani scegliessero i negozi tradizionali per i loro regali di Natale".

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Confesercenti-Swg, per 42% Italia peggiorata nel 2016

Questo Natale quasi un italiano su due (il 47%) segnala di vivere con meno certezze rispetto al 2015 e una quota simile (il 42%) ritiene che l'Italia peggiorata dal punto di vista economico e sociale, mentre solo il 17% intravede un miglioramento. Il sondaggio natalizio di Confesercenti e Swg mostra un sentiment negativo forte soprattutto nell'eta' di mezzo: nelle persone tra i 34 ed i 54 anni, infatti, la quota di chi segnala un deterioramento del Paese arriva a toccare il 53%, piu' di uno su due. Le difficolta' emergono ancora piu' nettamente se si limita l'analisi ai comportamenti di spesa: il 72% degli intervistati ammette di aver ridotto le spese anche quest'anno, contro un 5% che le ha invece aumentate. In ogni caso l'esito del referendum pesa poco sull'atmosfera natalizia - solo il 13% ritiene che possa incidere negativamente - ma altrettanto non si puo' dire del quadro politico emerso dopo il voto, che rende piu' incerto il 45% degli intervistati. A preoccupare di piu', pero', sono ancora altre questioni: in primis l'aumento dei flussi di migranti e rifugiati ed il rallentamento dell'economia, rispettivamente segnalati dal 47 e dal 46% degli intervistati come gli eventi che hanno maggiormente contribuito a creare incertezza sociale ed economica. Ma incidono anche Brexit ed emergenza terrorismo (entrambi indicati dal 20%), cosi' come i terremoti dell'Italia centrale (17%).

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Istat, al Sud Pil per abitante -44,2% inferiore rispetto al Centro-Nord

Nel 2015 il Pil per abitante risulta pari a 33,4mila euro nel Nord-ovest, a 32,3mila euro nel Nord-est e a 29,3mila euro nel Centro. Il differenziale negativo del Mezzogiorno e' molto ampio: il livello del Pil pro capite e' di 17,8mila euro, inferiore del 44,2% rispetto a quello del Centro-Nord (44,5% nel 2014). In termini di reddito disponibile per abitante, il divario scende al 34,3% (35,0% nel 2014). Lo rivelano i dati dell'Istat.

 La spesa per consumi finali delle famiglie a prezzi correnti e' di 19,4mila euro nel Nord-ovest, 19,2mila euro nel Nord-est, 17,4mila euro al Centro e 12,7mila euro nel Mezzogiorno. Il divario negativo tra Mezzogiorno e Centro-Nord e' del 32,1% Nel 2015 il Pil in volume, a fronte di una crescita a livello nazionale dello 0,7% rispetto all'anno precedente, ha registrato un incremento dell'1,1% nel Mezzogiorno, dello 0,8% nel Nord-ovest, dello 0,7% nel Nord-est e dello 0,3% al Centro. Tra il 2011 e il 2015 le aree che registrano i cali piu' marcati del Pil sono il Centro (-1,2%) e il Mezzogiorno (-1,1%). La flessione e' stata piu' contenuta nel Nord-ovest (-0,9%) e nel Nord-est (-0,5%)

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Cgia, per imprese arriva stangata da 5 miliardi

Entro il prossimo 16 dicembre gli imprenditori saranno chiamati a versare la seconda rata di Imu e Tasi sugli immobili strumentali, che complessivamente costera' poco meno di 5 miliardi di euro. Al lordo del risparmio fiscale, secondo la Cgia, "lo sforzo maggiore sara' richiesto agli albergatori che mediamente saranno chiamati a versare 6.000 euro circa a immobile. Seguono i proprietari dei grandi magazzini commerciali (categoria catastale D8), con poco piu' di 4.000 euro, e i "capitani" delle grandi industrie (D7), con poco piu' di 3.220 euro. Se per i capannoni di minori dimensioni (D1), gli artigiani e i piccoli imprenditori pagheranno poco piu' di 2.000 euro, per gli uffici e per gli studi privati (A10) i liberi professionisti verseranno un'imposta media di poco superiore di 1.000 euro. Infine, il saldo su negozi (C1) e laboratori (C3) costera' ai commercianti e ai piccoli artigiani rispettivamente 498 e 377 euro". L'Ufficio studi della Cgia fa sapere che "e' giunto a questi risultati utilizzando, per ciascuna tipologia di immobile strumentale, le aliquote medie risultanti dall'analisi delle delibere dei Comuni capoluogo di provincia pubblicate sul sito del Dipartimento delle Finanze. Per ogni tipologia di immobile sono state utilizzate le rendite catastali medie ricavate dalla banca dati dell'Agenzia delle Entrate". Ma le brutte notizie, secondo l'ufficio studi, "non finiscono qui". Paolo Zabeo, coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia, ricorda che "dal 2011, ultimo anno in cui abbiamo pagato l'Ici, al 2016 l'incremento del carico fiscale sugli immobili ad uso produttivo e commerciale e' stato spaventoso. Tutto cio' ha dell'incredibile. E' utile ricordare che il capannone, ad esempio, non viene esibito dall'imprenditore come un elemento di ricchezza, bensi' e' un bene strumentale che serve per produrre valore aggiunto, dove la superficie e la cubatura sono funzionali all'attivita' produttiva esercitata. Accanirsi fiscalmente su questi immobili come e' avvenuto in questi ultimi anni non ha alcun senso, se non quello di fare cassa, danneggiando l'economia reale del Paese e, conseguentemente, l'occupazione". 

Secondo la Cgia, "gli aumenti verificatisi negli ultimi anni per singola tipologia di immobile strumentale sono stati molto pesanti". "Dal 2011 al 2016, l'incremento del carico fiscale al lordo del risparmio fiscale sugli uffici ha toccato il 145,5 per cento. Per i negozi l'aumento e' stato del 140,9 per cento, per i laboratori artigianali del 109,7 per cento, mentre per gli alberghi, per i grandi magazzini commerciali e per i capannoni industriali il prelievo e' quasi raddoppiato". Dalla Cgia, inoltre, si segnala che il prossimo 16 dicembre sara' una giornata di "passione" per milioni di imprenditori italiani. "Oltre al pagamento della seconda rata dell'Imu e della Tasi, le imprese saranno chiamate a versare le ritenute Irpef e i contributi previdenziali dei dipendenti e dei collaboratori. Inoltre, coloro che hanno optato per il pagamento su base mensile dell'Iva dovranno versare all'erario quella riferita al mese di novembre". "Se si considera che entro Natale bisognera' pagare anche le tredicesime dei lavoratori dipendenti - afferma il segretario della Cgia Renato Mason - per moltissimi imprenditori non sara' facile recuperare la liquidita' necessaria per onorare tutte queste scadenze". Dalla Cgia fanno notare che "a fronte di circa 20,9 miliardi di gettito previsti per l'anno in corso e riconducibili al pagamento dell'Imu e della Tasi su tutti gli immobili presenti nel Paese, quasi la meta' (10,5 miliardi) sono in capo a quelli strumentali". "Di questi, poco piu' di 9 miliardi saranno versati dagli imprenditori proprietari di questi edifici. Gli altri 11,8 miliardi di gettito non riferiti a edifici a uso produttivo/commerciale saranno "garantiti" dai proprietari di immobili sfitti, dai proprietari di seconde e terze case, da coloro che sono chiamati a pagare la Tasi sulle abitazioni principali di lusso, sulle aree edificabili, ". L'Ufficio studi fa infine notare che "grazie alle misure di alleggerimento introdotte con la legge di Stabilita' 2016, quest'anno i proprietari di immobili risparmieranno 4,3 miliardi di euro: di cui 3,5 miliardi dall'eliminazione della Tasi sulla prima casa; 530 milioni dall'eliminazione dell'Imu sugli imbullonati; 160 milioni dall' ampliamento dell'esenzione Imu sui terreni agricoli; 81,4 milioni dallo sconto Imu-Tasi sugli affitti con canone concordato; 21 milioni dalla riduzione per i comodati d'uso e 16 milioni dall'abolizione della Tasi agli inquilini". 

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Il 5,4% delle famiglie italiane ha saltato la rata del mutuo o dell’affitto

 Il 5,4% delle famiglie italiane ha saltato la rata del mutuo o dell'affitto. E il numero di chi dichiara di essere in 'bolletta', al momento della scadenza, e' andato crescendo tanto che nel 2015 ha toccato il livello massimo dall'inizio della serie sulla rilevazione, avviata undici anni prima. Il dato emerge dall'indagine dell'Istat sulle condizioni di vita, che mette anche in chiaro come quasi il 60% dei nuclei giudichi "pesante il carico delle spese" da versare alla banca o al proprietario della casa in cui si vive.      D'altra parte l'esborso per stare sotto un tetto rappresenta uno dei capitoli principali delle uscite per le famiglie che hanno acceso un mutuo (il costo medio e' di 586 euro mensili) o che sono in affitto (431 euro). A livello territoriale le differenze non mancano: si va dal 4,7% del Nord Est al 6,9% del Sud. E, ovviamente, le cose cambiano anche a seconda della condizione professionale di chi 'porta il pane': i piu' puntuali sono i pensionati (1,4%), i piu' ballerini, come immaginabile, sono invece i disoccupati (18,9%). Chi vive di lavoro dipendente e' meno preciso (6,2%) di chi svolge un'attivita' autonoma (5,3%). E, ancora, c'e' il fattore eta': tra gli under35 la percentuale dei ritardatari si alza e di molto (12,0%, contro l'1,5% degli over65). Tutto torna se si guarda anche a quante poche famiglie riescono a risparmiare, sempre dall'indagine dell'Istat emerge che in ben il 71,6% delle 'case' mettere da parte dei soldi e' una 'mission impossible'. Anche in questo caso si tratta della percentuale piu' alta da quando sono iniziate le serie storiche dell'Istat, che dopo il report 'Condizioni di vita e reddito' ha aggiornato il suo database, con tutti i dettagli sui cosiddetti 'indicatori di disagio economico'. E guardando alle singole voci si scopre come perfino l'acquisto del telefono fisso diventi per alcuni un 'lusso' (l'11,1% trova difficolta' nel comprarlo). Non c'e', infatti, solo la casa e anche altre uscite possono risultare di troppo. Stando sempre all'indagine dell'Istat, ci sono famiglie che "in alcuni periodi dell'anno" si sono ritrovate a "non avere soldi" per acquistare l'abbigliamento necessario (16,0%), per fare fronte a malattie (11,7%), per pagare le tasse (13,5%) ma anche per muoversi, per i trasporti (8,8%) o per mangiare (8,3%).

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Coldiretti/Ixe’: 6 italiani su 10 fanno shopping nei mercatini

 Quasi sei italiani su dieci (58 per cento) frequentano i tradizionali mercatini di Natale che si moltiplicano nelle piazze italiane con il ponte dell'Immacolata e che offrono opportunità di acquistare regali per se stessi e per gli altri da mettere sotto l'albero. E' quanto emerge da una analisi Coldiretti/Ixè per le festivita' di fine anno 2016 dalla quale si evidenzia che per il Ponte dell'Immacolata si moltiplicano le iniziative, dalla fiera degli Oh bej oh bej a Milano al Trentino fino a quello degli agricoltori terremotati. Una opportunità che - sottolinea la Coldiretti - unisce il relax con la possibilità di fare acquisti con curiosità e novità ad originalità garantita per sfuggire alle solite offerte standardizzate. Non mancano pero' le iniziative di solidarietà come ad Ancona, con il grande mercato di Campagna Amica di Piazza Pertini che ospiterà quest'anno fino all'11 dicembre le aziende agricole delle zone terremotate, con la vendita di prodotti e cesti per contribuire al rilancio economico delle aree colpite dal sisma. Una opportunità disponibile anche on line dove con un semplice clic è possibile ordinare on line dal sito di campagna amica.

Tra quanti frequenteranno i mercatini solo il 18% non farà alcun acquisto mentre la maggioranza del 44 per cento spenderà in prodotti enogastronomici ma molti altri in decori natalizi (29%), prodotti per la casa, oggetti artigianali, capi di abbigliamento e i giocattoli, secondo Coldiretti/Ixe'. Piu' di tre italiani adulti su quattro - continua la Coldiretti - hanno scelto di rimanere a casa durante il ponte dell'Immacolata magari approfittando proprio dei mercatini presenti in molte città per qualche ora di svago ma sono circa 4 milioni gli italiani in vacanza con almeno una notte fuori casa mentre più del doppio coglieranno l'occasione della festa per fare almeno una scampagnata o una gita fuori porta in giornata secondo un sondaggio on line condotto dal sito della Coldiretti. In tutti i casi il ponte è per molti italiani una occasione per lo shopping natalizio che conferma quest'anno la spinta verso spese utili che - continua la Coldiretti - premia infatti l'enogastronomia anche per l'affermarsi di uno stile di vita attento alla riscoperta della tradizione a tavola. La migliore garanzia sull'originalità dei prodotti alimentari in vendita nei mercati è quella della presenza personale del produttore agricolo che - sottolinea la Coldiretti - puo' offrire informazioni diretta sul luogo di produzione e sui metodi utilizzati. Un fenomeno che è sostenuto in Italia dalla presenza della rete dei mercati degli agricoltori di Campagna Amica alla quale fanno riferimento oltre 1000 mercati dove è possibile acquistare senza intermediazione direttamente dai produttori cibi locali a chilometri zero che - conclude la Coldiretti - non devono essere trasportati da migliaia di chilometri di distanza e garantiscono maggiore freschezza. 

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Sono 7,2 milioni gli italiani che dichiarano di non potersi permettere un pasto adeguato

 Sono 7,2 milioni gli italiani che dichiarano di non potersi permettere un pasto adeguato (cioè con proteine della carne, del pesce o equivalente vegetariano) almeno ogni due giorni, anche se lo volessero. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al “Reddito e condizioni di vita” nel 2015 dalla quale si evidenzia che questa punta dell’iceberg della povertà riguarda ben l’11,8% della popolazione

"La situazione peggiore dal punto di vista alimentare si registra - sottolinea Coldiretti - nel Mezzogiorno d’Italia dove la percentuale sale al 17,4% (mentre al Centro è il 10,4% e al Nord l’8,3%), tra le famiglie monoreddito con il 17,3% e tra le persone sole con piu’ di 65 anni con il 19,8%. Si registra tuttavia - continua la Coldiretti - una tendenza al miglioramento rispetto all’anno precedente in cui la percentuale era del 12,6%. Una situazione che - sostiene la Coldiretti - si scontra con il fatto che ogni italiano che ha comunque buttato nel bidone della spazzatura durante l’anno ben 76 chili di prodotti alimentari che sarebbe piu’ che sufficienti a garantire cibo adeguato per tutti i cittadini. Un problema che riguarda in Italia l’interna filiera dove gli sprechi alimentari - conclude la Coldiretti - ammontano in valore a 12,5 miliardi che sono persi per il 54 per cento al consumo, per il 21 per cento nella ristorazione, per il 15 per cento nella distribuzione commerciale e per l’8 per cento nell’agricoltura e per il 2 per cento nella trasformazione".

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