L’Influencer Marketing vola verso un giro d’affari di oltre 20 miliardi di dollari, ma in Italia i rischi per le aziende sono ancora tanti. Solo il 30% dei brand ha un team dedicato a questo settore e la metà non utilizza clausole di esclusività nei contratti o tool per monitorare e garantire la brand safety. Il comparto nel nostro Paese vale oltre 300 milioni, ma manca consapevolezza sui brand nostrani. Questa è la fotografia che emerge dal nuovo white paper di FLU (realtà specializzata nel mondo dell’Influence Marketing e della Creator Economy), realizzato con il contributo di IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) e dello studio legale DGRS. “Oltre cinque anni di esperienza nel settore, ci hanno permesso non solo di monitorare l’evoluzione dell’Influence Marketing e dell’utilizzo di questo asset all’interno del marketing mix, ma anche di constatare come, ancora oggi, le aziende si approccino in maniera molto differente. La tipologia di interlocutori con cui dialoghiamo è molto ampia e questo è un indicatore piuttosto eloquente del fatto che a questa tipologia di attivazioni siano attribuiti differenti obiettivi”, afferma Rosario Magro, Co-Founder e Chief Operating Officer di FLU. “Esistono, ovviamente, casi specifici e tantissime eccezioni, ma è interessante creare correlazioni ricorrenti per capire la percezione dell’Influence Marketing da parte delle aziende e studiare progetti il più possibile su misura rispetto alle loro esigenze” aggiunge.
La ricerca va ad approfondire un settore, quello dell’influencer marketing, che nel mondo varrà oltre 20 miliardi e già ora in Italia pesa oltre 300 milioni e indaga i rischi e la poca consapevolezza che ancora interessa le aziende del nostro Paese, specialmente in tema di brand safety. Sempre più aziende oggi inseriscono questa leva all’interno del proprio marketing mix, in sinergia con altri touchpoint. L’Influencer Marketing appare dunque come un settore multi sfaccettato, che non può più essere affrontato con superficialità, sia per la rilevanza a livello di investimenti, sia per tutte le implicazioni che porta con sé. Il maggiore spazio che trova all’interno dei piani di comunicazione ha trasformato, inoltre, le dinamiche del settore, creando la necessità di lavorare con metriche più puntuali e di avere una regolamentazione aggiornata. Stando alle stime di UPA in Italia questo settore vale oltre 300 milioni, ma in controtendenza a una crescita costante solo metà delle aziende italiane utilizza tool per monitorare e garantire la brand safety e solo il 30% ha una figura o un team dedicato alla gestione delle attività di influence marketing. I dati, da un certo punto di vista sorprendenti, emergono da una nuova ricerca condotta da FLU, realtà specializzata in influence marketing parte di Uniting Group, che ha da poco pubblicato “Brand safety e Influence Marketing: strumenti legali e guideline per tutelare la tua campagna”, white paper realizzato con il contributo di IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) e dello studio legale DGRS.
Uno strumento che mira a rispondere ad alcune delle domande più comuni da parte di aziende e attori del settore sul rapporto tra Influencer e sicurezza del brand, ma anche sulla tutela degli stessi creator e dei loro intermediari. Tra le principali evidenze che emergono dalla ricerca non sorprende invece che per l’80% dei marketer l’elemento più importante quando si parla di brand safety è la credibilità, mentre 7 marketer su 10 sono preoccupati per l’accostamento con influencer e talent che spesso prendono posizione su tematiche eticamente controverse. La ricerca, grazie al coinvolgimento di un campione selezionato di importanti aziende italiane e multinazionali operanti in Italia, mira ad esaminare i principali rischi, gli strumenti legali e linee guida da seguire quando si affronta una campagna di influence marketing per poter garantire la brand safety.
Il white paper dedica poi un approfondimento alla Digital Chart (il testo normativo di riferimento per le campagne di influence marketing creato e recentemente aggiornato da IAP. Qui il Regolamento aggiornato), strumento particolarmente importante dato che, come emerge dal white paper, solo 1 brand su 2 utilizza clausole di esclusività nei contratti di influence marketing e solo il 40% inserisce eventuali penali.