Pnrr, Istat: fermare lo tsunami demografico

Dal Pil all’istruzione, dall’occupazione giovanile alle infrastrutture per il Mezzogiorno si “conferma la persistenza di divari strutturali di vario genere e livello, anche molto ampi; di rado si apprezzano processi di convergenza significativi col resto del Paese”. E’ quanto rileva l’Istat nel focus ‘I divari territoriali nel Pnrr – dieci obiettivi per il Mezzogiorno’.

“Le differenze interne – anche infra-regionali – sono molteplici, e tendono a delineare contesti più o meno critici che talvolta ricalcano criteri di perifericità geografica (distanza dal Centro-Nord), e in altri casi di marginalità territoriale (cosiddette “aree interne”). Nell’insieme – evidenzia l’Istat – sembra emergere una difficile sostenibilità dei divari, per l’impatto inedito sulla struttura demografica della società meridionale, che appare sempre più fragile nelle prospettive future”.

Nel focus l’Istat ha voluto “focalizzare alcuni aspetti connotativi del Piano per ricostruire una mappa, mirata e necessariamente parziale, dei divari interni all’Italia, ponendo al centro dell’attenzione ‘lo snodo’ del Mezzogiorno”. Dai dati emerge “la vischiosità e ampiezza dei ritardi del Mezzogiorno rispetto al resto del paese, i quali si ripropongono malgrado una lunga storia di interventi per lo sviluppo e la coesione”.

Gli indicatori evidenziano “gap importanti nel valore della ricchezza prodotta, del livello d’istruzione, del tasso di occupazione dei giovani. Ne derivano nuovi fenomeni migratori che restano una costante irrisolta e – a differenza dal passato – una minaccia per il futuro di gran parte del Mezzogiorno”, spiega l’Istat. “Anche in ragione di importanti interventi in atto, gli scarti sembrano ridursi sul fronte delle infrastrutture, a partire dalla digitalizzazione e in parte sull’efficientamento delle reti idriche, anche se – su questo fronte – le tendenze appaiono discontinue e in taluni casi localizzate, e contestuali a un certo arretramento di alcune aree del Centro-Nord”. Questi fenomeni, evidenzia l’Istat, “impattano sulla struttura demografica”, con il delinearsi del “rischio di un eccessivo impoverimento demografico del Mezzogiorno. Fra il 2011 e il 2020, la popolazione residente in queste aree ha fatto registrare per la prima volta un calo (-642mila abitanti; +335mila nel Centro-Nord) dovuto a un saldo naturale divenuto negativo e alla ripresa dei flussi migratori. A tendenze invariate nel 2030 i residenti in questi territori scenderanno per la prima volta sotto la soglia critica dei venti milioni di abitanti, con una riduzione su base decennale di circa 4 volte rispetto al Centro-Nord (-5,7% e 1,5%)”.

La perdita di popolazione si concentra soprattutto nelle fasce d’età più giovani nel Mezzogiorno, evidenzia l’Istat, aggiungendo che “ciò potrebbe determinare il venir meno della funzione di serbatoio di popolazione attiva, assolta nel tempo da queste regioni a supporto delle aree più sviluppate del paese. Inoltre, si avrebbe un effetto negativo sulla capacità di creare reddito (data la contrazione di forza lavoro), un aumento dei bisogni di cura degli anziani, una contestuale riduzione della domanda di altri servizi pubblici e privati per la componente giovanile (educativi, ludico-ricreativi) e una tendenziale caduta del gettito fiscale, necessario per finanziare il welfare locale”.

“Il Pnrr è un’opportunità storica per il rilancio del paese; lo è, al contempo, per alimentare approfondimenti e riflessioni su talune rilevanti criticità che lo caratterizzano”, afferma l’Istat.

“Gli esiti dei ritardi del Mezzogiorno stanno accentuando le fragilità della sua struttura socio-economica attraverso una sorta di ‘tsunami demografico’. Si tratta di un processo piuttosto ben delineato e di portata rilevante, che merita grande attenzione perché sembra prospettare un impatto inedito sulla struttura demografica di queste comunità. Se non si riesce a porre un freno, le tendenze in atto possono condurre verso un’involuzione progressiva e non sostenibile del capitale umano di molta parte del Mezzogiorno, che storicamente è stato il suo principale patrimonio. A oggi – conclude l’Istat -, le cosiddette “aree interne” potrebbero essere solo la parte più avanzata ed esposta di questa prospettiva”

 

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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