Collegio unico regionale, rappresentanza e campanili

di Alessandro D’Ascanio*

E dunque, stanti le dichiarazioni odierne di Luciano D’Amico, i gruppi di opposizione in Consiglio regionale pare si accingano a inseguire Marsilio sul terreno infido della riforma elettorale volta ad istituire un unico collegio, di ampiezza regionale, per l’elezione dei componenti dell’Assemblea legislativa abruzzese.

É invalsa, del resto, nel dibattito pubblico questa balorda abitudine di attribuire ai mutamenti delle regole di elezione presunti effetti salvifici sul sistema politico, a prescindere da un’analisi puntuale della meccanica di funzionamento del regime in vigore e da una stima, scientificamente fondata, dei mutamenti in via di introduzione.

Marsilio, sostenuto da D’Amico, sostiene che una lunghissima lista regionale di candidati al Consiglio dei vari partiti possa recidere il legame campanilistico che si produrrebbe tra gli aspiranti candidati nelle attuali liste provinciali e gli elettori, innescando una competizione virtuosa che tenda alla “rappresentanza regionale” e non alla cura di interessi circoscritti a livello territoriale!

Seguendo tale logica astratta, semplificatrice e vagamente furbesca – a mero titolo di esempio – ogni elezione organizzata su “piccoli” collegi uninominali in competizioni larghe sarebbe veicolo di espressione di posizioni biecamente locali! In Gran Bretagna, la combinazione di collegi di tal fatta, con una conformazione del sistema politico tendenzialmente bipartitico e il prevalere di temi nazionali nel dibattito elettorale ha consentito per decenni una competizione democratica in grado di coniugare “respiro nazionale della contesa” e rappresentatività dei territori!

Non è spezzando forzosamente il radicamento territoriale dei candidati e stigmatizzando le loro capacità di relazioni con aree geografiche definite che si possa qualificare di per sé l’attività del Consiglio regionale!

Le lunghe liste proporzionali con preferenze comportano poi una conseguenza sempre sottovalutata a discapito dell’esaltazione del carattere retoricamente democratico di tale sistema di elezione: la feroce competizione “intrapartitica” tra i candidati figlia di una lotta di corrente che – in tempi di crisi della forma-partito – non rispecchia più opzioni valoriali o progettuali, o anche solo legami con pezzi diversi della società, ma guerre di micro-potere tra cordate di portatori di preferenze assommabili per varie strade: clientelari, per aggregazione tattica nelle pieghe del gioco elettorale etc.

In altre parole, la dequalificazione del ceto politico, il tasso di astensione, lo scarso rendimento del sistema politico regionale in termini di legislazione e di programmazione amministrativa delle opere pubbliche e dei servizi, con buona probabilità, non possono essere posti in relazione secca con il sistema elettorale vigente che, a dirla tutta, pecca nei suoi elementi specifici che la paventata “riforma” non finirà che accentuare!

Non esistono rappresentanze larghe! Sono un palese imbroglio! Solo una rappresentanza ben identificata territorialmente, unita alle qualità dei rappresentanti da selezionare attraverso indicatori oggettivi, alla vitalità della società civile e alla rinascita dei partiti politici in termini di “aggregazione degli interessi”, potrà rinvigorire la democrazia dell’Abruzzo!

Occorrerebbe sfidare la destra, agli occhi della società, su questo terreno, non convergere con essa su posizioni “politiciste” e “finto-nuoviste” per uscire da una subalternità mortificante!

* Sindaco di Roccamorice (Pe)

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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