Dieci consigli non richiesti al futuro segretario regionale del Partito Democratico

Dieci consigli non richiesti al futuro segretario regionale del Partito Democratico

Che cos’è un partito politico? Può essere tante cose a seconda dei contesti geografici e delle fasi storiche: una “comunità di destino”, un’organizzazione di rappresentanza di interessi e di valori, un vettore per la conquista del potere, un aggregatore di posizioni emerse nella società. Che cosa viceversa non può essere, nel lungo periodo, un partito politico pena il suo progressivo e inevitabile deterioramento? Una lega corporativa di ceto politico, una struttura di potere che si auto-perpetua sulla base di una logica di cooptazione e di successione indotta delle gerarchie, ad onta di riti apparentemente ultra-democratici quali primarie con regole opache e infatuazioni collettive improvvise verso leader accentratori. Partendo dall’assunto di una necessaria correlazione tra morfologia del partito e sua proiezione progettuale, in altri termini tra forma-partito e proposta di governo, anche nella nostra regione, occorrerebbe:
1) Trasformare la composizione sociale dei propri iscritti volgendo lo sguardo, mediante una revisione realistica e mirata della propria ragione di esistenza, alla vasta platea dei non garantiti: precari, disoccupati, sottoccupati, studenti, piccolissimi imprenditori, cooperatori, giovani donne per andare oltre il blocco storico di impiegati pubblici, pensionati e rappresentanti di un fantomatico “ceto medio riflessivo”, urbano-centrico e sazio, sempre più minoritario e comunque insufficiente a raccogliere uno spettro largo di consenso proprio di una sinistra di governo;
2) Ristrutturare la propria articolazione interna: chiudere quella qualche decina residua di inutili, artificiali, nostalgici ed etero-diretti circoli locali per costruire macro-sezioni territoriali con almeno cento iscritti (di vallata, di comprensorio, di più quartieri) per ricostruire comunità di discussione pubblica partecipate, rappresentative, mobilitanti.
3) Costruire, con creatività, riattingendo anche con spirito critica alla ricchissima storia organizzativa della sinistra italiana, la propria presenza negli ambiti critici della società: fondare sezioni universitarie degne di tal nome all’interno degli Atenei regionali per ingaggiare una battaglia su diritto allo studio, politiche attive del lavoro, investimenti nella ricerca scientifica e selezione sociale fondata sul merito, “cellule” contemporanee nei luoghi di lavoro riconnettendo l’attività politica alla vita reale, tentando di “organizzare i disorganizzati”.
4) Concepire agili corsi di formazione e acculturazione politica per nuovi dirigenti di partito: niente di accademico e pedante, ma brevi e ripetuti cicli di conferenze di giovani ricercatori volontari, per suscitare nuove energie e stimolare passione per l’impegno politico. Quanti segretari di circolo dell’attuale PD sanno, a titolo di mero esempio, chi fosse Umberto Terracini? O che cos’è un moltiplicatore keynesiano? O che cos’è una forma di governo parlamentare razionalizzata? O un sistema pensionistico a ripartizione? Sarà ormai chiaro come non sia più possibile rincorrere i populisti sulla strada della semplificazione estrema. Solo chi sa cose complesse può farle comprendere in maniera semplice ai cittadini, oltre che governare la cosa pubblica con cognizione di causa.
5) Limitare il peso degli amministratori locali e degli eletti nei ruoli direttivi, restituendo ai militanti e agli iscritti la funzione di sostegno, proposta, ma anche di contraltare dialettico rispetto alle istituzioni governate, o rappresentate, da propri compagni di partito; il che sarà possibile ad una sola ed unica condizione: che, ad esempio, i segretari regionali e provinciali possano vantare un’autorevolezza, un’autonomia di pensiero e un progressivo peso politico specifico non inferiore agli eletti.
6) Mettere in piedi un comitato regionale deputato alla ricerca trasparente di finanziamenti volontari, sul modello delle più riuscite esperienze associative in ambito culturale, rivendicando la necessità del costo della politica affinché essa sia democratica e alla portata dei ceti meno abbienti.
7) Lavorare sulla comunicazione politica attraverso un mix intelligente di nuove tecnologie e vecchi canali tenendo conto della stratificazione sociale della popolazione e del divario digitale
. 8) Fare del partito un presidio radicale e riconosciuto di pedagogia repubblicana, banditore intelligente di un patriottismo costituzionale a difesa dei valori della Repubblica nata dalla Resistenza. Priorità valoriale all’uguaglianza delle opportunità e alla giustizia sociale nelle proposte di politiche pubbliche. Inserimento nella propria cultura politica di un ambientalismo maturo, pragmatico, realizzativo e moderno.
9) Promuovere un progetto di governo della Regione incardinato su pochi assi (semplifico, ma credo di cogliere qualche elemento): Ente Regione che legifera, programma e pianifica, ma non amministra per il tramite di agenzie e stazioni appaltanti opache; rilancio di investimenti pubblici selettivi in innovazione tecnologica, industrie di avanguardia, economia verde e agricoltura di qualità, beni e attività culturali, politiche attive del lavoro, sostegno alla povertà; priorità evidente del pubblico e dei servizi territoriali nelle politiche di welfare; radicale ripensamento delle politiche di trasporto pubblico.
10) Costruire un sistema di selezione delle candidature alle cariche rappresentative istituzionali in grado di far emergere uomini e donne adeguati, mossi da passione politica e competenza amministrativa, cultura di governo e capacità di interrelazione sociale, rappresentatività territoriale e spiccato senso civico.
Programma velleitario? Forse no!

Alessandro D’Ascanio, Sindaco di Roccamorice

 

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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