L’ottantesimo anniversario della caduta del Fascismo

di Achille Lucio Gaspari*

Tra 25 giorni si compirà l’ottantesimo anniversario della caduta del fascismo. Sono pochi oramai gli italiani ancora vivi, nati prima della fatidica data del 25 luglio 1943. Pertanto è fuori luogo accusare qualcuno di essere un fascista. Se poi con questa locuzione si volesse far riferimento a qualcuno favorevole allo Stato Totalitario guidato da un Partito Unico si dovrebbe più correttamente definire questa persona come Comunista –Leninista dal momento che la rivoluzione bolscevica è datata ottobre 1917 mentre i Fasci di Combattimento furono fondati a Piazza san Sepolcro a Milano nel marzo 1919. Queste sono divagazioni. Quello che interessa è sapere come il Fascismo sia diventato Regime e quali circostanze ne abbiano determinato la fine.

Gli antefatti

Mussolini salì al potere non, come molti credono, con un colpo di stato ma attraverso l’applicazione da parte del re Vittorio Emanuele III dello Statuto Albertino

La marcia su Roma, più che una azione militare, fu una dimostrazione folcloristica. I fascisti che vi parteciparono erano circa 16.000 armati di fucili, di pistole e di qualche mitragliatrice. Non avevano la disponibilità alcuna di armamento pesante. Tutto iniziò con il Congresso del Partito Fascista tenutosi a Napoli dal 24 al 26 ottobre 1922; dopo di che Mussolini se ne tornò a Milano in attesa dello svolgersi degli eventi e i partecipanti alla marcia si radunarono in Umbria sotto il comando Emilio De Bono, Italo Balbo, Cesare Maria De Vecchi e Michele Bianchi, che dopo questo colpo di stato da operetta assunsero il pomposo titolo di Quadrunviri. Il Re si trovava in Toscana nella tenuta di san Rossore e la sera del 27 ottobre rientrò in treno a Roma. Ad accoglierlo alla stazione si recò il Capo del Governo Fatta. I due si intrattennero a parlare per una ventina di minuti. Non si conosce l’argomento del colloquio ma è facile ritenere che il Presidente del Consiglio avesse informato il Re dei preparativi dei fascisti e dell’intenzione di predisporre un decreto di Stato d’Assedio che il Monarca avrebbe dovuto promulgare. E’ anche facile capire che il Re si dichiarò d’accordo su questo procedimento dal momento che Facta convocò un Consiglio dei Ministri nella prima mattinata del 28 ove venne stesa una bozza di decreto che fu inviata ai Prefetti. Quindi egli si recò dal Re che inaspettatamente rifiutò di firmare il Decreto di Stato D’assedio. Come mai questo cambiamento di opinione? Sembrerebbe che il Savoia abbia chiesto al generale Puntoni suo consigliere militare se ci si poteva fidare dell’esercito in caso di firma del Decreto ottenendone la sibillina risposta-Maestà l’Esercito è fedele ma è meglio non metterlo alla prova.

Le prime fasi del Governo Fascista.

Al rifiuto della firma a Facta non restò altro da fare che dimettersi. Il Re convocò Salandra e gli dette l’incarico di formare il Governo. Il Presidente Incaricato offri a Mussolini il Ministero dell’Interno ottenendone un netto rifiuto che lo costrinse a rimettere l’incarico. Vittorio Emanuele convocò allora Mussolini affidandogli il giorno 30 ottobre l’incarico di formare il governo. La lista dei Ministri venne consegnata la sera stessa; comprendeva fascisti, nazionalisti, liberali e a titolo personale qualche socialista e qualche membro del Partito Popolare.

La trasformazione da Governo Costituzionale in Regime.

Durante questa prima fase di governo Mussolini cercò una collaborazione con i Popolari e con i Socialisti. De Gasperi e Turati erano favorevoli a qualche tipo di “appaesament” e con il senno di poi si può ritenere che avrebbero potuto controllare l’aggressività dei fascisti. Ma i rispettivi segretari politici di questi partiti Don Sturzo e Matteotti furono nettamente contrari ad ogni forma di collaborazione. Nella primavera del 24 ci furono elezioni politiche anticipate. Mussolini candidò il così detto “Listone” comprendente fascisti, nazionalisti, liberali e anche un certo numero di popolari e socialisti. Si votò il 6 aprile 1924 e il listone ebbe un grande successo superando il 60% dei suffragi. Qualche giorno dopo Matteotti tenne alla Camera un durissimo discorso in cui denunciava brogli e violenze e chiedeva la decadenza di tutti gli eletti fascisti. Il 10 giugno Matteotti venne rapito da un gruppo di squadristi capitanati da Amerigo Dumini, una testa calda che durante la Prima Guerra Mondiale si era guadagnato una medaglia d’argento e aveva poi aderito al Fascismo capitanando alcune squadracce fiorentine. Il rapimento male organizzato e peggio eseguito causò la morte di Matteotti durante una colluttazione nell’auto in cui era stato costretto a salire. Il fatto non era né organizzato né voluto da Mussolini ma rientrava in quel clima di violenze proprio del comportamento dei fascisti. Dumini e i suoi compagni furono facilmente individuati e processati a Chieti ove subirono lievi condanne per omicidi preterintenzionale. La crisi politica che ne derivò fu gravissima. Mussolini era come paralizzato nella sua azione politica e temeva un intervento del Re che invece non ci fu in quanto il monarca si manteneva prudentemente ligio a quanto stabiliva lo Statuto Albertino. Le opposizioni invece di incalzare il Governo commisero il grave errore di ritirarsi sdegnosamente dai lavori parlamentari iniziando quel periodo definito come l’Aventino. Dopo mesi di dubbi Mussolini, considerata la inconsistenza delle opposizioni, decise di passare all’attacco. Il 3 gennaio 1925 pronunciò alla camera dei Deputati un durissimo discorso assumendosi la piena responsabilità politica dell’omicidio Matteotti. Questa può essere considerata la data di inizio del regime. Da questo momento una serie di leggi “fascistissime” stravolsero lo Statuto Albertino ed istaurarono la Dittatura Fascista.

Gli anni del consenso

Che il regime abbia trovato un consenso è un fatto innegabile. La crisi economica scoppiata in America nel 1929 fu sopportata in Italia meglio che in altre nazioni europee. I treni arrivavano in orario, i delitti erano in diminuzione, il prestigio dell’Italia all’estero era in crescita. Su queste notizie assimilate dal grande pubblico c’era un rigido controllo della stampa nazionale. Ma alcune realizzazioni come Ospedali, sanatori, Università, Consiglio Superiore delle Ricerche, Istituto Ricostruzioni Industriali, Opera Nazionale Maternità e Infanzia, Colonie Estive per i Bambini, prosciugamento di paludi, fondazioni di città , trasvolate trans atlantiche di idrovolanti e successi sportivi erano fatti reali molto ben amplificati dalla propaganda che si serviva anche della cinematografia con la fondazione di Cinecittà e la istituzione del Festival Cinematografico di Venezia. Il culmine del consenso si raggiunse con la guerra d’Africa. L’applicazione delle sanzioni economiche, per altro lievi, applicate all’Italia e volute dalla “perfida Gran Bretagna” suscitarono quella tipica reazione dello “stringiamoci a coorte “contro il nemico esterno. Si consideri il gesto coinvolgente della donazione delle fedi alla patria per la raccolta (sic.) dell’oro. Le donarono anche le mie nonne Silva e Teresina ma quello che più colpisce l’immaginazione anche la Regina Elena sull’Altare della Patria. Mussolini era un personaggio ricercato dalla stampa internazionale a cui si prestava con l’abilità del giornalista quale era stato. Il culmine del consenso fu raggiunto con la proclamazione dell’Impero il 9 maggio del 1936. Mussolini aveva infatti deciso di ricorrere al ricordo dei vecchi fasti Imperiali come se i Fascisti fossero i riesumatori e prosecutori della gloria degli antichi romani.

L’inizio del declino

Alcune decisioni di Mussolini prese tra il 1938 e 1il 1940 sono state la causa del declino del Regime Fascista. Mussolini non stimava Hitler e ne criticava la politica anti ebraica. Si era avvicinato alla Germania solo per esercitare una pressione su Francia e Regno Unito. Voleva essere accolto tra queste potenze europee con uguale prestigio. Ma nel 1938 trasformò questa vicinanza in una alleanza politica e poi in una alleanza militare. Questa decisione definita da D’Annunzio “innaturale connubio” dispiacque a gran parte dell’opinione pubblica che considerava il Tedesco un nemico storico. Così come incomprensibili risultatone le leggi razziali. Moltissimi avevano qualche amico o conoscente ebreo e lo consideravano un concittadino come ogni altro. Vederlo privato di alcuni diritti sembrava inconcepibile. L’errore fatale fu la dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940. Solo alcuni giovani esaltati l’approvarono. La massa della popolazione memore delle sofferenze del primo conflitto mondiale ne fu molto contrariata. Mussolini conosceva bene l’impreparazione militare dell’Italia. Esistono i verbali delle riunioni dei Capi di Stato maggiore ove questo risulta chiaramente. Ed infatti venne dichiarata la non belligeranza. La decisione venne presa quando il Duce si convinse che la guerra era stata già vinta dalla Germania e che bastavano alcune migliaia di morti per sedersi al tavolo dei vincitori. Era inoltre vittima della sua propaganda bellicista e non voleva apparire come un comandante di cartone. Temeva inoltre che Hitler, sistemate le cose con Francia e Regno Unito, rivolgesse le armi contro Roma accusandola di aver tradito l’alleanza. Dino Grandi, ex Ministro Degli Esteri e ambasciatore a Londra lo aveva esortato alla prudenza ricordandogli che gli Stati Uniti sarebbero potuti intervenire come avevano fatto durante la prima Guerra Mondiale mutandone gli equilibri. Il Duce tirò dritto ma questo non deve sorprendere. E’ vero che era un abile politico ma come spesso accade ai dittatori divenne auto referenziale e perse il contatto con la realtà.

Il 25 luglio 1943 e la fine del Regime Fascista.

La guerra andava male e le forze armate italiane, nonostante alcuni atti di valore di valorosi combattenti, passavano da un insuccesso all’altro. Le città venivano bombardate dalle forze aeree alleate con grandi distruzioni. Le perdite di vite umane di militari e civili erano in continuo aumento; l’alimentazione delle persone, in modo particolare nelle grandi città, era del tutto carente. All’inizio del 1943 era evidente che la guerra era persa. A maggio le truppe italo-tedesche presenti in Tunisia furono costrette alla resa mentre il disastro dell’ARMIR in terra ucraina si era compiuto nel mese di marzo. Bisognava trovare un modo per uscire dalla guerra, evitare ulteriori distruzioni e perdite di vite umane, e cercare di ottenere dagli alleati condizioni di pace meno gravose di una resa incondizionata come era stato stabilito dagli alleati nella conferenza di Casablanca. Questo lo pensava la stragrande maggioranza della popolazione, molti militari e in modo particolare il Re e il suo entourage. Mussolini credeva ancora nella possibilità di un successo militare e il 19 luglio si recò a Feltre per incontrare Hitler e proporgli una pace separata con l’Unione Sovietica per concentrare tutte le forza alla difesa dell’Italia. Ottenuto un netto rifiuto non ebbe il coraggio di prospettargli l’uscita dell’Italia dal conflitto. Avuta notizia del bombardamento del quartiere San Lorenzo rientrò nella Capitale pilotando personalmente il suo aereo personale; poté così osservare dall’alto le distruzioni causate dalle bombe sganciate dai Liberators americani. Il 22 luglio si incontrò con Vittorio Emanuele. Sostenne che non tutto era perduto perché la Germania avrebbe messo in campo nuove armi segretissime in grado di capovolgere il conflitto. Se questo non fosse avvenuto sosteneva di tirarsi fuori dalla guerra entro il 15 settembre. Il Re gli disse- Duce le cose vanno molto male, le resto solo io come amico- Mussolini ci credette ma si stava già organizzando un modo per toglierlo di mezzo. L’idea di Dino Grandi fu quella di far convocare il Gran Consiglio, organo supremo del fascismo, che non si riuniva più dall’inizio della guerra e mettere in minoranza Mussolini su un ordine del giorno presentato con la propria firma. Questo ordine del giorno prevedeva la restituzione al Re del comando supremo dell’Esercito come stabiliva lo Statuto Albertino. Mussolini aveva infatti, con una delle sue leggi fascistissime, fatto istituire la carica di Primo Maresciallo d’Italia cui spettava il Comando Supremo e se lo era fatto attribuire. Mussolini conosceva il testo di questa mozione che Grandi gli aveva presentato come una operazione a lui favorevole, liberarsi ciò è del comando militare ed acquisire una maggiore libertà politica. Mussolini non si rese conto del vero fine di questa operazione e convocò il Gran Consiglio per il 24 luglio.

La riunione del Gran Consiglio.

La riunione del Gran Consiglio si tenne a Palazzo Venezia alle ore 18,15. Il Duce era così fiducioso in se stesso che non aveva fatto organizzare un servizio di guardia da parte dei suoi pretoriani. Oltre all’ordine del Giorno Grandi, vennero presentate altre due mozioni. Una del Segretario del partito Scorza che stranamente ricalcava in molti punti della mozione Grandi. L’altra la presentò il ras di Cremona Farinacci, che aveva capito tutto, e attaccava duramente la mozione di Grandi. Il Duce, altra stranezza, fece presentare per prima la mozione di Grandi che la illustrò abilmente facendola apparire come un sostegno per Benito. Tra quelli che parlarono in modo favorevole ci fu anche il genero del Duce, Galeazzo Ciano. Probabilmente pensava che tolto di mezzo il suocero avrebbe potuto succedergli. Molti membri del Consiglio si lasciarono convincere. Se la mozione Grandi è approvata dal genero, vuol dire che Mussolini non ha nulla da temere. Terminati i discorsi il Duce si ritirò nel suo studio con alcuni fedelissimi. Farinacci lo esortò a far arrestare i dissidenti. Mussolini invece riaprì la seduta e tenne il suo discorso. Riteneva evidentemente che il suo prestigio personale e la sua capacità di oratore avrebbero capovolto la situazione come altre volte era accaduto. La mozione Grandi ottenne 19 voti a favore, 7 contrari e 1 astenuto. Quando la riunione terminò erano le 2.30 del 25 luglio. Mussolini prima di lasciare Palazzo Venezia e tornare a Villa Torlonia telefonò a Claretta Petacci. Esiste la registrazione della telefonata. _ Come è andata Ben? – chiese la Petacci- Un disastro- rispose il Duce- hanno distrutto il fascismo.

Domenica 25 luglio 1943

La telefonata con la sua amante dimostra che Mussolini si era reso ben conto della gravità dell’accaduto. Invece la mattina della domenica si recò tranquillamente a Palazzo Venezia dove alle 12 ricevette l’ambasciatore giapponese. Poi tornò a casa per il pranzo e quindi si preparò ad andare a Villa Savoia dove il Re lo aspettava per l’udienza delle 17. Donna Rachele lo consigliò di non andarci o almeno di andarci potentemente scortato. A Roma erano infatti acquartierate le milizie M forti di 10.000 uomini, al comando del Generale Galbiati. Così come Cesare non volle ascoltare gli ammonimenti della moglie mentre alle idi di marzo si recava al Senato, allo steso modo fece Mussolini recandosi all’incontro con il Re soltanto con la sua macchina guidata dall’autista e accompagnato dal segretario personale. Ammesso al cospetto del Sovrano Mussolini disse- Maestà avrete saputo la ragazzata che è stata fatta ieri al Gran Consiglio e il Sovrano Rispose – Altro che ragazzata Eccellenza (di solito lo chiamava Duce) accetto le suo dimissioni. Ho già nominato Capo del Governo il Generale Badoglio. Poi lo accompagnò all’uscita. Sulle scale gli venne incontro un ufficiale dei carabinieri. Salga su questa ambulanza Eccellenza –disse- è per proteggerla da eventuali violenze- Invece era l’esecuzione dell’arresto già programmato. Alle 17.30 il Regime Fascista era caduto per sempre.

Riflessioni di un cittadino

Anche se non è stata una dittatura così sanguinaria come quelle Bolscevica e Nazista la Dittatura Fascista porta la responsabilità di violenze, uccisioni, soppressione della libertà e distruzioni materiali e morali. Neanche la caduta fermò il disastro in cui aveva portato il paese perché con la costituzione della Repubblica Sociale Italiana l’Italia visse per oltre un anno e mezzo anche una drammatica guerra civile.

A ottanta anni dalla caduta del Fascismo quali considerazioni si possono fare? La libertà e la democrazia sono il grande insegnamento che ci viene dal lontano passato, da Atene e dalla Roma repubblicana. Con la dittatura tutto è perduto, con la democrazia ogni cosa può essere salvata. E’ necessario che nelle famiglie e nelle scuole questi principi siano sostenuti con l’insegnamento e con l’esempio. Purtroppo a molti interessa la tranquillità, un buon lavoro, qualche personale vantaggio. Non si spiegherebbe altrimenti il consenso goduto dal Fascismo quando le cose sembravano andare bene e l’opposizione era sostenuta con coraggio e determinazione soltanto da un gruppo di intellettuali. Il sacrificio dei fratelli Rosselli, di tanti partigiani e dei prigionieri di via Tasso deve insegnare a tutti noi che la libertà e la democrazia sono come l’aria che respiriamo tutti noi. Ogni sforzo va fatto per tenerla pura e allontanare gli inquinamenti ideologici.

*Professore Ordinario Emerito, Direttore Sezione Clinica Chirurgica, Facoltà di Medicina e Chirurgia
Università degli Studi di Roma Tor Vergata

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

Controllate anche

In ricordo delle vittime del sisma del 6 aprile: concerto dell’orchestra dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese a L’Aquila, Pescara e Sulmona

di Nelide Maiorani Un auditorio attento e delle grandi occasioni per l’orchestra dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese …

6 Commenti

  1. BRAVO,, BRAVO, BRAVO .!!!!!!!!

  2. Francesco Russo

    Che dire ?? Meglio di così non poteva fare il nostro caro Professore . Una ricostruzione perfetta. Essere democratici ed intelligentemente antifascisti è un dovere oggi più che mai. Il fascismo però oggi è piu subdolo, ti toglie la libertà e non te ne accorgi. Bisogna sempre lottare per la libertà .

  3. Domenico Galluppi

    Info dettagliate, documentate. Analisi perfetta senza faziosità alcuna. Grazie prof del tuo contributo.

  4. Maria Teresa Antinori

    Descrizione chiara e puntuale degli avvenimenti che condussero alla fine del Fascismo.
    In effetti, la democrazia, che si regge su contrappesi ed equilibri delicati, dovrebbe essere sempre tutelata non solo dagli opposti estremismi ma anche da quanto potrebbe snaturare al sui interno

  5. Mario D'Arcangelo

    Chiarissimo Prof. Lucio, Achille, avete descritto in breve la storia del Fascismo pratico e passionale. È vero la emancipazione e la Democrazia può tenere lontano le contaminazioni concettuali. Con grande affetto , a presto Mario D’Arcangelo…

  6. Caro Lucio, veramente una analisi storica pregevole. Mi congratulo. Un abbraccio. Uberto

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *