Orizzonti sconfinati, un romanzo che ci riporta indietro nel tempo, in quegli Abruzzi che ormai sono storia e mito.

di Adolfo Morizio*

Nel 1966 veniva pubblicato Orizzonti sconfinati, un romanzo scritto a quattro mani da Costantino Morizio e Tommaso Morizio. Per gli autori era il coronamento di un sogno, ma, nell’epoca dei social e degli smartphone, non è semplice da comprendere, a meno che non si torni un po’ indietro nel tempo. Il 22 settembre 1921, presso l’«Ufficio delle Anagrafi» di Caramanico – all’epoca il paese non aveva ancora assunto la specificazione Terme – si presentò un giovane reduce della Grande Guerra, Donato Morizio, per iscrivere nel «registro di popolazione», istituito in ogni Comune del Regno a partire dal 1864, il suo primogenito. All’epoca si nasceva in casa e, non di rado, la registrazione veniva effettuata a distanza di giorni o settimane, soprattutto se la famiglia del nuovo nato risiedeva lontano dal capoluogo. Donato provò a spiegare che il bambino era nato il 19, ma l’ufficiale preposto fu irremovibile e segnò il 22 settembre 1921 come data di nascita di Tommaso Morizio. Per Costantino è probabile che le cose non fossero andate diversamente, poiché i due amici avevano in comune l’essere nati e cresciuti a San Tommaso, frazione di Caramanico, in un contesto agropastorale in cui l’istruzione aveva poca importanza. Entrambi, avevano frequentato la scuola elementare rurale, differente dalla scuola elementare urbana: i programmi prevedevano una maggiore discrezionalità del maestro; l’anno scolastico era di otto mesi, con trentasei ore settimanali in sei giorni, anziché dieci mesi, con trenta ore settimanali in cinque giorni; le classi erano solo tre (grado inferiore), con un’unica pluriclasse e un solo maestro. Questo almeno in teoria, perché, nonostante la propaganda fascista facesse circolare l’idea di una scuola monolitica, la realtà era ben diversa. Nelle aree rurali non esisteva l’edificio scolastico, ma la «scuola provvisoria» si svolgeva in un immobile qualsiasi, purché disponibile e adatto; i fondi a disposizione non consentivano l’istituzione, annualmente, di tutte le classi previste sulla carta; inoltre, l’orario settimanale era inferiore rispetto a quello previsto dalla legislazione. Le lezioni non si svolgevano al mattino, se non nel periodo invernale, ma nel tardo pomeriggio, perché nelle ore antimeridiane i bambini dovevano attendere al lavoro nei campi o alle attività pastorali. Questo i maschi, perché le femmine, nonostante nel 1923 fosse stato introdotto l’obbligo fino ai quattordici anni, il più delle volte, saltavano la scuola a piè pari, tra l’inconsapevolezza delle famiglie e l’indifferenza delle istituzioni. Tommaso, concluso il grado inferiore, cioè la terza elementare, rimase senza scuola per parecchio tempo. Nella seconda metà degli anni Trenta, anche a San Tommaso, venne istituita, per un caso fortuito, la quarta, ma il giovan venne bocciato! Come era stato possibile? Allora, ogni anno scolastico si concludeva con un esame, presieduto da un maestro terzo o, in casi eccezionali, dal direttore didattico in persona, il quale, quell’anno, indispettito con la maestra – e probabilmente per privarla dell’incentivo assegnato per ogni studente promosso – bocciò tutti gli alunni. Sul finire degli anni Trenta, arrivò la quinta e Tommaso conseguì anche il grado superiore (la quinta elementare), ma aveva quasi diciannove anni, giusto in tempo per andare in guerra! Costantino, nato il 4 luglio 1913, dopo «la prima seppur rude educazione» ricevuta a San Tommaso, era entrato nell’Arma dei carabinieri a diciannove anni, per sfuggire a una vita di fatiche e privazioni. L’amicizia tra Costantino e Tommaso era dovuta non solo al fatto di essere cresciuti nello stesso paese, a ridosso della stessa aia, utilizzata per fare la preziosa «mucchia del grano», ma anche e soprattutto alla passione per la letteratura. Il loro sodalizio si era definitivamente cementato all’indomani della Seconda guerra mondiale, quando a Tommaso era venuta l’idea di mettere nero su bianco una vicenda realmente accaduta a San Tommaso: nasceva, così, La potenza dell’amore e le cose di quel paese, il loro romanzo d’esordio. I due erano autodidatti, ma dalla loro parte avevano un insaziabile studio individuale, incentrato sulla lettura lenta, appassionata e accurata dei più significativi classici della letteratura italiana e straniera: I promessi sposi – il romanzo preferito di Costantino –, I miserabili – quello preferito di Tommaso –, Il fu Mattia Pascal, Cuore, I Viceré, Il conte di Montecristo, I tre moschettieri, La figlia di Iorio, Il corsaro nero, Umiliati e offesi, La vita è sogno, Don Chisciotte della Mancia etc. Poi c’erano i più importanti poeti della tradizione italiana: Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Ludovico Ariosto, Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo, Giosuè Carducci, Gabriele D’Annunzio e quella che il ministro Giovanni Gentile definiva «la schietta poesia». La stesura di Orizzonti sconfinati si svolse così. I due autori, vivendo distanti – Costantino era di stanza Bergamo con il grado di maresciallo maggiore, mentre Tommaso continuava a vivere a San Tommaso – e potendo comunicare solo a mezzo posta, si erano divisi i compiti: dall’immaginario di Tommaso sgorgava la trama, ovvero fabula e intreccio, dalla penna di Costantino scaturiva la forma, ovvero lo stile linguistico e letterario. La sera, dopo cena e, soprattutto, dopo una faticosa giornata in campagna, Tommaso – che ormai tutti chiamavano il poeta – usciva di casa, percorreva pochi metri per rintanarsi in cantina, un ambiente seminterrato tiepido anche d’inverno, e qui, rinfrancato dall’odore caldo delle botti di quercia, si metteva al lavoro. La postazione era a dir poco spartana: una vecchia sedia di paglia, che scricchiolava a ogni minimo movimento, un tavolo in legno, con un piano interamente rigato e bucherellato, a mala pena illuminato da una vecchia lampadina a incandescenza, pochi preziosi fogli protocollo, una penna biro. Ogni capitolo veniva riscritto almeno tre volte e, una volta concluso, spedito per posta a Costantino, il quale – anche lui rubando tempo al sonno – svolgeva le funzioni di editor: rivedeva il testo, migliorandolo nella forma e nello stile, lo batteva a macchina e lo rispediva all’amico con una lettera d’accompagnamento. Per giungere alla stesura definitiva ci vollero diversi anni in cui difficoltà di ogni genere non riuscirono a scalfire l’incredibile forza di volontà dei due!

Il 22 settembre 2021, in occasione del centenario della nascita di Tommaso Morizio – scomparso nel 2018 – è stata pubblicata un’edizione postuma, interamente riveduta e impreziosita da note, immagini e biografie degli autori.

Ma che cosa racconta Orizzonti sconfinati?

I fatti narrati coprono, complessivamente, un arco temporale di quasi mezzo secolo: dal 1901, quando il protagonista (Mariotto) ha poco più di venti anni, al 1949. E in mezzo, un evento drammatico che sconvolge la vita di tutti i personaggi, i quali sono sì di fantasia, ma verosimili come i loro nomi, per i quali gli autori avevano attinto alle loro famiglie e al vicinato; anche il famigerato ricco, antagonista di Mariotto, che, in ossequio al manzoniano innominato, viene sempre e solo menzionato con il suo soprannome, altri non era che il fratello di Costantino, nonché compare di Tommaso!

La storia – se si esclude la parentesi ambientata al fronte italo-austriaco durante la Prima guerra mondiale – si svolge in Abruzzo e, in particolare, a San Tommaso, un piccolo borgo ai piedi della Maiella – il cui nome deriva dall’omonima chiesa dedicata a Thomas Becket –, che, idealmente, incarna tutti quei piccoli centri pedemontani degli Abruzzi, nei quali, all’epoca dei fatti narrati, si viveva più o meno allo stesso modo: agricoltura di sussistenza e pastorizia. Il tempo era scandito dal lavoro nei campi – semina dopo semina, raccolto dopo raccolto – e dall’anno liturgico, con la festa di sant’Antonio abate, protettore degli animali domestici, o del santo patrono. Erano i momenti ufficiali in cui era consentito a ragazzi e ragazze – letteralmente, giovanotti e giovinette – di scambiarsi sguardi d’amore. I fidanzamenti venivano ufficializzati a casa della promessa sposa, la quale, in nessun caso poteva mettere piede in casa del futuro marito prima del matrimonio. Lo status socioeconomico dei giovani fidanzati doveva, grossomodo, equivalersi, ma era possibile una qualche disparità a favore di lui, ma non a favore di lei. Il matrimonio veniva celebrato di giovedì e seguiva un iter abbastanza complicato: dopo la cerimonia in chiesa, il pranzo, con un numero ristretto di invitati, si svolgeva a casa del marito, che, di norma, diveniva anche la casa coniugale. La madre della sposa non prendeva parte alla cerimonia, ma, in forma di rispetto, le veniva inviato dalla madre dello sposo il pranzo all’interno di un canestro di vimini. Dopo la prima notte di nozze, la neosposa rimaneva chiusa in casa per tre giorni, fino alla domenica successiva, allorché si tornava in chiesa e, passando lungo le vie del paese, faceva il suo reingresso in società, come donna e moglie. Dopo la messa si svolgeva un pranzo a casa della sposa e questa volta era la madre di lui a non prendervi parte e a ricevere il medesimo cesto di vimini ricolmo di vivande. Il protagonista di Orizzonti sconfinati, Mariotto, si fidanza ufficialmente con l’amore della sua vita, Mariuccia, ma, in quel contesto, di norma sempre uguale a se stesso, accade qualcosa che cambierà per sempre i destini di molte persone… Oltre ai classici della letteratura, gli autori erano appassionati della carta stampata e lettori assidui di romanzi d’appendice, ovvero romanzi pubblicati a episodi su quotidiani e riviste. Nato nella prima metà dell’Ottocento in Francia, e qui chiamato feuilleton, perché stampato a piè di pagina, il romanzo a puntate divenne un vero e proprio genere letterario, che cadde in disuso solo all’indomani della Seconda guerra mondiale, sostituito prima dal fotoromanzo e poi dal teleromanzo, antesignano dell’odierna fiction televisiva. Balzac, Hugo, Flaubert, Stevenson, Poe, Dickens, Joyce, Dostoevskij, Tolstoj, Collodi e Salgari hanno pubblicato alcune loro opere sui giornali dell’epoca. I romanzi a puntate italiani della prima metà del Novecento proponevano una narrazione fitta, con colpi di scena, allo scopo di coinvolgere emotivamente un pubblico il più possibile vasto, con la contrapposizione tra personaggi buoni e personaggi cattivi, l’inserzione di eventi serendipici e la tendenza, sul finale, a una risoluzione dell’intricata vicenda. Orizzonti sconfinati, sebbene sia evidente la dipendenza degli autori dalla letteratura ottocentesca, con il suo stile dal sapore rétro e quei costanti riferimenti alla storia e alla letteratura nazionale, si riporta indietro nel tempo, in quegli Abruzzi che ormai sono storia e mito.

*insegnante, pubblicista e saggista

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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Un commento

  1. Un racconto che ti porta indietro nel tempo, un tempo che sembra così lontano ma non tanto…..

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