Provincia, Nuova Pescara, piccoli comuni

di Alessandro D’Ascanio*

Un arguto storico israeliano dell’età contemporanea, Dan Diner, scrisse una volta che, per meglio osservare le dinamiche storiche dell’Europa del Novecento, sarebbe stato necessario sedersi sulle scale del porto di Odessa, città ucraina collocata sul Mar Nero, e allungare lo sguardo verso occidente.
Proverei ora ad utilizzare questo artificio dello «scostamento del punto di vista dell’osservatore» per riflettere sull’originale processo di unificazione amministrativa dei tre comuni dell’area urbana pescarese – mi sia consentita l’irriverente, ma non peregrina riduzione di scala — figurandomi assiso sulle scale del Municipio di Popoli, o di Penne, o di Caramanico Tenne, non certo per mettere in atto un esercizio di arretrato scetticismo provinciale, ma per provare a porre alcune questioni.
Al netto del carattere inedito, pionieristico e complesso – certamente unico nella Storia dell’Italia contemporanea – di tale progetto di fusione amministrativa; delle sue potenzialità strategiche nazionali e delle meschine vischiosità caratterizzanti la sua fase di abbrivio; delle aporie della sua nonna di istituzione e del legittimo dubbio circa la congruità della progettata Città apparato, disegnata dal diritto amministrativo, rispetto alle domande della comunità insediata; del tentativo di sintesi degli Enti locali per la moltiplicazione delle opportunità di sviluppo; della naturale, forse brutale, necessità di fornire territorio libero alle necessità insediative di Pescara, resta la questione del rapporto tra questa entità urbana in divenire creata per attrarre presenze, investimenti e opportunità – e il proprio territorio provinciale sul piano istituzionale, economico e sociale.
Del resto, ad una lettura appena capace di superare le stanche vacuità della retorica dannunziana rispetto all’istituzione del 1927 (e sarebbe interessante, in altra sede, analizzare il rapporto di sostanziale indifferenza del poeta rispetto alla città nel periodo 1927-1938 e l’esclusiva, caratterizzante, leadership esercitata da Giacomo Acerbo anche su tale specifica vicenda) il tema del rapporto tra città e territorio provinciale di nuova fondazione rappresenta un elemento di lunga durata.
In altre parole, l’«ansia di modernità» in un contesto di arretratezza, la tendenza ad un inurbamento progressivamente disordinato, il prevalere di un modello privatistico di contro alla soddisfazione di diritti collettivi, il rischio di una dualità interna alla provincia, forse ineliminabile, ma certo effettivo rappresentano tracce della storia di cui tenere conto per armonizzare e orientare criticamente il processo di unificazione.
Venendo al concreto: proviamo ad applicare la Legge del Rio, che ha trasformato l’Ente locale Provincia, ad un contesto territoriale rappresentato, ad opera fatta, da una città di circa 200mila abitanti (che tuttavia non diventerà Città metropolitana) attorniata da Comuni medi e piccoli. La rappresentanza dei territori interni in un Ente deputato al governo di materie fondamentali per la vita delle comunità come le scuole e il fondamentale patrimonio di strade provinciali sarebbe oltremodo mortificata da un voto ponderato che annienterebbe i piccoli Comuni.
Per non dire dell’allargamento delle forbice di opportunità e di sviluppo con una concentrazione di dinamicità, investimenti, attrattività insediativa, dotazioni infrastrutturali, servizi e potenziali vantaggi comparati tutti concentrati in area urbana.
Visione localistica? Piccolo cabotaggio? Nostalgia ruralistica? Direi di no!
Il processo di ridisegno amministrativo dell’area urbana dovrà dunque essere accompagnato dalla costruzione di contrafforti di difesa istituzionale delle altre identità storiche della provincia: in primo luogo la Valpescara e l’area Vestina attraverso, in primo luogo, un governo dell’Ente Provincia capace di leggere la conformazione geografica e storica dei luoghi valorizzando il diritto allo sviluppo delle comunità insediate nelle aree interne; introducendo, per via normativa anche regionale, degli organismi intermedi di governo del territorio di rango comprensoriale in grado di conferire identità collettiva agli interessi diffusi oltre le convezione di servizi tra Comuni e gli ambiti ottimali settoriali; promuovendo politiche di riequilibrio nel campo dei trasporti, del diritto allo studio, dell’insediamento di nuovi istituti scolastici, dell’allocazione di investimenti per infrastrutture, della promozione di opportunità di lavoro e di ampliamento della rete dei servizi socio-sanitari.
In conclusione, si proceda con convinzione e con consapevolezza alla costruzione effettuale della Nuova Pescara, evitando di considerare la provincia come riserva indiana di indigeni desiderosi di inurbarsi.
Per inciso, votare alla carica di Presidente della Provincia di Pescara un rappresentante di un piccolo Comune rappresenterebbe un buon viatico per questa improcrastinabile difesa dell’identità territoriale!

*Sindaco di Roccamorice e candidato alla Presidenza della Provincia di Pescara

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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