Cgia, in autunno si rischia un boom di fallimenti

Sebbene il numero dei fallimenti registrato negli ultimi due anni non sia particolarmente elevato, secondo l’Ufficio studi della Cgia c’è il rischio che, dal prossimo autunno, torni ad aumentare in misura preoccupante. Tra le cause ci sono il deterioramento del quadro economico generale – ascrivibile al caro energia/carburante e all’impennata dell’inflazione – l’impossibilità di cedere i crediti acquisiti con il superbonus 110 per cento – che ammontano a circa 4 miliardi di euro – e i mancati pagamenti della Pubblica Amministrazione (PA) nei confronti dei propri fornitori – che secondo l’Eurostat sono almeno 55,6 miliardi di euro – molte attività commerciali e produttive rischiano di dover portare i libri in tribunale, viene spiegato. A questo si aggiunge quella che viene definita “una specificità tutta italiana” ovvero per molte di queste imprese la chiusura definitiva non sarà causata dall’impossibilità di pagare i propri debiti, ma per crediti inesigibili, insolvenze in grandissima parte imputabili alle inadempienze della nostra Pa.

Negli ultimi 10 anni, comunque, il numero massimo di fallimenti si e’ registrato nel 2014 (14.735 casi). Dopodiche’, c’e’ stata una progressiva riduzione che si e’ arrestata nel 2020 (7.160 casi). Questo dato e’ stato sicuramente condizionato dalla particolarita’ di quell’anno: a causa del lockdown, infatti, ricordiamo che anche i tribunali fallimentari sono stati chiusi per molti mesi, influenzando negativamente la produttivita’ degli uffici, anche in termini di sentenze. Nel 2021, infine, il dato ha iniziato a risalire e alla fine dell’anno si e’ attestato a 8.498 unita’.

Davanti a norme incerte che da mesi stanno condizionando negativamente l’applicazione del superbonus del 110 per cento, gli intermediari finanziari (banche, istituti finanziari, etc.) hanno praticamente bloccato gli acquisti del credito. Attualmente sono oltre 5 i miliardi di euro di crediti in attesa accettazione; di questi, circa 4 si riferiscono a prime cessioni o sconti in fattura.

A fronte di questa situazione, le imprese del comparto casa (edili, dipintori, installatori impianti, falegnami, etc.) non sono più in grado di fare gli sconti in fattura. E – spiega la Cgia – con crediti fiscali già acquisiti e non cedibili, che in molti casi ammontano a centinaia di migliaia di euro per singola azienda, molte realtà si trovano in crisi di liquidità e sul punto di sospendere i cantieri, non essendo più in grado di pagare i fornitori. La situazione più problematica – si legge – è quella dello stock dei debiti commerciali di parte corrente in capo alla Pa che continua ad aumentare. Nel 2021, infatti, i mancati pagamenti ammontavano a 55,6 miliardi di euro. Ciò vuol dire che le imprese che lavorano per la PA non hanno ancora incassato una cifra spaventosa che è pari al 3,1 per cento del Pil nazionale. Un dato peggiore a qualsiasi paese Ue.

Rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, anche nei primi cinque mesi di quest’anno il numero dei fallimenti è in calo (-20,6 per cento). In termini assoluti sono stati 3.133 gli imprenditori che hanno portato i libri in tribunale (-815 rispetto allo stesso arco temporale del 2021).I settori più a rischio sono il commercio e l’edilizia che, in questa prima parte dell’anno, hanno registrato rispettivamente 722 e 577 chiusure. Sempre in questa prima parte del 2022, a livello regionale solo la Liguria ha visto aumentare il numero di fallimenti; tutte le altre, invece, sono in deciso calo. A livello provinciale, infine, preoccupa la situazione di Verbano-CusioOssola, Latina, Ragusa, Trapani e Siracusa.

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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