L’Alzheimer affligge oltre 600mila italiani

L’Alzheimer affligge oltre 600mila italiani e i loro familiari. Per sconfiggere la malattia ci si affida alla ricerca e a diagnosi precoci sempre piu’ precise, ma la lotta per ridare dignita’ ai malati e aiutarli a riconquistare la propria quotidianita’, oggi passa anche dalla tecnologia e dai social, a partire dai chatbot, “assistenti virtuali” che si avvalgono dell’intelligenza artificiale a supporto delle persone affette da demenze. Di questi temi si e’ discusso al Ministero della Salute, in occasione della conferenza stampa “Alzheimer , non perdiamolo di vista”, organizzata da Italia Longeva, la Rete nazionale di ricerca sull’invecchiamento e la longevita’ attiva del Ministero della Salute, sostenitore del progetto “Chat Yourself”, il primo chatbot per i malati prodromici di Alzheimer (@chatyourselfitalia)

 “Per l’Italia, Paese piu’ vecchio al mondo con il Giappone, le demenze rappresentano un problema medico-sociale ogni giorno piu’ grande – ha dichiarato Roberto Bernabei, Presidente di Italia Longeva -. Cio’ vale in particolar modo per l’ Alzheimer , senza dubbio la forma di demenza piu’ prepotente e violenta, sia sotto il profilo epidemiologico, sia per l’impatto sulla qualita’ di vita dei pazienti e dei loro familiari. Questa patologia oggi interessa quasi il 5% degli over-65, ma secondo le proiezioni elaborate dall’ISTAT per Italia Longeva, nel 2030 la percentuale si triplichera’ e saranno colpiti dalla malattia ben oltre 2 milioni di pazienti, in prevalenza donne. In attesa di cure efficaci contro l’ Alzheimer , una strada percorribile nelle prime fasi dopo la diagnosi e’ quella di sfruttare le risorse della tecnologia. Chat Yourself e’ nato con questo obiettivo: contenere il danno provocato dalla malattia, affiancando all’impegno dei propri cari un aiuto concreto a ricordare”, ha concluso Bernabei.

L’Alzheimer comporta un lento e progressivo decadimento delle funzioni cognitive, dovuto all’azione di due proteine, la Beta-amiloide e la proteina Tau, che si accumulano nel cervello causandone la morte cellulare. “Evidenze scientifiche ci dicono che l’attacco ai neuroni ed ai circuiti nervosi inizia almeno 15-20 anni prima della comparsa dei ‘tipici’ disturbi della memoria. Questo perche’ nel nostro cervello c’e’ un numero enorme di cellule, circuiti e sinapsi “di riserva” in grado di sostituire quelli danneggiati o distrutti dalla malattia, fino a quando non si arriva a una soglia limite, superata la quale il meccanismo degenerativo diventa inarrestabile – ha spiegato Paolo Maria Rossini, Direttore Area Neuroscienze, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS-Universita’ Cattolica, Roma -. il limite dei trattamenti terapeutici sin qui tentati e’ stato proprio quello di essere somministrati in presenza di una sintomatologia gia’ conclamata corrispondente ad una fase di malattia in cui le riserve plastiche del cervello sono esaurite. In sostanza, come voler curare il cancro in un paziente plurimetastatico. Per questo motivo, gli sforzi della ricerca sono sempre piu’ tesi a individuare le cratteristiche prodromiche, precocissime e spesso visibili solo con l’ausilio di esami strumentali, cosi’ da intervenire il prima possibile con trattamenti specifici e supporti tecnologici”

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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