Ocse lancia l’allarme per gli investimenti per l’istruzione in Italia

L’Ocse lancia l’allarme sulla spesa dell’Istruzione in Italia praticamente ferma dalla fine degli anni Novanta e poi andata inesorabilmente in calo. Le dimissioni del ministro Lorenzo Fioramonti hanno confermato e ribadito le difficolta’ dell’Italia a trovare nuovi investimenti per il comparto scuola, universita’ e ricerca, che neanche il governo Conte bis e’ riuscito a trovare. Al netto dei tagli bloccati, dei fondi stanziati per gli asili nido (2,5 miliardi per i comuni per aumentare i posti ma all’interno delle misure per le famiglie), dell’aumento di qualche decina di milioni dei fondi di finanziamento e delle borse di studio e delle risorse preventivate nel Dl Fisco (piu’ risorse per la sicurezza degli edifici anche dall’8xmille dal 2020), di soldi per l’istruzione nella manovra approvata ce ne sono pochi. Discorso diverso per i fondi dedicati all’edilizia scolastica che anche nell’ultimo periodo hanno avuto un incremento costante per fare fronte alle tantissime emergenze: gli ultimi 510 milioni sono stati sbloccati il 20 dicembre e andranno in erogazione diretta gli enti locali. Fondi dell’edilizia che avevano avuto un nuovo slancio anche dalla famosa legge sulla “buona scuola”. Eppure gli ultimi dati (settembre 2019) dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo evidenziano da anni come l’Italia spenda poco per l’istruzione, circa il 3,6% del suo Pil dalla scuola primaria all’universita’, una quota inferiore alla media Ocse che e’ del 5% e uno dei livelli piu’ bassi di spesa tra i Paesi aderenti all’organismo internazionale. In particolare, la spesa e’ diminuita del 9% tra il 2010 e il 2016 sia per la scuola che per l’universita’, piu’ rapidamente rispetto al calo registrato nel numero di studenti. Ma il calo degli investimenti della scuola ha origini piu’ lontane: tra il 1995 e il 2010 l’Ocse ha rilevato che l’Italia ha sostanzialmente congelato la spesa per studente di scuola primaria e secondaria (inferiore e superiore), con un aumento in termini reali dello 0,5%. Una sorta di “spendig review prolungata” amplificata dal progressivo invecchiamento del corpo docente: gli insegnanti italiani sono in media i piu’ anziani dell’area Ocse, con il 59% di ultracinquantenni, anche se, grazie alle recenti assunzioni, questo rapporto e’ diminuito (dal 64% nel 2015 al 59% nel 2017) e che dovra’ sostituire circa la meta’ dei prof entro i prossimi dieci anni, avendo la quota piu’ bassa di insegnanti di eta’ tra i 25 e i 34 anni.

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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