L’eccessivo numero di adempimenti, di permessi e l’espletamento delle pratiche richieste dalla nostra burocrazia causano un costo annuo in capo alle imprese italiane di circa 57 miliardi di euro. A dirlo e’ l’Ufficio studi della Cgia che ha “ricostruito” la dimensione economica di questo fenomeno, alle luce delle analisi elaborate dall’Istituto Ambrosetti e da Deloitte. “I tempi, i costi e la farraginosita’ della cattiva burocrazia italiana – si afferma – costituiscono un problema che caratterizza negativamente il nostro Paese, all’interno del quale sono presenti forti differenziazioni tra Nord e Sud, nonche’ tra regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale. Nel Mezzogiorno, dove la nostra Pubblica Amministrazione e’ meno efficiente, la situazione e’ maggiormente critica”. Il risultato che emerge dal confronto con gli altri Paesi europei – sostiene la Cgia – e’ impietoso. Nel decennio 2008-2018, gli ultimi dati disponibili dati del World Economic Forum mostrano che il grado di complessita’ amministrativa che grava sulle imprese e’ nettamente superiore da noi che negli altri principali paesi nostri competitori. Nel rank mondiale ci posizioniamo al 136 posto: rispetto a 10 anni prima abbiamo perso addirittura sei posizioni.
A lamentarsi della scarsa qualita’ dei servizi resi dalla nostra PA non sono solo le imprese, ma anche i cittadini. Nell’ultima indagine effettuata dalla Commissione Europea su un campione di intervistati tra il 18 gennaio e il 14 febbraio di quest’anno, emerge che tra i 27 paesi UE, l’Italia si colloca al 24 posto. Solo Romania, Bulgaria e Grecia registrano un livello di gradimento dell’offerta dei servizi pubblici inferiore al nostro. Se in Italia solo il 35% dei cittadini considera “abbastanza buona e molto buona” l’offerta resa dalla nostra PA, in Spagna la percentuale sale a 43, in Francia a 50, in Germania a 63 e nei Paesi Bassi addirittura a 89. La media dell’UE a 27 e’ pari al 52 per cento. Sebbene il nostro Paese abbia recuperato 5 punti percentuali rispetto alla rilevazione fatta nel 2019 (anno pre-Covid), nell’ultima rilevazione continuiamo comunque a essere relegati nella parte bassa di questa particolare graduatoria. Per qualità istituzionale, Campania e Calabria sono ultime in Europa Se a livello regionale ci confrontiamo con il resto d’Europa anche sulla percezione della qualita’, imparzialita’ e corruzione della nostra PA, il risultato che emerge e’ molto desolante. Su 208 regioni monitorate a livello europeo dall’Università di Goteborg (anno 2021), la prima realtà territoriale italiana per qualità istituzionale, vale a dire la provincia Autonoma di Trento, si colloca al 100 posto. Seguono il Friuli Venezia Giulia al 104 , il Veneto al 109 , la Provincia Autonoma di Bolzano al 117 e la Toscana al 126 posto. Puglia (190 ), Sicilia (191 ), Basilicata (196 ), Campania (206 ) e Calabria (207 ) si piazzano negli ultimi 20 posti della graduatoria. Fanalino di coda a livello europeo e’ la regione rumena di Bucaresti-Ilfov; quella piu’ virtuosa tra le 208 monitorate, invece, e’ la finlandese land.
Secondo l’Ufficio studi Cgia, il miglioramento dell’efficienza della macchina pubblica deve svilupparsi secondo tre direttrici: innanzitutto attraverso una digitalizzazione estesa del rapporto tra PA e imprese, soprattutto attraverso il dialogo tra le banche dati pubbliche; standardizzazione dei procedimenti e della modulistica; riorganizzazione delle competenze e riduzione del numero di enti pubblici coinvolti nel medesimo procedimento.
In sintesi, le imprese chiedono che il rapporto con la PA si semplifichi con una sola istanza, una sola piattaforma informatica, una sola risposta ed un solo controllo. Fondamentale, infine, il monitoraggio delle semplificazioni già introdotte, ed evitare l’emanazione continua di nuove norme che modificano le precedenti, complicando ulteriormente la vita delle imprese