Svimez-Tagliacarne: 73.200 imprese rischiano di chiudere

Sono 73.200 le imprese italiane, tra 5 e 499 addetti, il 15% del totale, di cui quasi 20mila nel Mezzogiorno (19.900) e 17.500 al Centro, a forte rischio di espulsione dal mercato. Di queste, una quota quasi doppia riguarda le imprese dei servizi (17%), rispetto alla manifattura (9%). Sono quelle che hanno forti difficolta’ a ‘resistere’ alla selezione operata dal Covid come risultato di una fragilita’ strutturale dovuta ad assenza di innovazione (di prodotto, processo, organizzativa, marketing), di digitalizzazione e di export, e di una previsione di performance economica negativa nel 2021. Lo rileva una ricerca congiunta Svimez-Centro studi delle Camere di commercio Guglielmo Tagliacarne-Unioncamere, condotta su un campione di 4mila imprese manifatturiere e dei servizi tra 5 e 499 addetti.

Svimez e Centro studi Tagliacarne hanno firmato un accordo di collaborazione su alcuni filoni strategici di attivita’ per formulare indicazioni e suggerimenti per le policy di sviluppo territoriale del Mezzogiorno e per le aree con criticita’ di sviluppo. ‘Dall’indagine emerge, oltre a una differenziazione marcata tra Nord Est e Nord Ovest, anche la fragilita’ di un Centro che si schiaccia sempre piu’ sui valori delle regioni del Sud – commenta il direttore Svimez, Luca Bianchi – con i diversi impatti settoriali, la particolare fragilita’ di alcuni comparti dei servizi, che impongono, dopo la prima fase di ristori per tutti, una nuova fase di interventi di salvaguardia specifica dei settori in maggiore difficolta’, accompagnabili con specifiche iniziative per aumentare la digitalizzazione, l’innovazione e la capacita’ esportativa delle imprese del Centro-Sud’. Secondo Gaetano Fausto Esposito, direttore generale del Centro studi Tagliacarne ‘e’ possibile che le imprese del Mezzogiorno possano conseguire quest’anno risultati ancora piu’ negativi rispetto alle loro aspettative, perche’ meno consapevoli dei propri ritardi accumulati sui temi dell’innovazione e del digitale. Anche per questo c’e’ bisogno di un patto per un nuovo sviluppo che tenga conto della gravita’ della situazione e del preoccupante aumento dei divari nel nostro Paese’.

Quasi la meta’ (48%) delle imprese italiane e’ fragile (non innovative, non digitalizzate e non esportatrici). Al Sud arrivano al 55%, per quasi il 50% al Centro, per il 46% e il 41% rispettivamente nel Nord-Ovest e nel Nord-Est. Questi divari confermano la tesi Svimez di ‘nuova questione del Centro’, che ha un’incidenza piu’ vicina a quella del Mezzogiorno. L’incidenza e’ ancor piu’ intensa nel settore dei servizi, dove i deficit di innovazione e digitalizzazione fanno si’ che le imprese fragili superino il 50% a livello nazionale, sfiorando il 60% al Sud. Nel comparto manifatturiero sono fragili in Italia il 31% delle aziende, che salgono al 39% nel Mezzogiorno. Il 30% delle imprese dei servizi e il 22% di quelle manifatturiere italiane dichiarano aspettative di fatturato in calo anche nel 2021, un chiaro segnale che la crisi non e’ affatto finita. Incrociando dinamiche settoriali e territoriali spiccano, secondo il rapporto, due fatti principali: nei servizi non si segnalano differenziali territoriali apprezzabili ed una persistenza della crisi soprattutto nel Nord-Ovest, mentre nel manifatturiero, invece, si confermano le difficolta’ di ripresa del Mezzogiorno (27% delle imprese con previsioni di performance negative, contro il 19% del Nord-Est) e, sia pur meno accentuate, del Centro (25%).

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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