L’intervista. Tommaso Bernabeo, il teatro e la complessità del male. Le riflessioni di un attore che ama Macbeth e scruta il buio tra le stelle

L’intervista. Tommaso Bernabeo, il teatro e la complessità del male. Le riflessioni di un attore che ama Macbeth e scruta il buio tra le stelle

Cosa ti ha portato ad essere un attore e quando hai deciso di intraprendere la carriera artistica?

Ho iniziato all’oratorio dei salesiani quando avevo 8 anni. Un po’ tutti hanno iniziato da lì. Poi con la scuola, dove ho fatto spettacoli e teatro amatoriale alle superiori. Ho intrapreso gli studi universitari a Parma dove ho seguito Marketing, fino a che ho radicalmente cambiato totalmente stile di vita: ho fatto il provino al Marrucino. Sono stato preso e da quel momento ho iniziato a lavorare nel ramo artistico come attore professionista dal 2005. Da quel momento ho collaborato con più compagnie, personaggi dello spettacolo e registi. E soprattutto ho lavorato con più colleghi: credo profondamente che chi intraprenda la carriera di attore non possa basarsi su un solo stile ma debba ricercare la più eclettica versatilità.

Cosa mi ha portato a fare questo?

Bella domanda. Sono arrivato alla conclusione che non potevo fare altro: fondamentalmente credo di avere una vena di follia. riesco a vivere in scena utilizzando delle parti di me a cui non posso dare vita nel mondo reale. Per me non c’è altro lavoro in grado di far uscire tutte le sfaccettature della mia persona, che animo costruendo i vari personaggi.

È mai accaduto anche l’opposto, ovvero che alcuni personaggi che hai interpretato abbiano caratterizzato la quotidianità?

Sempre. Ci sono molti personaggi che mi hanno lasciato qualcosa che poi continuo a vivere come persona. In questo modo si diventa una sorta di camaleonte sempre in evoluzione, ogni personaggio che faccio mi fa scoprire un lato di me rendendo la mia evoluzione personale virtualmente infinita. Ovviamente non cambio drasticamente, piuttosto attingo al personaggio per superare dei limiti o prenderne delle caratteristiche da utilizzare nella vita. Tutti i personaggi che ho interpretato mi hanno lasciato sempre qualcosa, da quelli positivi a quelli negativi: gli esseri umani non sono fatti solo di bene. C’è un equilibrio tra il negativo e il positivo. Ogni personaggio che ho interpretato, mi ha lasciato qualcosa. Spero di non interpretare qualche maniaco omicida.

Visto ciò che non mi hai detto poc’anzi, non hai mai avuto paura di impazzire, di perdere totalmente il contatto con il mondo reale?

Tutto dipende dal concetto con il quale identifichiamo la pazzia. Se la pazzia è un una sorta di pensiero laterale rispetto ad un pensiero comune, massificato, io sono perennemente pazzo e amo i pazzi, amo stare con i pazzi. La pazzia intesa come malattia mentale è un’altra cosa e non credo mi appartenga. Vedi, anche se i flussi tra persona e personaggio sono sono ben stretti, so distinguere bene la persona e il personaggio. La pazzia di cui mi nutro è il pensiero laterale: sotto questo aspetto sono perennemente pazzo, felicemente pazzo, meravigliosamente pazzo. Amo la pazzia perché non annoia mai, un po’come il caos infernale in contrapposizione al sereno Paradiso. Sintetizzando: la pazzia del Macbeth non mi appartiene, la pazzia di Nietzsche sì.

Come hanno inciso questi 2 anni di profondo cambiamento storico, 2020 e 2021, sul tuo lavoro e sulla tua creatività?

Beh hanno inciso come hanno inciso per tutti quanti. Più che altro si è scoperchiato un vaso di Pandora, abbiamo compreso quanto il sistema artistico italiano sia carente di tutele rispetto ai paesi esteri. Non ho riscontrato delle grandi ripercussioni sotto il profilo creativo. Personalmente ho sempre avuto una mentalità con tendenze a immaginare e a vivere mentalmente scenari apocalittici, diciamo quindi che è stata una normale conseguenza del mio pensiero. Può essere negativo nella misura in cui dalla negatività esce il dramma, la tragedia. Il fermo dal teatro mi ha portato a fermarmi e a ripensare un po’ alla mia vita, principalmente per questo ho iniziato a fare cose che avevo in mente da tempo, come la creazione insieme a Dario e Eliana dei 906, una nostra compagnia teatrale. Per il resto non ho constatato tanta diversità: nei miei lavori, nei miei pensieri… Forse fisicamente mi è pesato molto, come mi è pesato non vedere alcune persone, come mi sta pesando ancora adesso il dover rispettare delle regole, giustissime, ma dal punto di vista creativo non ho visto tanti cambiamenti. Una sorta di Carpe Diem credo sia la conseguenza che hanno avuto molte persone, credo che sia una delle poche conseguenze positive da questa pandemia: correre dietro all’attimo, cogliere il momento al volo ben sapendo di essere all’ombra di un potenziale fine vita. Ci illudiamo di essere immortali, abbiamo incamerato la visuale cattolica di un mondo eterno, per cui tendiamo a destinare al futuro quello che possiamo fare nel presente. Una pandemia sbatte in faccia questo corto circuito e permette di rivalutare l’essere terreni.

Ci sono dei personaggi in particolare che non vedi o che non vedevi l’ora di interpretare?

Ammetto un debole verso la complessità di quello che viene definito “il male”. Molti vedono le stelle e le trovano meravigliose. Io cerco di vedere il buio che le circonda: senza questo, le stelle non potrebbero essere visibili. Generalmente i personaggi che mi affascinano sono gli antagonisti. Ma gli antagonisti che amo non sono estremizzazioni tali da rappresentare il male assoluto, sono estremamente complicati. Un esempio potrebbero essere l’Innominato, o il Satana del Paradiso Perduto. Nel momento in cui si presenta un paradosso c’è anche un antagonista, e spesso ha molto da raccontare, alla fine magari si redime anche. Dei personaggi in particolare sicuramente io adoro Macbeth, quindi il personaggio in grado di compiere azioni crudeli e in grado di capovolgere l’asse protagonista/antagonista. Oppure Riccardo III, rimanendo in abito shakespeariano. Ogni personaggio contiene un potenziale che può estrinsecarsi una volta messo in scena. Mi sono piaciuti tantissimi personaggi, ognuno è determinato da alcune particolarità, sia quelli comici sia quelli drammatici. Mi piacerebbe poter interpretare un antagonista a tutto tondo, qualcosa che mi permette proprio di immergermi sotto il profilo psicologico, un antagonista che sia in grado di mostrare i motivi che spingono ad un’azione maligna, senza però realizzare una banale rappresentazione del male. Piuttosto dei motivi per i quali il male attecchisce. Sarebbe estremamente affascinante.

Hai mai pensato di scrivere qualche testo per far venire alla luce questo genere di personaggio?

Sì, ci ho pensato più volte, come ho pensato più volte a realizzare intere situazioni che insinuassero l’idea che il male può contenere il bene. Generalmente abbiamo esempi del contrario, vediamo protagonisti la cui luce si eclissa in qualche situazione oscura, mentre gli antagonisti difficilmente hanno questo corrispettivo. Mi sarebbe piaciuto, e mi piacerebbe ancora oggi scrivere qualcosa del genere, ma ammetto che la pigrizia ha meglio, quindi invento la situazione, creo trame, e poi non riesco a mettermi a scrivere.

Per il 2022 hai dei progetti in particolare?

Per il 2022, sperando che vada tutto bene, dovremmo iniziare i progetti con il 906. Abbiamo delle collaborazioni in ballo ma soprattutto abbiamo tante idee. Ho una Cenerentola in vernacolo, progetti con gli amici del teatro di Ortona, con l’Accademia dello Spettacolo con cui lavoro da 15 anni. Sarà un anno intenso, sperando ovviamente che la situazione covid sia un po’ più tranquilla. La storia ci ha insegnato che al termine di un periodo oscuro c’è sempre un tempo pieno di luce. Francamente non vedo l’ora di riuscire ad entrare in questo periodo di luce, e a continuare una vita che prima era notevolmente più facile.

Spesso mi hai parlato del 906: con questa compagnia vi prefiggete qualche obiettivo in particolare? Avete già una strada tracciata o è un progetto in divenire?

I 906 sono nati da una progetto con Dario Iubatti ed Eliana De Marinis che, oltre ad essere grandi amici, sono colleghi formidabili. Dario è diplomato all’Accademia Nazionale Silvio D’Amico, Eliana è cresciuta al Centro Sperimentale di cinematografia. Ci siamo formati per ricercare una nostra identità che si sta formando nel tempo con l’obiettivo di di unire il classico con il moderno. L’intenzione è di recuperare una struttura drammaturgica classica fondendola con l’utilizzo di tecnologie situazioni e problematiche moderne. Noi più che un progetto sperimentale vorremmo che fosse una un’evoluzione della prosa classica. Ci siamo formati da poco, ottobre 2021, e i progetti in divenire ci sono: parliamo di collaborazioni con alcune realtà cittadine, nondimeno abbiamo in ballo dei collegamenti con delle importanti realtà nazionali. Siamo ancora in fase di progettazione quindi non possiamo sbilanciarci, ma non appena il Covid avrà allentato la morsa ci saranno novità. Credo che questa sia un’evoluzione dei nostri percorsi attoriali, abbiamo comunque 15 anni di esperienza per cui non sono associazioni nate una volta terminata la scuola: abbiamo i nostri bagagli e sono aperti alle collaborazioni e a situazioni per creare un substrato diverso che va a integrare quello già presente in Italia. Ovviamente seguiremo il consiglio di persone più esperte, come il mio maestro Sabatino, puntando a creare uno stile nostro che può essere riconoscibile. Ci stiamo lavorando. È impegnativo e continuerà ad esserlo, è un carico di responsabilità, ma è una nuova e bellissima avventura che coinvolge tutti e tre! Credo che il teatro sia un gioco serio e stiamo trattando questa situazione con un gioco serio, cercando di bilanciare dosando al meglio la disciplina, il rigore e il divertimento: questi ingredienti saranno anche lo stesso strato su cui si baseranno le nostre produzioni e i nostri spettacoli.

Ovviamente vi auguro un futuro radioso. Se tu avessi la possibilità di tornare indietro nel tempo con la consapevolezza di adesso, con tutti i pro e tutti i contro, cambieresti qualcosa?

Grazie per gli auguri. Premesso che il passato è un memento per non ripetere gli stessi errori, forse mi lancerei di più in alcune situazioni, avrei meno remore nel nell’osare, e probabilmente avrei cominciato prima. Detto questo la questione del tempo per me è complessa: per quanto possa sembrare scontato, il passato è passato. Pensare al passato poi dovrebbe essere visto solamente come un modo per non ripetere gli stessi errori e non come una Sliding Doors nel momento stesso in cui pensi al passato, a quello che avresti potuto fare, è matematicamente e logicamente devastante l’impatto sul presente. Credo che viviamo solo un minimo di presente e non vivere il momento implica giocarsi la vita. Pensare al futuro e viverlo con ansia è la stessa cosa sotto il profilo temporale: ci si gioca tutti i progetti. Credo nell’importanza del vivere il momento. Ogni momento è sacro allo sguardo dell’artista, e quello che sarebbe successo così come quello che succederà diventa irrilevante. Perdere il presente, è questo il vero dramma. Quindi non pensarci e agire, agire sempre evitando il pensiero di ciò che potrebbe essere stato o di ciò che potrebbe essere confinandolo solamente a una speculazione. Su un livello artistico e lavorativo l’importante e agire perché già adesso stiamo diventando passato, queste stesse parole sono già passate nel momento in cui vengono lette.

C’è un target particolare di persone a cui consiglieresti di fare teatro?

Non credo che possa esserci un target particolare, chiunque può farlo e ogni momento della vita è buono per fare teatro. Lo vedo sia con i ragazzini, per far scoprire loro un’arte ma anche una dimensione totalmente diversa di gioco e di diversa visione della vita, e agli adulti anche più adulti per farli ritornare bambini. Diventa una sorta di circolo, un uroboro in cui il bambino diventa adulto rimanendo bambino e l’adulto invece torna bambino rimanendo adulto. È il tema del gioco serio di cui parlavo prima. Si creano appunto delle situazioni in cui entrambe le fasce di età si incontrano: il teatro elimina l’età, diventa eterno, e allo stesso modo elimina la sessualità, elimina il genere, elimina tutto quello che noi nella vita normale tendiamo a identificare o a classificare in qualche modo. Nel teatro non c’è spazio per le divisioni, per questo è universale. Lo consiglierei a tutti, il teatro è per tutti, ma non forma una massa indistinta, è il luogo in cui chiunque può marcare il proprio essere capolavoro come diceva Wilde e ancor di più come diceva Bene. Si diventa dei capolavori all’interno di una grande tela, quella del teatro in cui vari capolavori giocano su due livelli, quello drammaturgico e quello umano.

di R. Matteo D’Angelo

 

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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