Scuola, troppi docenti precari: l’UE richiama l’Italia

di Francesco Piccinino Camboni

Un sistema al collasso
In Italia, quasi un milione di insegnanti lavorano ogni giorno per formare le nuove generazioni, ma una fetta sempre più ampia di loro vive in una condizione di instabilità cronica. Non è disponibile tuttavia una stima istituzionale recente sui dati dei docenti precari. Per l’anno scolastico 2024/25, i sindacati stimano un numero di circa 195.000 docenti precari. D’altro canto, il Ministero dell’Istruzione, con un comunicato di ottobre 2024 dichiara: “nel prosieguo dell’anno scolastico le supplenze si potranno attestare sul numero di 155mila […] Nell’anno scolastico 2023/2024 le supplenze sono state 160.564, mentre nell’anno scolastico 2022/2023 hanno raggiunto le 160.562 unità.”(2*).
È proprio questo squilibrio che ha portato Bruxelles ad aprire una procedura di infrazione contro l’Italia, accusandola di abusare del precariato nella scuola pubblica (3*). Secondo l’UE, il nostro Paese non ha rispettato le direttive comunitarie che impongono di prevenire abusi nei contratti a termine.
La Commissione UE afferma inoltre che “secondo la normativa italiana […] gli insegnanti a tempo determinato non hanno diritto alla progressione salariale graduale basata sui periodi di servizio già svolti, a differenza dei colleghi a tempo indeterminato.”
Il comunicato continua: “la Commissione ritiene che queste condizioni di impiego discriminatorie violino il principio di non discriminazione dei lavoratori a termine e costituiscano una violazione del diritto dell’Unione.”
Dietro i numeri, però, ci sono storie di vite sospese: insegnanti costretti a cambiare scuola ogni anno, a percorrere centinaia di chilometri per una cattedra e a vivere senza la certezza di un rinnovo.

Il business delle graduatorie
La precarietà non è solo una condizione lavorativa: è diventata un vero mercato. Per scalare le GPS, le Graduatorie Provinciali per le Supplenze, non basta più il merito o la preparazione. Servono veri e propri “punti”, e questi si possono comprare. Proliferano corsi, certificazioni linguistiche e informatiche vendute da enti riconosciuti dal Ministero per formare gli insegnanti.
Il meccanismo è semplice: chi ha più punti, chi ha pagato più titoli, ha più possibilità di insegnare. E così, per guadagnare terreno, molti docenti precari finiscono intrappolati in un sistema che li costringe a spendere migliaia di euro per master, corsi o certificazioni. Nonostante la laurea magistrale e l’abilitazione all’insegnamento, non è mai abbastanza. Una guerra tra poveri, dove l’investimento non sempre garantisce un posto stabile ma alimenta un circolo vizioso che rischia di svilire di dignità la professione.

L’infrazione europea e le sue ragioni
La procedura avviata dall’UE non è un fulmine a ciel sereno. La direttiva 1999/70/CE (5*) infatti prevede che i lavoratori con contratti a tempo determinato non possano essere utilizzati per anni senza una prospettiva di stabilizzazione. L’Italia, invece, ha costruito un sistema che si regge su contratti annuali e supplenze, con graduatorie che si rinnovano senza affrontare il nodo della stabilizzazione strutturale.
Secondo la critica, questo abuso mina non solo i diritti dei lavoratori, ma anche la qualità del sistema educativo. Un insegnante che cambia scuola ogni anno difficilmente può costruire un percorso stabile con i propri studenti. Questo approccio quindi non solo viola i diritti dei docenti, ma compromette la continuità didattica, elemento essenziale per la qualità educativa.

Le vite dietro i numeri
Dietro i grafici e i report si nascondono le voci dei docenti precari. Professionisti laureati che vivono tra valigie e aule improvvisate, insegnanti con anni di esperienza che non vedono mai riconosciuto il loro percorso.
Il precariato, in questo senso, non è solo una condizione economica: è una ferita sociale. Una generazione di insegnanti si sente sfruttata e svalutata, vittima di un sistema che confonde il merito con la burocrazia e lascia spazio a storture e opacità.
Mentre altri Paesi europei investono nella formazione e nella stabilizzazione dei docenti, in Italia il lavoro dell’insegnante resta fragile, mal pagato e socialmente poco riconosciuto. Secondo l’OCSE (Education at a Glance 2024 4*), gli insegnanti italiani, in particolare all’inizio e a metà carriera, guadagnano meno della media OCSE e risultano tra i più sotto-pagati dell’area europea, con evidenti ripercussioni sulla stabilità professionale.
Questo impoverimento, unito all’incertezza cronica, spinge molti a cercare alternative, o addirittura a lasciare il Paese per insegnare all’estero, dove competenze e dedizione pare vengano valorizzate di più.

Il futuro
Senza un intervento strutturale, il rischio è che la scuola italiana continui a reggersi su un modello insostenibile, dove precarietà e business vanno a braccetto, penalizzando la qualità dell’insegnamento e la dignità dei docenti.
Il vero nodo da sciogliere è culturale prima ancora che politico: riconoscere che un sistema educativo sano si fonda su stabilità, rispetto e investimenti concreti in chi ogni giorno costruisce il futuro del Paese. L’Italia vanta uno dei migliori sistemi educativi al mondo in termini di inclusione, didattica e socialità: siamo davvero disposti a tollerare questa falla, lasciando scappare all’estero i nostri migliori insegnanti?

Fonti:

2* MIM: https://www.mim.gov.it/-/precariato-valditara-avvia-confronto-con-i-sindacati

3*: Sito ufficiale Commissione Europea: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/inf_25_242

4* Rapporto OCSE “Education at a Glance 2024” : https://www.oecd.org/en/publications/education-at-a-glance-2024_c00cad36-en.html?utm_

5*: Direttiva UE https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A31999L0070

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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