Sono oltre 15 mila in 5 anni i dipendenti della pubblica amministrazione incappati in sospensioni o licenziamenti. Domina con il 30% dei provvedimenti il comparto sanità seguito dai ministeri e dalle Agenzie (il 27%) e poi dai comuni (20% del totale), (scuole 11%), enti pubblici vari (4%), Regioni (3%) e, infine, università e le province, ferme entrambe a quota 2%. E’ quanto emerge da un’analisi di Centro Studi Enti Locali basata sugli ultimi dati messi a disposizione dal ministero per la Pubblica Amministrazione. Nel 2023, come nell’anno precedente, i licenziati sono stati circa 650: prima causa (35%) le assenze ingiustificate dal servizio: dipendenti che non hanno comunicato che non si sarebbero presentati a lavoro, che hanno giustificato la loro assenza con un certificato medico falso o che attestava una malattia inesistente. Al secondo posto c’è la categoria licenziamenti connessi a dei reati, che rappresenta il 33% del totale e ancora, nel 26% dei casi, l’inosservanza di disposizioni di servizio, la negligenza, le false dichiarazioni o un comportamento scorretto verso superiori, colleghi e utenti. A dire il vero però finire nella pubblica amministrazione nel mirino dei propri superiori è diffuso: oltre 11.000 sono i procedimenti avviati nel 2023. E, ad eccezion fatta per 822 sospensioni a causa di un procedimento giudiziario e 674 fascicoli ancora aperti, nella stragrande maggioranza dei casi (10.110) le sorti dei dipendenti pubblici finiti nel mirino dei propri superiori nel 2023 sono state decise. Inoltre nel 29% dei casi (2.907) i procedimenti disciplinari nati in seno alle amministrazioni pubbliche italiane si sono tradotti in un’archiviazione o un proscioglimento. Pochi meno, 2.871, i casi in cui l’approdo è stato un provvedimento sanzionatorio grave, vale a dire un licenziamento o una sospensione dal servizio (2.214). Nei restanti 4.332 casi, pari al 43% del totale, i provvedimenti hanno portato all’applicazione di sanzioni minori, come un richiamo verbale o scritto.
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