Rapporto Cerved, il fatturato delle PMI in calo di 11 punti percentuali

Il Rapporto Cerved Pmi 2020 stima che il fatturato delle piccole e medie imprese diminuirà nel 2020 di 11 punti percentuali (fino a 16,3% nel caso di ulteriori lockdown) e la redditività lorda del 19%. Una simulazione condotta da Cerved sul totale delle imprese private, quindi non solo Pmi, prevede poi che a fine 2021 vadano persi 1,4 milioni di posti di lavoro e si abbia una riduzione del capitale di 47 miliardi di euro (il 5,3% del valore delle immobilizzazioni) qualora, una volta cessate le attuali misure di sostegno, non ci siano prospettive di rilancio. Con nuove chiusure, i disoccupati salirebbero a 1,9 milioni, e a 68 i miliardi in meno di capitale (7,7%).

Finora, prosegue lo studio, gli impatti della pandemia sono stati mitigati dai provvedimenti di emergenza, come l’estensione della Cassa Integrazione e gli interventi sulle garanzie pubbliche: nel 2020, dunque, nonostante i forti segnali di difficoltà la maggior parte delle Pmi italiane chiuderà l’anno in pareggio o in utile e gli indici di redditività, pur crollando rispetto al 2019, risulteranno in media ancora positivi. Ma quando queste misure avranno fine, gli effetti della crisi potrebbero manifestarsi in maniera assai più rilevante: senza prospettive di rilancio, molti imprenditori potrebbero licenziare o dover chiudere le proprie attività. Sarà quindi decisivo, tra le altre misure di sostegno, il NextGenerationEu, il piano di finanziamenti per la ripresa dell’Europa (750 miliardi di euro, di cui 209 da destinare all’Italia) che ha messo al centro la sostenibilità e la digitalizzazione delle aziende.

Il Rapporto Cerved Pmi 2020, alla sua settima edizione, si basa sull’ampio patrimonio di informazioni di Cerved relativo a 158.658 società di capitale non finanziarie, di cui 131.758 piccole e 26.810 medie imprese, che impiegano tra 10 e 250 addetti e rientrano nella definizione europea di piccola e media impresa. In Italia le Pmi rappresentano il 19,6% delle società che hanno depositato un bilancio valido e impiegano 4,2 milioni di addetti. Nel 2019 il loro fatturato è cresciuto in termini reali del 2,8%, tornando al di sopra dei livelli del 2007. Il valore aggiunto è aumentato del 3,4% sul 2018, ma ciò non è stato sufficiente a coprire l’aumento del costo del lavoro, con impatti negativi sulla redditività lorda, che rimane lontana dai livelli pre-crisi (-19,4%), sugli indici di profittabilità e sul ROE, di nuovo in calo dal 13,9% del 2007 al 10,8% del 2019. Nonostante la ripresa avesse già perso smalto prima del Covid, le PMI avevano proseguito nel 2019 un lungo processo di rafforzamento patrimoniale e finanziario, con oneri finanziari ai minimi (12,8% del Mol) e una riduzione del peso dei debiti finanziari (il 61% del capitale netto, contro il 115% del 2007)

L’emergenza da Covid19 però ha sparigliato le carte: nel 2020 i ricavi delle Pmi caleranno di 11 punti percentuali e la marginalità lorda crollerà di altri 20 punti rispetto ai livelli, già bassi, dell’anno precedente. Gli indici di solidità patrimoniale e finanziaria peggioreranno, ma grazie ai livelli di resilienza accumulati precedentemente, rimarranno (in media) sostenibili, con gli oneri finanziari al 15,5% del Mol e i debiti al 68% del capitale netto. Payline, il database di Cerved che fotografa in tempo reale i pagamenti delle imprese italiane, indica che i mancati pagamenti delle PMI hanno raggiunto il livello massimo durante il lockdown (45%, da una quota del 29% pre-Covid). Nei mesi successivi c’è stato un miglioramento, con una riduzione al 37% in luglio di fatture non saldate, ma un altro lockdown potrebbe arrestare questa ripresa, costando al sistema di PMI altri 5 punti di ricavi (-16,3%, rispetto ai -11% previsti per fine anno nello scenario base) e tredici punti di valore aggiunto (-27% rispetto a -14%).E ora? Cosa accadrà quando Cassa Integrazione, blocco dei licenziamenti e garanzie sui prestiti saranno interrotte e non sostituite da altre eventuali politiche di sostegno straordinarie? Una simulazione condotta su tutte le aziende iscritte al Registro delle Imprese (che occupano 16,7 milioni di addetti) e basata sull’impianto del Covid-assessment indica che potrebbero andare persi 1,4 milioni di posti di lavoro (l’8,3% degli occupati a fine 2019) tra uscita dal mercato delle società più fragili e ridimensionamento dovuto al ridotto giro d’affari. La cifra salirebbe a 1,9 milioni (-11,7%) nel caso di nuovi lockdown. Il tasso di occupazione si ridurrebbe dal 44,9% al 42,5% nello scenario base, scendendo fino 41,4% qualora si verificassero nuove chiusure.Gli effetti sarebbero particolarmente consistenti per le piccole imprese e per quelle che operano nel sistema moda, nella siderurgia, nella logistica e trasporti e in alcuni servizi alle persone. Nei dieci settori più colpiti – in particolare agenzie di viaggio, strutture ricettive, ristoranti, che potrebbero dover ridurre di un terzo o più il loro personale – si concentrerebbe circa la metà della perdita occupazionale. Solo nella ristorazione si potrebbero avere 432 mila posti di lavoro in meno; nuovi lockdown farebbero aumentare questa stima a 667 mila. Dal punto di vista territoriale, gli effetti maggiori si avrebbero nel Mezzogiorno: -9,4% di occupati nel settore privato, -13% nello scenario più severo. In termini di tassi di occupazione, il divario Nord-Sud non si allargherebbe ulteriormente solo grazie al maggior peso della Pubblica Amministrazione tra gli occupati del Mezzogiorno.Ma come fornire finanza alle imprese per far ripartire gli investimenti? “Finora lo strumento principale è stato il credito garantito – continua Mignanelli -, ma la gran parte della riduzione di capitale che prevediamo, 37 su 47 miliardi di euro, sarà concentrata in imprese colpite duramente dal Covid che avranno difficoltà a finanziare gli investimenti con debito. L’iniezione di risorse nel sistema delle PMI dovrà quindi necessariamente prevedere sia finanziamenti a debito sia apporti di capitale di rischio, e un ruolo importante sarà giocato da operatori finanziari non bancari, nei quali il nostro paese mostra ancora un ritardo di sviluppo. Trasformazione digitale, distruzione e ricostituzione delle catene globali del valore, smartworking potrebbero però indurre un rapido cambiamento della struttura produttiva, con alcuni settori emergenti in espansione e altri destinati a un inevitabile ridimensionamento: sarà dunque necessario fare delle scelte su dove indirizzare le risorse”.Anche rispetto ai 209 miliardi che dovrebbero arrivare all’Italia con il NextGenerationEU non si potrà prescindere dalle due direttrici previste, digitalizzazione delle imprese e transizione verso un sistema più sostenibile. Secondo un’analisi basata sul Cerved Growth Index (indice sulle potenzialità di crescita delle imprese italiane in base anche al loro grado di innovazione digitale) sono appena 14.000 (il 9%) le Pmi con digital capabilities elevate. Pure la transizione verso un sistema più sostenibile richiederà nei prossimi anni forti investimenti da parte del nostro sistema industriale.

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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