D’Angelo: fotografo la vita, da Sebrenica ad Aleppo quante ingiustizie contro l’umanità

“Ogni luogo può avere il suo fascino, anche i luoghi considerati brutti possono avere una dimensione estetica, la differenza non è dove ti trovi, ma chi hai davanti, le persone, i loro volti, le loro storie, le loro voci e i silenzi  danno luce e speranza alla vita e al pianeta che abitiamo”. Luciano D’Angelo, fotografo tra i più rappresentativi in Italia, un lunga carriera di reportage per il Turing club, Airone, per l’editore Conde Nast, collaboratore di National Geographic, ha lavorato per Einaudi, per Eni, Quantas, e numerose compagnie di Stato. Nel suo ruolo di fotografo si è spinto in territori di frontiera sulle orme dei Berberi, e poi in Turchia, Siria, Marocco, Etiopia, Algeria, Libia, Kudistan. “Ci sono posti dove le persone le puoi capire con un solo sguardo, quando gli occhi si incrociano c’è tutta l’umanità, la storia, i desideri, le sconfitte, la saggezza del silenzio e la forza dell’anima”.

Cosa colpisce un grande fotografo come lei?

“Il mistero dell’incontro umano. I luoghi emanano storia, cultura, bellezza o decadenza. L’uomo invece è incontro, e le mie foto gravitano in questa forza magnetica della esperienza umana. Cogliere la dignità, l’etica, l’eroismo nelle piccole cose che svelano grandi gesti”

Può farci qualche esempio?

“I bimbi e le donne della Etiopia che devono fare chilometri per rifornirsi di un poco di acqua. Lo sguardo di un uomo berbero che solo con l’intensità degli occhi, del loro linguaggio mi ha fatto cogliere la fierezza, la dignità e l’eroismo di essere liberi, di aver lottato per la libertà. Da questo incontro, ad esempio, è nata una mostra: “Amazigh” che in berbero significa uomo libero. Gli incontri se sono veri ti cambiano, ti arricchiscono profondamente, io ho avuto molto”.

Quali posti ha sentito più intensi?

“Alcune zone della Turchia dove sono stato dieci volte, nel Kurdistan, in punti dove il Tigri e l’Eufrate si incontrano. Una visione indimenticabile. La città di Aleppo in Siria che ho visitato tante volte, stretto amicizia con persone straordinarie, molte delle quali hanno studiato in Italia. Aleppo era una città da sogno, e oggi mi addolora profondamente vederla rasa al suolo. E, ancora, Sebrenica, dove ho conosciuto le donne che subirono violenze indicibili, sono stato loro ospite. In ogni cosa c’è il mistero della vita, della sua fragilità, della lotta, dell’ignoto, della grandezza dell’uomo, della sua forza e del suo dolore. Come fotografo per me questo è il bello, saper cogliere questa luce umana che da calore, colore, significato all’esistenza”.

Cos’è la fotografia per lei?

“La foto è un viaggio verso la vita, verso la compressione dell’altro. Spesso da noi ci lamentiamo delle banalità del quotidiano mentre non sappiamo nulla dell’eroismo silenzioso di tante persone. Noi apriamo il rubinetto ed esce acqua, milioni di persone invece devono lottare duramente per averne un po’ per dissetarsi. La foto è testimonianza della sfida e dei sacrifici umani”.

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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