Il bimillenario della morte di Ovidio

Il bimillenario della morte di Ovidio

Per il bimillenario della morte di Ovidio le Scuderie del Quirinale hanno organizzato una mostra. Poiché questa struttura espositiva è dedicata alle arti figurative, ci si potrebbe domandare che tipo di mostra sia possibile organizzare su un poeta. Su un contemporaneo non mancherebbero foto, cimeli, lettere, manoscritti e prime edizioni dei suoi libri. Ma su un personaggio vissuto oltre duemila anni fa cosa si può mostrare?

Ovidio nacque a Sulmona nel 43 a.C.; con le sue opere divenne famoso e ambito nei circoli culturali e politici della Capitale dell’Impero organizzati da Giulia, l’unica figlia di Augusto. Tra le sue innumerevoli opere, di grande prestigio e ammirazione ha da sempre goduto il monumentale libro delle Metamorfosi.

Le metamorfosi, ovvero le trasformazioni sono una completa raccolta di miti della cultura greca che hanno per comun denominatore un cambiamento. Aracne trasformata in ragno da Atena dopo una sfida a chi meglio sapeva tessere, Narciso innamorato di se stesso che si lascia morire per questo amore impossibile e viene trasformato nel fiore che porta il suo stesso nome, Dafne che inseguita da Apollo viene trasformata in una pianta di alloro. Tantissimi sono i miti che Ovidio narra nel suo libro e che grazie alla sua opera sono diventati immortali e fonte di ispirazione per pittori e scultori. La mostra è quindi una preziosa collezione di pitture, mosaici, sculture e quadri dell’epoca greco romana e del rinascimento europeo. Grandi pittori come Giorgione, Botticelli, Velasquez, Tiziano e tanti altri sono stati sedotti da queste storie e con la loro arte hanno reso visibili questi personaggi mitologici.

Ovidio spiega le ragioni che lo hanno spinto a comporre la sua opera sulle Metamorfosi con questa frase: nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma. E’ sorprendente che nei suoi versi il poeta usi parole che saranno riprese da grandi scienziati come Lauvoiser e Einstein per descrivere la realtà fisica che ci circonda e di cui noi stessi siamo fatti.

Ovidio fu esiliato a Tomi una piccola cittadina che sorgeva sulle rive del mar Nero e che nella odierna Romania si chiama Costanza. Perché fu esiliato? La versione più accreditata è che Augusto avendo iniziato una azione moralizzatrice sui costumi del tempo non tollerava comportamenti licenziosi; per questo fece esiliare la sua unica figlia prima nell’isola di Ventotene e poi a Reggio Calabria. Avendo Ovidio pubblicato un libro, L’ars amandi, considerato sconveniente, per questa ragione fu esiliato. In realtà la figlia Giulia fu punita non per i suoi comportamenti sessualmente disinvolti ma perché partecipava ad una congiura che voleva restaurare la repubblica eliminando la figura dell’Imperatore. Per questo reato avrebbe meritato la morte, ma Augusto si limitò a punire la figlia in modo più blando e la storia dei comportamenti licenziosi era solo un modo per nascondere la reale versione dei fatti. Quindi l’accusa per Ovidio di essere un corruttore dei comportamenti non regge anche perché lo stesso poeta riconosce di essersi macchiato di una gravissima colpa che meritava la morte e mostra di essere in qualche modo grato per la clemenza esercitata da Augusto. Quale dunque fu la sua colpa? La vita politica dei Romani era soggetta a credenze di origine religiosa. La tolleranza che i Romani esercitavano verso tutte le altre religioni (tranne il cristianesimo, ma questa è un’altra storia) nasceva dal desiderio di volersi ingraziare gli dei protettori delle città nemiche garantendo loro uno splendido culto nell’Impero in modo che privassero queste città nemiche della loro protezione. Per questa ragione, temendo che i nemici facessero la medesima cosa con i loro dei avevano proibito, pena la morte ,di svelare il nome segreto di Roma ,ciò è il nome della dea protettrice della fondazione della città. Questa dea è Maia ,la più bella delle Pleiadi che sono una costellazione di sette stelle, disposte nel cielo come i sette colli di Roma. E la dea stella Maia occupa nel firmamento una posizione più centrale corrispondente al colle Palatino. Dunque è lei la dea protettrice, il nome segreto di Roma. Ovidio iniziò a comporre una nuova opera, i Fasti, in dodici libri, Scopo dell’opera era di spiegare l’origine del nome di ciascun mese, e quando si trattò di parlare di Maggio il poeta attribuì l’origine del nome alla dea Maia, svelando quanto si doveva tacere. Per questo meritava la morte che Augusto tramutò in esilio. Trova quindi spiegazione l’affermazione del sulmonese che dice di aver commesso un grave delitto che avrebbe meritato di essere punito con la morte.

Tutti noi cerchiamo di vincere in qualche modo l’oblio della morte; da uomini semplici cerchiamo di farlo dando ai nostri parenti e amici un motivo per ricordarci con affetto. Io mi sono sempre domandato chi tra un artista, uno scienziato e un grande personaggio storico riesca meglio a conquistare l’immortalità.

Di Alessandro, di Cesare, di Napoleone noi ammiriamo la grandezza e il potere anche se è stato conquistato a spese di lutti e violenze. Di Euclide, Galileo, Fermi ammiriamo il vantaggio e il progresso che con le loro scoperte hanno apportato all’intera umanità. Ma quando leggiamo un verso di Dante, ascoltiamo una musica di Mozart, guardiamo un quadro di Botticelli riviviamo in noi stessi le sensazioni e i sentimenti che hanno ispirato gli artisti e poiché la nostra vita è mossa dalla logica, ma sopra tutto dal sentimento per me gli artisti sono i più grandi.

Visitando l’ultima sala della mostra ho letto con emozione sul muro le parole di Ovidio: con il mio libro ho innalzato un monumento perenne; né l’ira di Giove, né il passare del tempo che tutto consuma potrà distruggere il ricordo di me. Ho conquistato l’immortalità.

diAchille Lucio Gaspari

 

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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