Una Pescara piccola piccola

Una Pescara piccola piccola

La proverbiale ed esibita indifferenza con la quale la classe politica abruzzese ha accolto le riflessioni di Stefano Trinchese sul tema della “Nuova Pescara” fornisce una plastica testimonianza non solo della pochezza culturale del dibattito pubblico della nostra regione, ma anche della manifesta autoreferenzialità quasi castale del ceto dei decisori pubblici, ai vari livelli istituzionali allocati.

Nel merito, Trinchese, con un piglio argutamente e volutamente provocatorio, demolisce l’accidentato processo di fusione dei tre Comuni sulla scorta della manifesta evidenza di tre debolezze strutturali che ne renderebbero monca, riduttiva e superficiale finanche l’idea ispiratrice:

1. L’esiguo rango demografico della città nuova che, ad onta degli entusiasmi provincialisti dei promotori ed a confronto con le aree urbane vere del paese, per inciso, non consentirebbe neanche di massimizzare gli incentivi di finanza pubblica e di ordinamento municipale interno previsti dalla norma;

2. La striminzita estensione geografica all’interno dell’area urbana sugli assi nord-sud ed est-ovest che, solo per porre alcuni esempi, lascerebbe fuori da questo processo di razionalizzazione amministrativa il porto vero (Ortona) e parte dell’aeroporto (San Giovanni Teatino), ma anche la connessione con Chieti, condensato di una stratificata cultura necessaria alla configurazione di un’identità compiuta alla nuova città;

3. Il trasparire, nell’operazione di ridotta fusione prefigurata, di un’identità di Pescara superficiale, rapida perché fatua, di “città che fagocita se stessa” storicamente per il prevalere di una “mentalità bottegaia” schiacciata sul presente.

Un paniere di argomentazioni robusto e variegato, da approfondire e da connettere ai dubbi più immediati concernenti il difficile processo di convergenza tra Enti locali caratterizzati da condizioni finanziarie e di bilancio radicalmente diverse e specificità amministrative che un processo di fusione di tal fatta renderebbe a dir poco farraginoso.

La razionalizzazione dell’area urbana dovrà dunque essere compiuta nella sua interezza, lasciandosi guidare dalle ragioni di un’organica lettura geografica della stessa, dal recupero di una visione urbanistica adeguata al tempo presente e alle esigenze della comunità residente, dal senso critico e di comprensione della realtà che una piena conoscenza della storia di Pescara, della sua fondazione “politica”, della sua apparente modernizzazione “di regime”, del suo caotico configurarsi nel dopoguerra, della sua mancata vocazione produttiva, della sua crescita, del suo dinamismo terziario e delle sue carenze potrà fornire.

Gli strumenti del diritto amministrativo dovranno allora mettersi al servizio di una visione politica, magari rinunciando a scelte verticistiche e semplificatorie di fusione (magari propagandabili nei confronti di un’opinione pubblica distratta) a vantaggio di soluzioni istituzionali in grado di governare la complessita’ degli insediamenti dell’area urbana in relazione anche all’intero Abruzzo e non, viceversa, dettando forme, modi e tempi di un processo di riorganizzazione territoriale che, nato storto, non potrà trovare correzioni nel futuro.

Sarà il forse il momento di discuterne?

O rassegnarsi alle risse tra taxi davanti l’aeroporto?

di Alessandro D’Ascanio (Esponente del Partito Democratico e Sindaco di Roccamorice)

 

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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