Vertenza Abruzzo. Clemente, Principe di Metternich, l’autonomia, i corsi e ricorsi storici.

di Angelo Orlando*

Clemente, Principe di Metternich, l’autonomia, i corsi e ricorsi storici.

Buonasera. Sono Clemente (a dir vero, Clemente soprattutto con me stesso perché mi sono perdonato tutti i miei errori, mentre agli altri non ho mai concesso nulla) prima conte, poi principe, abile tessitore di trame diplomatiche, non sempre obbediente ad un principio di coerenza, sempre fedele a quello di interesse, casualmente mio, fondamentalmente della mia nazione.

Nella mia vita diplomatica e politica ho incontrato dittatori, imperatori, principesse, regine, abili ecclesiastici, insomma tutti coloro che avevano come supremo interesse quello di conservare il privilegio esistente in nome del principio di equilibrio.

È chiaro che quest’equilibrio è sempre stato l’equilibrio da me disegnato per la mia nazione, con scarsa attenzione, evidentemente, a quelle aspirazioni che negli altri ho sempre definito velleità senza fondamento.

Diciamo che le correnti storiche calunniatrici mi hanno sempre dipinto negativamente come freddo esecutore di disegni perversi, trascurando il fatto che mai nella mia vita ho abbandonato quei principi conservatori nei quali sono stato allevato.

Se vengo ricordato come l’architetto della Restaurazione è solo perché, faticosamente, molto faticosamente, a Vienna nel 1815 ho cercato di costruire un sistema di relazioni politiche e diplomatiche che facesse dimenticare la febbre napoleonica e le sue diaboliche suggestioni.

Dopo aver disegnato, tra le altre mappe, anche quella dell’Italia, mi sono preoccupato da subito di avvertire regnanti, spesso sconsiderati o ingenui , dei problemi di gestione del sistema da me costruito, individuando ed esplicitando attentamente tutti quei focolai di trasformazione che avrebbero potuto sconvolgere l’esistente.

Alla luce di tutte le insurrezioni del 1848 devo ammettere di aver ottenuto risultati non propriamente soddisfacenti.

L’unificazione di queste parti si poteva concepire solo come Repubblica italiana perché l’Italia non aveva nessun sovrano in grado di radunare sotto di sé tutti gli stati italiani e, se anche ci fosse stato un tale principe, tutte le altre potenze avrebbero posto dei limiti alla sua ambizione. Un’Italia unita, quindi, poteva nascere soltanto con una spinta dal basso mentre, ed è la situazione contemporanea che lo fa pensare, una frammentazione nuova dell’Italia potrebbe partire scelleratamente solo dall’alto.
Tuttavia, alla luce degli eventi contemporanei in Italia, con l’incalzare di un

cosiddetto “ federalismo” capace di creare confini più saldi di quelli che avevo costruito a Vienna, mi consolo pensando che la mia profezia più importante è quella che ho regalato al mio amico ambasciatore a Parigi, il 6 agosto del 1847, profezia così declinata:” l’Italia è un’espressione geografica. La penisola italiana è composta di Stati sovrani indipendenti

gli uni dagli altri. L’esistenza e i confini territoriali di questi Stati sono fondati su dei principi di diritto pubblico generale rafforzati da intese politiche indiscutibili. L’imperatore da parte sua è deciso a rispettare queste intese e a contribuire per quanto può alla loro inalterabile conservazione”.
Oggi mi dicono che quella che per me era una banalissima considerazione è

addirittura stata innalzata a regola di rango costituzionale sulla base di una geniale intuizione di trasformazione della Repubblica italiana e della sua Costituzione.

Questa intuizione, evidentemente tale da affidare al Parlamento un ruolo residuale, consisteva nella sostituzione di quello che nella prassi costituzionale si chiama programma di governo, da sottoporre per l’approvazione al Parlamento, con un innovativo contratto di governo per il “ cambiamento” da sottoporre alla prova del clic tecnologico.

Ammettendo di essermi sentito, durante quella che gli italiani, con malanimo, etichettano ancora oggi come “ prima Repubblica” per la prima volta definitivamente sconfitto e schiacciato dalla storia, oggi il mio cuore si riapre, finalmente, di nuovo alla speranza e mi congratulo con gli avveniristici costruttori delle moderne intese , augurando, altresì, loro i miei stessi successi di un tempo.

Anche se, purtroppo, la nostalgia mi trafigge, posso accettare con animo calmo e fiducioso che la la figura dell’imperatore sia sostituita da un intraprendente Presidente del Consiglio che, mi dicono, ha scelto, come mio degno erede, un profondo conoscitore ed esegeta di norme e regolamenti, uno scoglio sicuro cui aggrapparsi nella confusione di voci discordanti, un raffinato progettista di strade impervie, per gli altri, ma funzionali agli obiettivi della “ sua “ gente, così come io mi sforzavo di fare per la “mia”!

Ringraziando il geniale G.B.Vico con i suoi “ corsi e ricorsi storici”, che pare abbiano cancellato dai programmi scolastici, vi saluto “ a capo chino, ma con il cuore pieno di speranza “, come faceva il devoto servitore di Lady Chatterley!

 

*Insegnante, viene eletto al Senato della Repubblica nel 1994 nelle file di Rifondazione Comunista e per la XII legislatura fa parte della Commissione Finanze e Tesoro e di quella Agricoltura. Successivamente è per due mandati consigliere regionale in Abruzzo sempre per il PRC.

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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