di Alessandro D’Ascanio*
Il governo Meloni, in 919 giorni contati di mandato, solo a mettere d’un canto per un istante il filtro deformante di una propaganda mortificante per il quoziente medio d’intelligenza di un individuo appartenente alle specie umana, non è stato fattualmente in grado di risolvere, ma nemmeno di avviare a risoluzione, nessuna delle questioni strutturali che attanagliano il paese. A titolo di meri esempi, potremmo citare il lavoro povero, il potere d’acquisto delle famiglie, l’erosione della sanità pubblica, l’inadeguatezza del sistema scolastico e il depauperamento delle aree interne, ma anche questioni più vicine al suo discorso retorico come l’immigrazione o la sicurezza urbana.
Il dato di realtà autoevidente qui rappresentato, tuttavia, cozza in maniera apparentemente paradossale con la robusta tenuta dei consensi espressa dai cittadini nei confronti dei partiti della coalizione di governo, in misura particolare verso Fratelli d’Italia, il partito di una premier sistematicamente ingaggiata in questa sorta di edificazione quotidiana di un universo parallelo finto-paradisiaco, costruito mediante la giustapposizione ardita di mistificazione di dati economici e riletture ideologiche della storia d’Italia, vecchi rigurgiti neo-fascisti anni settanta e contemporanee tecniche di comunicazione del populismo del tempo presente, vittimismo da ex “esule in patria” e riproposizione stantia di istigazione al pubblico ludibrio di tutti i nemici della fantomatica Nazione: l’Europa burocratica, i sindacati di classe, gli intellettuali radical-chic, gli immigrati irregolari etc.
Alla luce di tutto ciò, il tema dirimente per le forze di opposizione, in questa seconda fase della legislatura, appare quello di ragionare in maniera più profonda e conseguente intorno alla natura di questo consenso persistente, di questa tenuta di fondo, di questa fidelizzazione di parte dell’opinione pubblica e ragionare ben oltre gli schemi troppe volte lapalissiani e rassicuranti di una politologia tendente alla messa in evidenza di dati di mera contabilità elettorale: l’astensione degli elettori del centro-sinistra, l’omologia tra gli attuali elettori di Fratelli d’Italia e quelli di altre forze di centro-destra in fasi precedenti, le micro-tattiche coalizionali per competere nei collegi alle prossime politiche.
Stante il fatto che il consenso nei confronti della destra non si consolida dunque per ragioni di benessere sociale aumentato, o per effetto di riforme di apparati dello Stato che abbiano mutato in meglio la vita quotidiana dei cittadini, o neanche per il riverbero specifico di provvedimenti di bandiera che abbiano avuto la capacità di monopolizzare l’attenzione degli elettori potenziali, andrà forse riconosciuto che, nel campo suo proprio, la destra, pur per il tramite del guazzabuglio tematico cui sopra si alludeva, abbia saputo costruire una “cultura politica” in grado di suscitare passioni, entusiasmi, senso di appartenenza e mobilitazione che tendono all’istituzionalizzazione, a consentire la stabilizzazione di un consenso perdurante nel tempo e caratterizzante il sistema politico italiano.
Per comprendere lo stallo della sinistra italiana nella lettura del prevalere della destra, potrebbe forse essere utile utilizzare, cum grano salis, il precedente della prima sottovalutazione nei confronti dell’ideologia fascista. Norberto Bobbio riteneva, ricorrendo peraltro ad una lettura nobile della vicenda italiana, che il fascismo fosse solo violenza, sopraffazione e mortificazione della dialettica democratica. Non che non lo fosse, ma tale approccio non spiegava le ragioni complesse della sua tenuta e di quello che, con espressione ambigua, De Felice definì “consenso” per il regime fascista. In estrema sintesi e semplificazione. Naturalmente.
Ora, senza naturalmente voler alludere a rischi imminenti e attuali di autoritarismo incipiente, quello che manca a sinistra è proprio una lettura capace di comprendere la destra sul piano culturale, nel senso della “cultura politica”. Una lettura in grado di spiegarne origini, natura, forza e proiezione futura che non limiti la spiegazione del suo consenso agli effetti della gestione del potere per intenderci. Una destra certo molto diversa dal resto dell’Europa. Una “destra mancante”, ma presente in una forma peculiare legata alla vicenda storica italiana.
Non che manchino validi aiuti scientifici (gli ultimi volumi di Carlo Galli, Paolo Macry e Davide Conti su tutti), ma occorrerebbe un’analisi politica diffusa e militante in grado di innescare una reazione che vada oltre le velleità programmatiche pur necessarie. Non bastano, in altre parole, la ricerca affannosa di accordi pre-elettorali e neanche solo il vessillo del salario minimo! Purtroppo …
Che fare allora? Servirebbe un “disegno ideologico” anche a sinistra, un’idea di futuro possibile in grado di connettere segmenti sociali, culture, esperienze, ambienti anche qui con il recupero di un’identità storica declinata all’oggi, quanto meno per ricostruire una posizione critica permanente nella società italiana. Lavoratori impoveriti, realtà produttive innovative, tessuto degli amministratori locali, reti associative, “mondi vitali” cattolici, frammenti della società costitutivamente alieni dal tentativo egemone della destra attendono non solo un programma di governo, ma un “mito politico”, un racconto del paese, un soffio vitale, una “sovrastruttura culturale” in grado di offrire senso alla strutturazione sociale e fornire alimento alla lotta politica. Occorrerà tornare a studiare, discutere, organizzare e mobilitarsi. Si sarà all’altezza di questo compito?
*storico, sindaco di Roccamorice