Generazione Millennials

 

Generazione Millennials

“La cosa più importante è lasciare un’impronta forte, dare un impatto deciso, essere appunto protagonisti dal primo momento, essere da subito sulla vetta senza preoccuparsi del percorso per raggiungerla”.

In questo modo, lo scrittore e motivatore americano, Simon Sinek, descrive i ragazzi nati sotto il segno del progresso, i quali si caratterizzano per la voglia di distinguersi e per un forte individualismo, manifestando la volontà di esprimersi e la necessità di essere accettati.

Nell’agosto 1993, la rivista pubblicitaria americana “Ad Age” descriveva la vita dei teenagers americani definendoli come la “Generazione Y” ovvero i nati tra gli anni ottanta e duemila opposti alla più conosciuta Generazione X, successiva alla Seconda Guerra Mondiale.

Questi due gruppi sono spesso identificati come target distinti, bersagliati dalla pubblicità e oggetto di studio di numerose agenzie di marketing; ciò che li distingue è il modo in crescono, si informano e comunicano.

Ci sono quattro elementi attraverso i quali i millennials vengono raccontati: il rapporto con i genitori, la tecnologia, l’impazienza e l’ambiente.

L’infanzia della “Generazione Y” è stata segnata da un approccio educativo tecnologico e neo-liberale, derivato dalle profonde trasformazioni degli anni sessanta e giudicato più volte fallimentare: i genitori hanno insegnato loro che si può avere tutto solo perché lo si desidera, hanno detto ai loro figli che sono speciali, hanno permesso loro di frequentare le scuole e le università migliori.

I millennials sono cresciuti convinti di avere una missione, di poter avere e poter fare di più.

Tuttavia, una volta entrati nella vita reale, questi non ricevono più gratifiche, iniziano a lavorare e si rendono conto che ciò che vogliono non è poi così facile da raggiungere: sembra che ogni azione non sia mai abbastanza, non si sentono pienamente soddisfatti.

In questo modo, la generazione che vuole di più cresce, inconsapevolmente, con un livello di autostima significativamente basso rispetto alla media e sensibile al mondo dei social networks: dimensioni virtuali fatte di filtri che possono modificare la realtà, dove la vita di qualcuno può sembrare sensazionale anche se in verità risulta essere l’esatto opposto.

Ciò che alcuni ragazzi di questa generazione manifestano sembra essere a tutti gli effetti una dipendenza, la quale porta i soggetti interessati a controllare i propri profili social più volte al giorno, a costruirsi un profilo virtuale, ad assegnarsi un valore in base ai “followers” ovvero coloro che seguono la vita del soggetto interessato online e che esercitano un forte peso su di esso, sgretolando il confine tra ciò che è reale e ciò che è virtuale.

La scienza dimostra che le persone che utilizzano i social network più volte al giorno sono più soggette alla depressione di persone che non fanno uso di portali web. Inoltre, molti non riescono a stringere relazioni profonde, ammettono di avere rapporti superficiali, utili solo al divertimento. Questo accade perché le abilità funzionali alla creazione di una relazione profonda vengono sostituite dai mezzi di comunicazione, dai “devices” che costruiscono un muro con la realtà.

Il risultato è una generazione con bassa autostima e incapace di affrontare le situazioni di difficoltà. È qui che entra in gioco l’impazienza in un mondo di gratificazioni istantanee: comprare qualcosa, ascoltare musica, guardare un film, conoscere qualcuno, sono azioni che posso essere svolte rapidamente online. Non occorre per forza uscire e relazionarsi: tutto è in rete, non c’è nessun meccanismo comunicativo da comprendere, nessun errore da fare e dal quale imparare.

Sembra che i millennials siano il frutto di una società che si nutre del progresso e che sembra non potersi fermare. Sembra che non abbiano mai conosciuto l’attesa e la pazienza, che non gli sia stato detto che le cose più importanti richiedono tempo.

Ma è davvero così? È reale l’immagine di una generazione che cresce senza lavoro, senza relazioni profonde, senza una società che li comprenda pienamente?

Il problema non sembra essere internet, la tecnologia o il progresso ma il mancato equilibrio: in alcuni di loro, questi elementi hanno portato alla distruzione di relazioni, allo spreco di tempo e di denaro, rendendo la vita peggiore; in altri gli stessi fattori hanno permesso di aumentare capacità e conoscenze. Ciò avviene poiché il progresso è in grado di livellare la società ma anche di generare diversità.

Di conseguenza, la creazione di un macro gruppo per poter descrivere una generazione sembra non essere sufficiente poiché rischia di sminuire e non comprendere a fondo ogni sua parte.

(di Giorgia Sulli)

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

Controllate anche

Cittadini, elezioni, Nuova Pescara

di Alessandro D’Ascanio* Archiviate le elezioni regionali del 10 marzo, forse anche in virtù dell’esito …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *