Gli errori da evitare a vent’anni dalla strage di Nassiriya

di Donato Angelini*

La “Giornata del ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace”, istituita con la legge 162 del 2009, è nata anche per ricordare le 28 persone che persero la vita nell’ attentato di Nassiriya del 12 novembre 2003. Diciannove di quelle vittime erano italiane: morirono 12 Carabinieri, 5 militari dell’Esercito e 2 civili. Diciassette uomini che indossavano una divisa, partiti con la missione “Antica Babilonia” con finalità di peacekeeping. La storia, tragica, la conosciamo tutti. Ma proprio per evitare che questa storia si ripeta serve una riflessione. Un reale approfondimento sul ruolo e sulla partecipazione dell’Italia alle missioni di pace “per affermare lo strumento del dialogo e la convivenza fra i popoli e le Nazioni”, come ha ricordato il Ministero dell’Istruzione e del merito in una nota. Una valutazione che, negli scenari attuali di guerra, è diventata ancora più urgente e necessaria. Oltre al ricordo delle vittime, dobbiamo porci delle domande, a cominciare da quella più importante: come possiamo prevenire che simili tragedie si ripetano? La memoria di Nassiriya ci chiama all’azione, spingendoci a impegnarci per un futuro in cui la comprensione reciproca e la diplomazia prevalgano sulla violenza. Dobbiamo apprendere dagli errori del passato e lavorare instancabilmente per costruire ponti di dialogo e cooperazione tra le nazioni. Lo dobbiamo alle vittime innocenti di quella strage tremenda ma ancor di più lo dobbiamo agli oltre 7.000 militari delle Forze Armate, presenti in 35 missioni internazionali nell’ambito di coalizioni multinazionali, sotto l’egida di ONU, NATO e Unione Europea o accordi bilaterali.
I nostri uomini in divisa al di fuori dei confini sono in tutto il mondo: dalla regione Artica e dal Baltico verso sud attraverso il Fianco Est dell’Alleanza, dal Golfo Persico verso Ovest attraverso il Corno d’Africa e il Medio Oriente, il Mediterraneo, il Nord Africa, il Sahel fino al Golfo di Guinea e in Antartide.
Per questo, mentre commemoriamo gli eventi di Nassiriya, onoriamo la memoria di coloro che hanno perso la vita e rinnoviamo il nostro impegno a costruire un mondo in cui la pace sia più forte dell’odio, e la solidarietà trionfi sulla divisione. Gli attentati di Nassiriya del 2003 vanno ben oltre la mera cronaca di un tragico evento di guerra; rappresentano un punto di svolta nella percezione globale dei conflitti e delle loro conseguenze. La violenza indiscriminata, che non risparmia né militari né civili, ci obbliga a confrontarci con la brutalità della guerra e le sue conseguenze devastanti sulla vita delle persone comuni. Per questo anche dall’Abruzzo, che a Nassiriya ha pagato al terrorismo un tributo di sangue nel 2006 col maresciallo dei carabinieri Franco Lattanzio, originario di Pacentro, deve fermarsi a pensare quali errori non vanno ripetuti. Quello più grave sarebbe quello dell’amnesia istituzionale. Non basta una corona di fiori, non è sufficiente un minuto di silenzio: non possiamo dimenticare che ogni passo che facciamo oggi, ogni opportunità di vivere una vita libera e sicura, è un tributo silenzioso al coraggio di quei militari e alla loro dedizione al lavoro con indosso una divisa. L’errore da non ripetere è quello di pensare che tutto questo sia lontano nel tempo e nei luoghi, che non possa più ripetersi. Non possiamo permettercelo, soprattutto oggi. Soprattutto in una fase internazionale così calda. Soprattutto per tutti i caduti, eroi, che hanno sacrificato la propria vita con onore nei teatri operativi nei quali l’Italia è impegnata.

*Fondatore S.I.M. Guardia Costiera

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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