La vicenda è ormai nota ai più: il Consiglio Regionale si è spaccato sulla proposta di un contributo della regione Abruzzo di un milione di euro al “Campus ricerca e formazione Niko Romito”.
Al netto delle beghe politiche e partitiche, la vicenda è esemplificativa di un metodo e più che interrogarsi sulla ragionevolezza o meno del contributo economico, ci si dovrebbe chiedere se sia ancora il tempo di elaborare una strategia, una programmazione per l’Abruzzo: concepire il suo ruolo nel contesto delle regioni italiane e nel contesto europeo. O se invece essere destinati a continui cambi, all’occasionalità di interventi importanti ma senza un filo conduttore, magari frutto di un incentivo o di una generosa mano pubblica.
Perché l’occasione possono crearla una efficace ricerca universitaria, un nodo ferroviario ben connesso, il talento di un imprenditore, e tante altre cose, ma se non si inquadra il tutto in una strategia più complessiva rischia di mancare quella che, usando una celebre citazione calcistica potrebbe essere definita come “amalgama”. Con il limite di non avere neanche come Presidente l’indimenticato Massimino, che da proprietario del Catania rispondeva così al giornalista che suggeriva che, alla sua squadra, l’amalgama mancasse: “Ditemi dove gioca che la compro”.
Non si può comprare, ma si può creare, e si può elaborare una strategia che metta insieme progetti, idee e realtà presenti in Abruzzo, occorrerebbe però fermare per un attimo le macchine e mettersi a pensare, a studiare.
Ecco probabilmente dove sta il ragionamento di fondo sull’emendamento “tre stelle Michelin” che è piovuto su un Consiglio Regionale più confuso del solito tra consiglieri connessi da casa, altri presenti fisicamente a l’Aquila, altri magari dispersi nei meandri del web, che non stupirebbe scoprire essere finiti a rispondere all’appello fatto dal professore del figlio invece che a quello del Presidente Sospiri, a causa di uno scambio di account.
Davvero un contributo di un milione di euro a un’operazione complessa, frutto di ricerca e attenta programmazione imprenditoriale può essere deciso con pochi secondi di dibattito, alle 22, all’interno di una legge che finanzia il pagamento di un debito fuori bilancio?
Davvero un progetto che mette al centro la ricerca e la trasformazione alimentare può essere trattato alla stregua di un contributo di poche migliaia di euro alla pro loco di un comune per l’annuale sagra – antitetica da un punto di vista nutrizionale rispetto al progetto di Romito, per quanto gustosa – o per la banda del paese. Provvedimenti spesso anche lodevoli, ma sicuramente meno corposi, utili più a essere rivendicati sul territorio di elezione da parte dei consiglieri proponenti che a diventare strategia d’azione regionale.
La risposta, per quanto opinabile è: probabilmente no. E sembra se ne sia accorto lo stesso Romito, che in una lettera ha richiamato l’attenzione sulla qualità del suo progetto imprenditoriale, chiedendo che possa essere sostenuto in maniera unitaria dalla regione. Per rimanere in tema calcistico, la lettera dello Chef ha ricordato, con le dovute differenze, quel “tenetevi il miliardo” – c’era ancora la Lira, ma potremmo dire che le cifre si equivalgono – pronunciato da Cristiano Lucarelli, grande centravanti del Livorno per rifiutare il contratto offerto dal Torino per rimanere a giocare nella squadra della sua città.
D’altronde, gli strumenti per sostenere l’iniziativa di Romito ci sarebbero, come dovrebbe sempre essere per progetti di qualità e che portino valore aggiunto al territorio.
Anche per fare in modo che sia possibile svilupparci intorno – e accanto – una strategia regionale, che dia all’Abruzzo una nuova dimensione non univoca ma nemmeno eccessivamente disgregata.
Insomma, uscire dalla logica per cui un politico ha un’idea, oppure si appassiona a un progetto e per portarlo avanti segue delle procedure volte più a dimostrare il proprio potere che ad ottenere una buona riuscita. Un modo di agire che si potrebbe definire provinciale, se non fosse scorretto voler piegare in senso negativo un termine che in realtà contiene l’essenza della nazione, quella provincia italiana luogo di nascita di grandi figure della cultura e della storia del Paese.
Volendo trovare una conclusione a quanto scritto fino a questo punto, si potrebbe quindi ipotizzare che non si tratta di un caso in cui vale il detto “nemo propheta in patria”, ma di un’errata gestione amministrativa e politica della vicenda – evidenziata dal non aver tenuto neanche conto del contesto in cui avviene e quanto quel milione di soldi pubblici oggi pesi molto più quanto sarebbe pesato un anno fa.
di Emilio Longhi