di Francesco Piccinino Camboni
Ogni anno, con l’arrivo di dicembre, il tempo sembra cambiare ritmo. Le città si riempiono di luci, le vetrine si trasformano e il Natale smette di essere una data sul calendario per diventare un’atmosfera costante. Nella percezione collettiva, è il momento della gioia, della famiglia, della condivisione. Un ideale che viene reso quasi obbligatorio. Eppure, sotto questa narrazione compatta, il Natale assume significati molto diversi a seconda di chi lo vive.
Non tutti arrivano alle feste nello stesso modo. Per qualcuno è il primo Natale senza una persona amata, per altri è un periodo di distanza forzata dalla propria famiglia. C’è chi attraversa difficoltà economiche, chi vive un momento di fragilità, chi semplicemente non si riconosce nell’immagine patinata della felicità natalizia. Il Natale, che dovrebbe essere una pausa, finisce così per diventare uno specchio impietoso, capace di riflettere ciò che manca più di ciò che c’è. In una società che associa questa festività a un’idea precisa di benessere, non aderire a quel modello può generare un senso di inadeguatezza silenziosa.
Il Natale come prodotto economico
Negli ultimi decenni, il Natale ha progressivamente assunto una forma sempre più definita dal consumo. Non si tratta solo di regali, ma di un’intera grammatica simbolica che passa attraverso l’acquisto. Addobbi, luci, decorazioni, tavole imbandite, abiti scelti appositamente, esperienze da regalare. Tutto contribuisce a costruire un’immagine condivisa di ciò che il Natale dovrebbe essere. In questo contesto, il consumo non è più un mezzo, ma diventa il linguaggio stesso della festa.
Secondo l’indagine di Confcommercio (Format Research) sul Natale 2025, l’81,5% degli italiani dichiara di acquistare regali natalizi, con una spesa media pari a 211 euro a persona, mentre il Il 13,2% spenderà più di 300 euro¹. Eppure, dietro la spesa media complessiva, possono nascondersi differenze significative tra le famiglie: alcune riescono a sostenere pienamente il rituale del consumo natalizio, mentre altre partecipano in modo più contenuto o riducono il numero e il valore dei regali. La media aritmetica, in questo senso, tende a mascherare questa possibile polarizzazione dei comportamenti di spesa.
I regali più diffusi riguardano i prodotti enogastronomici, la cura della persona e l’abbigliamento, settori che concentrano una parte significativa delle vendite natalizie ¹ ² . La prevalenza di beni alimentari o legati alla cura della persona suggerisce, infatti, una concentrazione verso acquisti percepiti come “necessari” o comunque giustificabili, più che verso beni superflui. Il consumo natalizio appare quindi non solo come espressione di abbondanza, ma come una strategia di adattamento a un contesto economico percepito come fragile. Regalare a Natale diventa un dovere implicito, una forma di presenza simbolica che affianca altri modi di esprimere vicinanza.
Il sistema economico intercetta e rafforza questa dinamica. Il Natale si configura come una vera e propria stagione commerciale, preceduta da settimane di promozioni e campagne mirate che anticipano il periodo delle feste e ne amplificano l’importanza. Il messaggio che accompagna questo processo è costante: la felicità passa anche da ciò che si compra, e il tempo delle feste è il momento giusto per concedersela.
La spesa diventa norma sociale
Il mese di dicembre rappresenta uno dei momenti di massima concentrazione dei consumi delle famiglie italiane. Secondo Confcommercio, nel 2025 le tredicesime destinate ai consumi arriveranno a 49,9 miliardi di euro, segnando un incremento di 2,4 miliardi rispetto al 2024². Oltre 10 miliardi di euro sono attribuibili alle spese natalizie tra regali , decorazioni e beni legati alle festività²
In questo contesto, spendere non è soltanto un atto economico, ma una forma di adesione simbolica. La spesa diventa una norma sociale, un modo per sentirsi parte di un rituale collettivo che viene presentato come naturale e condiviso. La disponibilità temporanea di reddito aggiuntivo contribuisce a rafforzare l’idea che dicembre sia il momento in cui “si deve” spendere, trasformando il consumo in uno strumento di compensazione tra aspettative e realtà.
Una parte rilevante dei consumi natalizi non deriva da un reale surplus economico, ma da una concentrazione temporanea delle risorse. Per molte famiglie la tredicesima non rappresenta un extra, bensì uno strumento necessario per sostenere altre spese attese.
Questo meccanismo contribuisce a normalizzare l’idea che dicembre sia il momento legittimo per eccedere. Il consumo natalizio assume così una funzione psicologica oltre che simbolica: consente di sospendere temporaneamente la percezione della precarietà economica, che tende però a riemergere con maggiore forza una volta terminato il periodo festivo.
Chi resta fuori dal Natale ideale
I dati economici aiutano a comprendere quanto questa narrazione sia distante dall’esperienza di una parte della popolazione. Secondo l’ISTAT, nel 2024 oltre 2,2 milioni di famiglie, pari all’8,4% del totale, vivono in condizioni di povertà assoluta; inoltre, circa 2,8 milioni di famiglie, pari al 10,9%, si trovano in povertà relativa*⁴.
Numeri che, tradotti in termini concreti, mostrano come milioni di persone si trovino strutturalmente escluse dalla possibilità di sostenere le spese associate al Natale così come viene comunemente rappresentato. Quando una festività viene raccontata come necessariamente abbondante, serena e condivisa, chi non riesce ad aderire a quel modello rischia di interiorizzare la propria condizione come una mancanza personale, piuttosto che come l’effetto di disuguaglianze strutturali.
Felicità temporanea e bisogni indotti
Il consumo (natalizio e non) promette una felicità immediata, intensa ma breve. Regali, decorazioni e rituali costruiti attorno all’acquisto offrono una gratificazione che tende a esaurirsi rapidamente, lasciando spazio a una sensazione di sproporzione tra ciò che ci si aspettava e ciò che si vive realmente. I bisogni non emergono in modo spontaneo, ma vengono progressivamente suggeriti, alimentando l’idea che senza determinati oggetti o gesti l’esperienza del Natale sia incompleta.
La diffusione dei social network contribuisce ad amplificare questo meccanismo. Le immagini di ambienti perfetti, pacchi regalo e famiglie sorridenti consolidano un modello unico di festività. Il confronto diventa costante, trasformando una festa tradizionalmente associata alla condivisione in un momento di misurazione implicita di sé. Così, ciò che dovrebbe essere una festa di condivisione rischia di diventare un banco di prova dei nostri limiti e delle nostre scelte, mostrando quanto la pressione del consumo possa oscurare il senso autentico del Natale.
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