Cgia, c’è meno evasione fiscale di quella stimata

Secondo le prime indiscrezioni rilasciate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, avrebbero sottoscritto il Cpb poco più di 500mila partite Iva che dovrebbero assicurare all’erario 1,3 miliardi di euro. A fronte di 4,5 milioni di lavoratori autonomi e di imprese potenzialmente interessate da questo strumento (di cui 1,8 milioni di forfettari e 2,7 milioni di operatori sottoposti agli Isa) entro il 31 ottobre scorso avrebbe aderito solo l’11 per cento del totale. In merito alle entrate, invece, il concordato dovrebbe aver fruttato alle casse dello Stato 1,3 miliardi di euro, rispetto ai 2 miliardi preventivati inizialmente. Pertanto, ogni soggetto che ha sottoscritto questo “patto” con il fisco ha pagato mediamente 2.600 euro. Lo fa sapere la Cgia in una nota.

“In materia di evasione fiscale, molti autorevoli opinionisti citano spesso i dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze che stimano in 82,4 miliardi di euro il tax gap delle entrate tributarie e contributive presenti in Italia. Entrando nel dettaglio di questa analisi, la tipologia di imposta più evasa sarebbe l’Irpef in capo ai lavoratori autonomi, per un importo pari a 29,5 miliardi di euro che corrisponde ad una propensione al gap nell’imposta che da anni sfiora stabilmente il 70%. Questo vuol dire, secondo gli estensori di questa elaborazione, che poco meno del 70% dell’Irpef non sarebbe versata all’erario dai lavoratori autonomi” si legge ancora nella nota.

“Per chi con la propria attività può fare molto “nero”, questo provvedimento ha consentito, con un pagamento relativamente modesto, di “congelare” per due anni l’attività di accertamento dell’Agenzia delle Entrate nei propri confronti. Considerato che gli imprenditori e i lavoratori autonomi non sono degli stupidi, vuoi vedere che, nonostante il Cpb fosse particolarmente “vantaggioso”, l’adesione è stata nettamente inferiore alle attese, poiché la propensione all’evasione fiscale di queste categorie sarebbe, secondo la CGIA, molto al di sotto delle stime, anche di quelle elaborate dal MEF? Sia chiaro: non si venga a dire che questa ipotesi non sarebbe verosimile, perché la possibilità che una micro/piccola impresa venga controllata dal fisco e in generale dalle istituzioni pubbliche è pressoché pari a zero”.

“Nel 2023 tra le lettere di compliance (2.681.147), gli accertamenti, le verifiche e i controlli eseguiti dall’Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza in materia fiscale sono state interessate poco più di 3.510.000 partite Iva/imprese. Sempre nello stesso anno, in materia contrattualistica/sicurezza sul lavoro/assicurativa l’attività eseguita dall’Ispettorato del lavoro, dall’Inps e dall’Inail ha toccato i 260.440 controlli. Pertanto, nell’ipotesi che le aziende non siano state destinatarie di più controlli, possiamo affermare che circa 3,7 milioni di attività, pari al 65 per cento circa del totale, l’anno scorso sono state interessate da queste misure. Va segnalato che anche i controlli in materia di lavoro tendono sempre più a verificare anche la regolarità fiscale dell’azienda sottoposta all’attività ispettiva. Per ottenere la cosiddetta “patente a crediti” 9 , ad esempio, molte aziende e lavoratori autonomi10 che operano nei cantieri mobili o temporanei hanno dovuto dimostrare, nei casi previsti dalla normativa vigente, di possedere il Documento unico di regolarità fiscale (Durf). Questo attestato, rilasciato dall’Agenzia delle Entrate, certifica il possesso di determinati requisiti e la corretta osservanza di alcuni adempimenti previsti dalla legislazione fiscale” sottolinea la Cgia.

 

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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