Dalle mele all’internet del futuro: il computer quantistico

 Dalle mele all’internet del futuro: il computer quantistico

Due delle più grandi rivoluzioni scientifiche del XX secolo sono state la meccanica quantistica e la teoria dell’informazione. La meccanica quantistica descrive la natura a livello di dimensioni atomiche ed è alla base della teoria della microelettronica, dei semiconduttori e delle tecnologie fotoniche. La teoria dell’informazione invece si occupa di informazioni e stabilisce un quadro di come queste debbano essere processate e comunicate in modo efficiente. L’unione di queste due discipline porta a quella che oggi viene chiamata Quantum Information Science (QIS).

L’articolo non è volutamente impostato sul formalismo matematico, ma si pone l’obiettivo di dare a tutti una panoramica dello stato dell’arte di questa tematica.

 

Perche’ le mele?

La mela e il concetto d’informazione sono da sempre intimamente correlate. Nella storia recente, Alan Turing, uno dei padri dell’informatica, ideatore della “Macchina di Turing” e precursore di tutti gli studi sull’intelligenza artificiale, si suicidò nel 1954 mordendo una mela avvelenata, in tono col proprio carattere eccentrico e prendendo spunto dalla fiaba di Biancaneve da lui apprezzata fin da bambino. Come tributo ad Alan Turing, la mela morsa divenne il simbolo di Apple, una delle più note case produttrici al mondo di sistemi operativi, personal computer, software e multimedia, con sede a Cupertino, nel cuore della Silicon Valley. Il nome Apple, tuttavia pose un problema legale alla società di Cupertino, che nel 1989 fu querelata per violazione dei diritti sul copyright dalla casa discografica del celeberrimo gruppo musicale dei Beatles, la “Apple Records”, anch’essa emblema di un’informazione musicale che cambiò il corso della musica.

Partendo dall’inizio, vi è innanzitutto l’associazione alla mela biblica, simbolo della conoscenza in quanto, pare contenesse, l’informazione del bene e del male. Successivamente Isaac Newton si ritrovò ad aver a che fare con una mela in caduta da un albero: un evento già osservato infinite volte, ma per Newton fu la rivelazione sull’informazione relativa alle leggi che governano la gravitazione universale.

La meccanica di Newton, infatti, può prevedere con precisione straordinaria il movimento non solo dei pianeti, ma, in maniera perfettamente analoga, di un qualsiasi altro oggetto o sistema meccanico macroscopico, purché si conoscano esattamente le forze che agiscono sul sistema in questione, è possibile, infatti, sapere, con precisione arbitraria, in ogni istante posizione e velocità della mela che cade dall’albero.

Verso la fine del XIX secolo sembrava che l’edificio concettuale della fisica fosse ormai completato. Solo alcuni fenomeni, apparentemente marginali, erano al di fuori del quadro interpretativo della fisica classica, ma il convincimento di quasi tutti gli scienziati dell’epoca era che prima o poi anche questi trovassero un’interpretazione all’interno della fisica classica. Ma non fu così: nel mondo microscopico, a livello di atomi e particelle elementari, i comportamenti fisici erano assai bizzarri ed assolutamente inconcepibili per i nostri ragionamenti razionali dettati da un’evoluzione umana basata sul riscontro dei nostri sensi verso oggetti di dimensioni visibili.

Per meglio capire questi aspetti è sufficiente “entrare nella mela” e fare un viaggio ideale al suo interno, giù verso l’infinitamente piccolo, ossia passando per la sua struttura di catene molecolari, entrando negli atomi costituenti, sino ad incontrare la nube di elettroni che circonda il nucleo di ogni singolo atomo.

Sarà possibile stabilire la posizione e la velocità in ogni istante di un elettrone contenuto nella mela, come accadeva per la mela stessa? La risposta è negativa ed il motivo è semplice: se si illumina con luce solare o artificiale una mela per vedere dove essa si trovi, non c’è problema, perché questa non si muove, ma se, a scala sub-atomica, si cerca di illuminare un suo elettrone, anche con un solo fotone, l’impatto di quest’ultimo lo fa allontanar via; in altre parole: se si cerca di determinare l’informazione sulla posizione dell’elettrone, si perde l’informazione sulla sua velocità e viceversa.

Quanto appena esemplificato prende il nome di principio di indeterminazione di Heisemberg che recita appunto: “non è possibile conoscere simultaneamente la velocità e la posizione di una particella con certezza”. È fondamentale comprendere che questa condizione di indeterminismo non è dovuta a una conoscenza incompleta da parte dello sperimentatore dello stato in cui si trova il sistema fisico osservato, ma è da considerarsi una caratteristica intrinseca del sistema. Il principio di indeterminazione, seppur ammesso “obtorto collo” per via della naturale propensione dell’uomo ad avere certezze, è in qualche modo ancora accettato, ma, a livello sub-atomico accadono altri due fenomeni sconcertanti: il dualismo onda-particella e l’entanglement (1). Il primo stabilisce che, mentre nella fisica classica un corpo e un’onda sono due entità ben distinte, nel mondo sub-atomico, regolato dalla meccanica quantistica, le particelle elementari, come l’elettrone o il fotone, mostrano una duplice natura, sia corpuscolare che ondulatoria.

L’entanglement è invece un fenomeno ancor più inquietante della meccanica quantistica, anche perché è stato ampiamente dimostrato per via sperimentale, e consiste nel fatto che è possibile realizzare un sistema costituito da due particelle il cui stato quantico sia tale che, qualunque sia il valore di una certa proprietà osservabile assunto da una delle due particelle, il corrispondente valore assunto istantaneamente dall’altra particella sarà opposto al primo, anche qualora le particelle fossero separate da anni-luce di distanza. Ma la mela è anche informazione: quanti bit di informazione ci sono in una mela? La risposta è relativamente semplice: la meccanica quantistica limita il numero degli stati in cui le particelle della mela si possono trovare, perciò il numero di bit racchiusi in questo frutto è dato dal prodotto del suo numero di atomi moltiplicato per pochi stati possibili per ciascun atomo. Ne consegue un numero piuttosto grande, rappresentante qualche milione di miliardi di miliardi di “bit zero” e “bit uno”: questa è la mela!

Quando un sistema fisico, come appunto una mela, è dotato di energia finita ed è confinato in una regione finita di spazio, per le leggi della meccanica quantistica esso può esistere solo in un numero finito di stati e quindi può registrare una quantità finita d’informazione, ossia di bit. Per dirla con le celebri parole del fisico Rolf Landauer: “L’informazione è fisica”.

A questo punto sorge spontanea, almeno ai fisici e ai matematici, una seconda domanda: se la quantità di informazione che ogni bit della mela registra è sempre la stessa, è così anche per l’importanza dell’informazione registrata? Indubbiamente no! Un bit che ci dice che cosa ci sia in un certo posto nel DNA della mela è molto più importante di quello che ci informa sullo stato di agitazione termica di uno dei suoi atomi di carbonio.

Ma c’è un modo rigoroso, matematico, di quantificare l’importanza dell’informazione contenuta in un bit? La risposta è affermativa perché l’importanza di un bit può essere pesata in funzione di come il suo contenuto vada a cambiare il valore di altri bit attorno a sé. Ovviamente per condurre questo tipo di analisi, indipendentemente dal fatto che l’oggetto in questione sia una mela, oppure una rete di telecomunicazioni a crittografia quantistica (2), gli attuali metodi di computazione classici basati su “bit” divengono assolutamente inefficienti in termini di tempo e risorse. Occorre allora ricorrere alla computazione quantistica, basata sugli stessi strani effetti accennati a scala sub atomica nella mela, quali dualismo onda-particella, entanglement e registrazione dell’informazione espressa in qubit (quantum bit), i cui aspetti concettuali ed implementativi saranno oggetto della presente trattazione.

 

  1. Il termine viene a volte tradotto in italiano con “non separabilità” o “intreccio”

  2. La crittografia è il metodo per rendere un messaggio “incomprensibile” in modo da non poter essere decifrato da terzi non autorizzati a leggerlo. La c.q. utilizza le propietà della meccanica quantistica, quali il dualismo onda – particella e l’entanglement.

 

Cos’è un computer quantistico?

Spiegare cosa sia un computer quantistico senza ricorrere all’uso intensivo del formalismo matematico ad esso sotteso è una sfida intellettuale impegnativa. La ragione è che il computer quantistico funziona su fenomeni di pertinenza della meccanica quantistica che, come descritto in precedenza, è quanto di meno intuitivo per noi umani. Sostanzialmente, la meccanica quantistica si distingue in maniera radicale dalla meccanica classica, in quanto non esprime mai certezze, ma si limita a esprimere la probabilità di ottenere un dato risultato da una certa misurazione. Nel nostro mondo macroscopico la fisica classica fornisce certezze sulle misurazioni e sulle osservazioni che effettuiamo, ma quando scendiamo nel microcosmo (atomi, elettroni, fotoni ed altre particelle elementari), la fisica classica va in crisi e lascia spazio a quella quantistica, basata appunto sulla probabilità e mai sulla certezza.

La teoria quantistica, dunque, non ci dice mai se il valore è “1” oppure ”0”, ma descrive i sistemi come una sovrapposizione di stati diversi e prevede che il risultato di una misurazione non sia completamente arbitrario, ma sia incluso in un insieme di possibili valori: ciascuno di detti valori è abbinato a uno di tali stati ed è associato a una certa probabilità di presentarsi come risultato della misurazione. Un esempio semplice, ma di potente intuitività, è il seguente: se si guarda attraverso il vetro di una finestra, su di esso non si vede solo il paesaggio esterno, ma anche la propria immagine riflessa. La ragione di questo curioso aspetto è dovuta al fatto che la luce è costituita da fotoni, ossia particelle elementari soggette alle leggi della meccanica quantistica. Per quanto detto, ne consegue che i fotoni che colpiscono, dall’esterno o dall’interno, il vetro della finestra hanno una probabilità di attraversarlo, ma hanno anche una probabilità di venire riflessi. Queste probabilità determinano quindi una curiosa “sovrapposizione” di realtà, cosicché sul vetro, il paesaggio e il volto dell’osservatore coesistono allo stesso tempo nello stesso luogo. Possiamo quindi affermare che la sovrapposizione contiene tutti i possibili casi, ma non equivale ad alcuno di essi (fig.1).

Continuando con l’esempio, ad un certo punto l’osservatore deciderà di concentrarsi sul panorama esterno e farà questo mettendo a fuoco i propri occhi su una distanza maggiore, ossia egli deciderà una “misurazione” di ciò che più gli interessa, facendo “collassare” la precedente sovrapposizione d’immagini su di una precisa “soluzione” che è il panorama. Migrando questi concetti fondamentali al mondo dei computer possiamo ripetere un ragionamento analogo. Il computer “classico”, ad esempio quello impiegato per scrivere il presente articolo, appartiene ad una logica classica, dove le unità fondamentali dell’informazione, chiamati “bit” sono governati da certezze: si sa in ogni momento se un certo bit vale “0”, oppure “1” e in quale locazione di memoria esso è memorizzato. Nel computer “quantistico” tutto ciò non è possibile e, al posto dei “bit”, avremo dei “qubit”, contrazione di quantum bit, il termine coniato da Benjamin Schumacher per indicare il bit quantistico, ovvero l’unità di informazione quantistica. In particolare una particella quantistica, eletrone, fotone, etc. ha una specie di dono dell’ubiquità, fatto questo paradossale per la meccanica classica. Su questo principio si basa il qubit l’informazione può essere sia 1 sia 0 allo stesso tempo.

Questi qubit sono rappresentati dagli stati di particelle elementari, come elettroni, fotoni, etc.

Si prenda ad esempio l’elettrone: a seconda se il proprio senso di rotazione su se stesso (detto spin) sia orario o antiorario, si dice che esso ha “spin giù” oppure “spin su”. Nel mondo classico, quindi nel dominio delle nostre dimensioni, una trottola che gira su se stessa o è “spin su”, oppure “spin giù”, mentre nel mondo quantistico lo spin può essere in uno stato di sovrapposizione, ossia in una qualsivoglia combinazione delle due direzioni, per esempio il 40% “spin su” e il 60% “spin giù”. L’intero sistema è, quindi, un aggregato incredibilmente complesso di sovrapposizioni di tutte le possibili combinazioni di spin di ciascuna particella.

Procedendo per l’analogia con l’esempio della sovrapposizione delle immagini sul vetro della finestra, a differenza di un bit classico che può solo contenere l’informazione “0” oppure “1”, il qubit può teoricamente contenere sovrapposti tutti i possibili stati compresi tra 0 e 1, ossia infiniti stati. Si sarebbe così tentati di concludere che un solo qubit, almeno in linea di principio, possa tranquillamente contenere una quantità d’informazione pari a tutto lo scibile umano. In termini pratici, però, non è così, perché interviene un altro poco intuitivo principio della meccanica quantistica: quando si effettua un’osservazione (misura) su un sistema quantistico che è in sovrapposizione di stati questo “collassa” su un solo preciso valore. Va tenuto presente, infatti, che l’esito della misurazione dello stato di un qubit può essere soltanto 0 oppure 1. Quindi, dalla misurazione di un qubit, è possibile ottenere la stessa quantità di informazione rappresentabile con un bit classico.

 

La potenza elaborativa di un computer quantistico

Ma se dalla misurazione di un qubit è possibile ottenere la stessa quantità di informazione rappresentabile con un bit classico, perché si afferma che un computer quantistico è enormemente più veloce e potente di un computer classico? La risposta si percepisce iniziando a confrontare la differenza tra i registri (3) di bit classici e quelli di qubit quantistici.

Si inizi col considerare un registro classico composto da 3 bit. Un registro a 3 bit classico può contenere esattamente “uno” degli 8 diversi numeri possibili: in altre parole esso può trovarsi in una delle otto possibili configurazioni 000, 001, 010, 011, 100, 101, 110, 111. Un registro quantistico composto da 3 qubit è in grado di contenere “tutti” gli 8 diversi numeri possibili contemporaneamente in una “sovrapposizione quantistica”. Il fatto che 8 numeri differenti possano essere fisicamente presenti in contemporanea nello stesso registro è una diretta conseguenza delle proprietà dei qubit e ha delle grandi implicazioni dal punto di vista della Teoria dell’Informazione. Se fossero aggiunti più qubit al registro, la sua capacità di memorizzare informazioni crescerebbe in maniera esponenziale: 4 qubit possono immagazzinare fino a 16 numeri allo stesso tempo, e in generale N qubit sono in grado di conservare 2N numeri contemporaneamente. Un registro di 265 qubit, composto essenzialmente di soli 265 atomi, sarebbe capace di memorizzare “tutti” i possibili 2265 valori! Per tentare di capire quant’è grande 2265 valori, ossia un numero seguito da settantanove zeri, è sufficiente sapere che il numero stimato degli atomi dell’intero universo è notevolmente inferiore al suddetto numero!

Quando si rende necessario eseguire un calcolo quantistico molto complesso, composto da molti passaggi e quindi più operazioni sui registri, il vero vantaggio del computer quantistico inizia a manifestarsi: quando un registro contiene una sovrapposizione di molti numeri differenti, infatti, un calcolatore quantistico è in grado di effettuare operazioni matematiche su tutti loro contemporaneamente, allo stesso costo in termini computazionali dell’operazione eseguita su uno solo dei numeri. E il risultato sarà a sua volta una sovrapposizione coerente di più numeri. In altre parole: è possibile eseguire un massiccio calcolo parallelo ad un costo computazionale irrisorio rispetto a quello richiesto dai computer classici, che avrebbero bisogno per compiere la stessa operazione di ripetere il calcolo 2N volte o di poter contare su 2N processori paralleli. Si evince che questa macroscopica differenza di potenzialità tra computer classico e computer quantistico risiede nell’altissimo grado di parallelizzazione di quest’ultimo per via del fenomeno quantistico della sovrapposizione degli stati. Per rendersi conto della potenza di un computer quantistico si può fare l’esempio del tempo necessario per fattorizzare un numero. Per “fattorizzare un numero” n si intende trovare un insieme di numeri tali che il loro prodotto dia il numero originario n. Attualmente, per fattorizzare un numero di 300 cifre con un computer “classico” occorrerebbero alcune decine di migliaia di anni, mentre con uno quantistico sarebbero sufficienti pochi secondi. Da questo esempio si evincono le potenzialità applicative del quantum computing: crittografia, intelligenza artificiale, scienza dei materiali, farmacologia, etc.

 

(3) Nei calcolatori elettronici un registro è una piccola parte di memoria utilizzata per velocizzare l’esecuzione dei programmi fornendo un accesso rapido ai valori usati più frequentemente

 

Applicazioni pratiche

 

GOOGLE E D-WAVES SYSTEMS: nasce il motore di ricerca quantistico

Il processore quantistico a 128 qubit realizzato da D Wave Systems, non è sfuggito ai Google Labs. Ne è scaturita subito una collaborazione che ha portato alla realizzazione di un algoritmo dalle prestazioni incredibili. Il colosso di Mountain View ha affermato che un primo esemplare sarebbe già stato prodotto ed usato. Google ha rivelato che, dopo tre anni di lavoro sugli algoritmi quantistici, e sfruttando i qubit di D Waves Systems, un nuovo algoritmo è in grado di riconoscere e catalogare in maniera del tutto automatica gli oggetti partendo da immagini fisse o in movimento. Basato sulle potenzialità di accelerazione promesse dall’algoritmo probabilistico noto come algoritmo di Grover, il lavoro degli ingegneri di Mountain View, sempre in coppia con D Waves, permetterebbe velocità di ricerca e classificazione mille volte più performanti di quelle eseguite su una potente architettura di computing tradizionale. Questo risultato consente ad un’ipotetica macchina di valutare, ad esempio, un oggetto tramite una telecamera e ricercare tutti gli oggetti simili a quello registrato, addirittura di visualizzare una parte di video e ritornare tutte le informazioni circa il titolo del film, gli attorI etc, oppure visionare le riprese di una telecamera che ha registrato un reato e fornire immediatamente i dati dell’indiziato!

 

Il teletrasporto fotonico: dalla fantascienza alle reali applicazioni

È opportuno citare anche le applicazioni di comunicazione quantistica ottica Terra – spazio, in particolare tra satelliti che potenzialmente potrebbero permettere comunicazioni quantistiche su scala globale. In questo modo si supererebbero i limiti attuali della trasmissione in fibra ottica attestati sul centinaio di chilometri. Il tutto è basato sul concetto di entanglement e teletrasporto fotonico. Tale fenomeno permette di ricreare in modo perfetto, in un punto diverso dello spazio, un qubit, ad esempio un fotone, il cui stato è sconosciuto a chi deve eseguire la trasmissione. In sostanza si trasporta lo stato quantistico del primo qubit su di un altro qubit, in modo che lo stato iniziale e quello finale siano uguali, pur riferendosi a qubit diversi.

Recentemente il Politecnico della California ha annunciato di avviare una serie di esperimenti sull’ipotesi di teletrasporto di oggetti inanimati. Come spesso accade, una tecnologia nata dall’immaginazione degli autori di fantascienza (il famoso teletrasporto della serie televisiva “Star Trek“) si trasforma in un campo di studio della scienza e della tecnologia. Il principio del teletrasporto è già stato testato con successo su particelle elementari e successivamente su singoli atomi. Con l’esperimento del California Institute of Technology (Caltech) si vuole ora sperimentare il teletrasporto su oggetti “più complessi”. Gli esperimenti saranno condotti dallo scienziato Darrik Chang, che tenterà di teletrasportare alcune sfere di silicio del diametro di pochi nanometri. Il sistema di teletrasporto proposto da Chang si basa sull’utilizzo della luce laser. Una singola sfera di silicio contiene milioni di atomi. Se l’esperimento di Chang andasse bene, si aprirebbe un nuovo campo di studio sulla materia e l’ipotesi del teletrasporto potrebbe diventare in futuro una realtà della tecnologia.

 

 

Conclusioni

C’è oggi molto fermento sul tema della computazione e della comunicazione quantistica, sia a livello accademico, sia a livello di implementazione e commercializzazione di sistemi di telecomunicazione quantistica. Sebbene è qui impossibile riportare in modo esaustivo tutti gli attori coinvolti, a livello internazionale. Si segnalano i gruppi di Ginevra, Vienna, Erlangen, Monaco Cambridge, Waterloo, Singapore. Anche in Italia vi è un’intensa attività in ambito accademico, molto apprezzata a livello mondiale. Non a caso infatti IBM ha riconosciuto lo “IBM Faculty Award”, un premio legato a ricerche innovative nel campo dell’Informatica Quantistica e della Scienza dei Servizi alla Scuola Normale Superiore di Pisa e al Politecnico di Milano. Molto attivi anche i gruppi “Quantum Information Theory Group” presso l’università di Pavia, il “Quantum Optics Group” presso l’Università la Sapienza di Roma e l’Università di Padova. Per la parte commerciale legata alla crittografia quantistica, IdQuantique (Università di Ginevra) e MagiQ (New York) hanno entrambe in vendita un modello commerciale ormai stabile. Altre aziende, quali Toshiba e NEC, hanno progetti di sviluppo che potrebbero anche presto portare nuovi modelli sul mercato. Per l’Italia è da segnalare il laboratorio di ottica quantistica presso ELSAG (gruppo Finmeccanica) a Genova che conduce dal 2006 un progetto di ricerca e sviluppo in crittografia quantistica. Dinanzi a questa miriade di iniziative pratiche e teoriche si può ragionevolmente supporre che nel presente decennio (2011–2020) le computazioni e le comunicazioni quantistiche usciranno progressivamente dai laboratori per trovare concreta applicazione: gli operatori di telecomunicazioni dovranno quindi prestare grande attenzione a questa rivoluzione tecnologica epocale e ai conseguenti nuovi servizi a valore aggiunto che ne scaturiranno. In merito ad una previsione temporale più dettagliata sulla messa in campo delle reti quantistiche, si preferisce concludere l’articolo con una celebre ed ironica frase di uno dei padri della fisica quantistica Niels Bohr “Fare previsioni è molto difficile, soprattutto quando si tratta del futuro!” Tenendo invece conto che la presenza di questo articolo è come un pugno in un occhio all’interno della veste molto artistica ed umanistica di questa rivista, concludiamo con una celebre ed attualissima frase di Albert Einstein: “Perché questa stupenda scienza applicata che risparmia lavoro e rende la vita più facile ci porta così poca felicità? La risposta è semplice: perché non abbiamo ancora imparato a farne un uso assennato!” (da un discorso al California Institute of Technology, Pasadena, febbraio 1931). E noi aggiungiamo: dopo 80 anni, non abbiamo ancora imparato!

Figura 1

 

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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