L’identità industriale dell’Italia e dell’Abruzzo.

L’identita’ industriale dell’Italia e dell’Abruzzo.

In questi giorni vengono fuori indicazioni e dati molto pesanti sulla situazione economica e produttiva del nostro Paese. L’Istat ha segnalato un brusco calo della produzione industriale a dicembre del 4,3% che ha contribuito a far chiudere l’anno 2019 a meno 1,3%, con una domanda internazionale debole e con serie difficoltà per le nostre esportazioni. A ciò bisogna aggiungere che il prodotto interno lordo, nel quarto trimestre del 2019, è sceso dello 0,3%rispetto al trimestre precedente. Si tratta del dato peggiore dall’inizio del 2013. A ciò bisogna aggiungere i dati drammatici dell’occupazione che fino a qualche tempo fa erano stati incoraggianti (anche se caratterizzati dall’esplosione dei contratti a temine o part-time che hanno raggiunto la soglia dei 3 milioni e 123 mila unità) e che invece nel solo mese di dicembre hanno visto bruciare circa 75 mila posti di lavoro, con un tasso di disoccupazione che resta al 9,8%. E questi elementi, ovviamente, non tengono conto della straordinaria e drammatica situazione economica e sociale conseguente all’esplosione del coronavirus nel nostro Paese con il rischio concreto di una pesante recessione e blocco della economia.

Ebbene in questa condizione viene da domandarsi:ha un futuro l’industria del nostro Paese? La risposta non può che essere affermativa in considerazione di ciò che ha rappresentato il sistema industriale nella recente storia economica e sociale del nostro Paese ed anche della nostra regione.

Questa mia personale convinzione viene rafforzata dalla lettura del bel libro di Giuseppe Lupo LE FABBRICHE CHE COSTRUIRONO L’ITALIA uscito in questi giorni a cura del quotidiano IL SOLE 24 ORE. Il libro propone un viaggio nell’immaginario industriale italiano, attraverso alcuni dei luoghi simboli della manifattura del nostro paese: Settimo Torinese, Genova, Aree, Rescaldina, Sesto San Giovanni, Bagnoli, Pozzuoli, Torviscosa, Porto Marghera, Ivrea, Terni, Valdagno.

L’autore, un profondo conoscitore della letteratura industriale, ha compiuto un viaggio reale in questi siti produttivi, calandosi in queste realtà, parlando con imprenditori ed operai trovando spesso realtà industriali e fabbriche in abbandono, alcune inserite in un contesto museale e gestite da fondazioni che conservano archivi, biblioteche,progetti industriali ed anche situazioni di imprese che continuano vivere, produrre e che producono fatturati ed utili significativi. Particolarmente toccanti e coinvolgenti sul filo della memoria sindacale le pagine dedicate alle realtà di Sesto San Giovanni, Arese, Bagnoli, Porto Marghera e Terni.

Il lavoro di Lupo rappresenta non tanto una operazione nostalgica, un recupero dell’orgoglio industriale italiano, come afferma Stefano Salis nella introduzione, offuscato da anni ed anni di ostilità verso la cultura industriale (che ha fatto breccia anche all’interno del sindacato!) ma indica anche una prospettiva per il futuro produttivo del nostro Paese. L’industria che nel dopoguerra è stata alla base del boom economico e sociale dell’Italia, con il passaggio dall’economia rurale a quella industriale, che ha consentito a milioni di operai di diventare “cittadini più consapevoli”anche nell’epoca dell’industria 4.0 e della dematerializzazione del lavoro può rappresentare ancora una risorsa per far uscire l’Italia da uno dei momenti più difficili.

Ma nel lavoro di Giuseppe Lupo c’è a mio avviso una grave dimenticanza rappresentata dalla assenza di ogni riferimento alla realtà industriale abruzzese. Recentemente durante la presentazione di un altro bel libro di Luigi Piccioni Sindacato, Ambiente e Sviluppo – La Cgil Abruzzo, i parchi e le origin della riserva Monte Genzana-Alto Gizio 1979-1996 a cura di Ediesse- lo storico Costantino Felice ha parlato di “rivoluzione industriale abruzzese”, di “modello di sviluppo virtuoso, niente affatto meridionale”di “caso unico in Italia ed in Europa” e di “nessuna cattedrale nel deserto” caratteristica quest’ultima di tante iniziative industriali, negli anni sessanta e settanta del secolo scorso, nelle regioni del nostro meridione.

L’Abruzzo industriale annovera siti come il polo chimico di Bussi che ha quasi centoventi anni di storia, uno dei primi siti di chimica di base di Europa, che ha subito pesanti ristrutturazioni e riconversioni produttive, che da dieci anni fa i conti con la questione della bonifica delle aree che attende interventi risolutivi, ma che ha sempre un futuro industriale se è vero che la nuova proprietà dello stabilimento che fa capo al presidente Donato Todisco ha l’obiettivo di creare a Bussi il più grande impianto europeo per prodotti in grado di depurare e potabilizzare l’acqua.

E la stessa area industriale della Val Pescara e di Chieti Scalo, in modo particolare, offre molti spunti di vicende produttive che andrebbero rinverdite: dalla ex Farad, alla Richard Ginori, alla Iac, alla Generaltex, alla Indusnova, solo per fare alcuni esempi di una zona industriale che occupava, nei tempi d’oro, oltre cinquemila persone. E’ in questo contesto che assume particolare importanza la battaglia culturale che sta portando avanti il Centro Studi Spezioli di Chieti tramite il suo attivo presidente Ugo Iezzi per non disperdere la memoria storica della Cartiera di Chieti, la Celdit, la vita sociale del suo quartiere il Villaggio Celdit e la istituzione di un museo storico.

E poi ci sono le storie industriali ed occupazionali dell’ATI, l’azienda tabacchi di Lanciano, della Monti di Città Sant’Angelo, dell’ex Italtel dell’Aquila, solo per fare alcuni esempi.

Ma nel presente ci sono presenze industriali rilevanti come la Pilkington e la Magneti Marelli in quel di Vasto, la L.Foundry ad Avezzano e poi la Sevel in Val di Sangro la più grande realtà dell’industria metalmeccanica non solo d’Italia, ma d’Europa che ha trasformato radicalmente un territorio, che prima del 1979 veniva definito”Valle della Morte” in un modello di sviluppo virtuoso.

La questione, a mio avviso, è che anche da noi, in Abruzzo, negli ultimi anni parlare di industria ha quasi rappresentato un disvalore, un elemento negativo. E questo anche nel sindacato. Dimenticando il grande contributo che il processo di industrializzazione ha dato alla crescita economica, sociale e di nuovi diritti della nostra regione. Ecco perché recentemente ho proposto la creazione di una fondazione per rinsaldare la memoria sociale dell’Abruzzo: una operazione culturale e politica che guardando al nostro passato offre una valida visione al futuro dell’Italia e dell’Abruzzo.

 

di Nicola Primavera

 

 

Di Redazione Notizie D'Abruzzo

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