Primo Piano

Studio Cgia, le imprese generano il 38% di Pil in piccoli Comuni

Le fabbriche, gli uffici, i negozi e le botteghe presenti nei piccoli Comuni con meno di 20 mila abitanti producono il 38 per cento del Pil generato da tutto il comparto economico privato presente nel Paese (industria e servizi); un'incidenza superiore a quella ascrivibile alle attivita' situate nelle grandi citta' (35 per cento del Pil), ovvero quelle con piu' di 100 mila abitanti. E' questo il principale risultato emerso da una elaborazione realizzata dall'Ufficio studi della Cgia per conto di Asmel, l'Associazione per la Sussidiarieta' e la Modernizzazione degli Enti Locali, che rappresenta oltre 2.800 Comuni in tutt'Italia. "A differenza delle grandi citta' - afferma il coordinatore dell'Ufficio studi Paolo Zabeo - i piccoli Comuni hanno pochi mezzi a disposizione e tanti problemi di dimensione sovracomunale da affrontare. La forte concentrazione delle attivita' produttive nelle realta' territoriali minori impone a questi Sindaci risposte importanti su temi come la tutela dell'ambiente, la sicurezza stradale, la mobilita', l'adeguatezza delle infrastrutture viarie e la necessita' di avere un trasporto pubblico locale efficiente. Sono criticita' che richiedono un approccio pianificatorio su larga scala che, spesso, non si puo' attivare a causa delle poche risorse umane e finanziarie a disposizione". Dei 750 miliardi di euro di valore aggiunto prodotto da tutte le aziende private presenti nel Paese (pari a poco meno della meta' del Pil nazionale), 286,6 miliardi sono generati nelle piccole Amministrazioni comunali e 261,2 miliardi nelle grandi. Nei medi Comuni (quelli tra i 20 e i 100 mila abitanti), il valore aggiunto ammonta a 202,2 miliardi (il 27 per cento del totale del Pil in capo al settore industriale).

Disaggregando il valore aggiunto totale prodotto dalle imprese private nelle due branche che lo compongono, industria e servizi, emerge la grandissima vocazione manifatturiera dei Comuni con meno di 20 mila abitanti. In questi piccoli enti locali risultano insediate il 54 per cento delle unita' operanti nel settore dell'industria (pari a 533.410 imprese) il 56 per cento degli addetti (poco piu' di 2.944.200 lavoratori) e addirittura il 52 per cento del valore aggiunto (163,9 miliardi di euro). "Come era facilmente prevedibile - dichiara Daniele Nicolai ricercatore dell'Ufficio studi - il settore dei servizi e' concentrato in particolar modo nelle grandi realta' urbane: nelle citta' con piu' di 100 mila abitanti, infatti, scorgiamo il 32 per cento delle unita' locali di questo settore, il 37 per cento degli addetti e il 45 per cento del valore aggiunto". I piccoli Comuni con meno di 20 mila abitanti, tuttavia, si ritagliano anche nei servizi un ruolo per nulla marginale, rappresentando il 38 per cento delle imprese (1.370.462 unita'), il 33 per cento degli addetti (3.585.139 addetti) e il 28 per cento del valore aggiunto (122,7 miliardi di euro). Nel Triveneto vince l'alleanza piccoli Comuni e piccola impresa. Se non consideriamo la Valle d'Aosta, il Molise e la Basilicata - che sono le uniche regioni italiane che non hanno Amministrazioni comunali con piu' di 100 mila abitanti - e' il Triveneto l'area geografica del Paese dove nei piccoli Comuni si concentra il piu' alto numero di imprese, di addetti e anche di valore aggiunto. Nei Comuni con meno di 20 mila abitanti, il Trentino Alto Adige guida la graduatoria con una incidenza pari al 64 per cento del totale delle unita' locali dell'industria e dei servizi presenti nella regione. Seguono il Friuli Venezia Giulia con il 62 per cento, la Calabria con il 61 per cento e il Veneto con il 56 per cento. Per quanto concerne gli addetti, invece, sempre nelle piccole amministrazioni locali con meno di 20 mila abitanti svettano il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige, entrambi con una incidenza del 63 per cento. Seguono il Veneto con il 57 per cento, e la Calabria con il 55 per cento. In merito al valore aggiunto, infine, e' ancora una volta il Friuli Venezia Giulia a registrare l'incidenza piu' alta nei territori caratterizzati dalla presenza dei piccoli Comuni (64 per cento). Tallonano la regione piu' nordestina del Paese il Trentino Alto Adige (58 per cento), il Veneto (57 per cento) e l'Abruzzo (51 per cento)

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Censis, in Italia le donne che lavorano sono il 42,1% degli occupati complessivi

Lontane dagli uomini e lontane dall'Europa, con un tasso di attivita' al lumicino. In cui faticano anche 1,3 milioni di donne che possono contare su un impiego a tempo pieno ma con tre o piu' figli minori a cui badare. E' quanto emerge da una fotografia scattata dal Censis sull'occupazione femminile in Italia, che evidenzia in realta' una situazione gia' tristemente nota. Intanto i numeri: lo studio del Censis, elaborato in massima parte su dati Istat e Eurostat relativi al 2018, ricorda che in Italia le donne che lavorano sono 9.768.000, il 42,1% degli occupati complessivi. Ebbene, con un tasso di attivita' femminile del 56,2% il nostro Paese e' all'ultimo posto in Europa. Le donne italiane sono molto lontane anche dal tasso di attivita' maschile, pari al 75,1%. E sono indietro anche nel tasso di occupazione, che nella fascia di eta' 15-64 anni e' del 49,5% per le donne e del 67,6% per gli uomini. Ancora rispetto all'Ue, ma nella fascia d'eta' 20-64 anni, emerge che il nostro tasso di occupazione in rosa e' pari al 53,1%, migliore solo di quello della Grecia. Tra le giovani di 15-24 anni il tasso di disoccupazione e' del 34,8%, mentre per i maschi della stessa eta' si ferma al 30,4%. Anche in questo caso e' abissale la distanza con l'Europa, dove il tasso medio di disoccupazione per le donne e' del 14,5%. In Germania scende al 5,1%, nel Regno Unito al 10,3%, in Francia e' pari al 20%. Noi siamo penultimi, seguiti anche in questo caso solo dalla Grecia (43,9%). La ricerca ribadisce poi che lo studio non e' sempre sufficiente per fare carriera. Le donne manager in Italia sono solo il 27% dei dirigenti: un valore molto al di sotto di quello medio europeo (33,9%). Poi ci sono le difficolta' a conciliare lavoro e famiglia. Quasi tutti gli italiani, afferma il Censis, pensano che per una donna avere un lavoro sia molto (79,3%) o abbastanza (18,8%) importante. L'86% ritiene che per una donna sia molto (51,%) o abbastanza (34,8%) importante anche avere figli. Eppure per molte donne lavorare e formare una famiglia rimangono ancora oggi due percorsi paralleli e spesso incompatibili. Per questo 1 donna occupata su 3 (il 32,4%, cioe' piu' di 3 milioni di lavoratrici) ha un impiego part time. Nel caso degli uomini questa percentuale si riduce all'8,5%. Poi ci sono le donne, le cosiddette 'wonderwomen', che lavorano e hanno figli piccoli, un plotoncino piuttosto numeroso composto da quasi 6 milioni di donne. Tra quelle occupate con almeno 3 figli, quasi 1,3 milioni (il 63,5%) lavora a tempo pieno e 171.000 (l'8,5% del totale delle occupate) sono dirigenti, quadri o imprenditrici. Il gender pay gap nelle pensioni. Percorsi lavorativi piu' accidentati e carriere meno brillanti determinano anche una differenza nei redditi da pensione. Nel 2017 le donne che percepivano una pensione da lavoro erano piu' di 5 milioni, con un importo medio annuo di 17.560 euro. Per i quasi 6 milioni di pensionati uomini l'importo medio era di 23.975 euro

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L’Abruzzo si prepara all’Expo 2020 di Dubai

Regione Abruzzo operativa per la partecipazione il Padiglione Italia dell'Expo Universale di Dubai 2020. Oggi a Pescara, in Regione, l'assessore allo Sviluppo economico, Mauro Febbo, affiancato dal direttore del Dipartimento Germano De Santis, e dal dirigente Francesco Di Filippo, ha presieduto un incontro organizzativo al quale hanno partecipato, tra gli altri, rappresentanti di enti locali, le organizzazioni camerali, i referenti delle principali associazioni di categoria e dei Poli di innovazione. Febbo, ricordando l'avvenuta formalizzazione della partecipazione della Regione all' Expo, ha anche ribadito il relativo impegno economico che ammonta a circa 500mila euro, di cui un terzo già anticipato per l'adesione. "Si tratta di un mercato diverso da quello presente all'edizione di Milano - ha esordito Febbo - un mercato molto difficile rispetto al quale la Regione e le realtà imprenditoriali e di categoria che la affiancheranno in questa avventura dovranno fare massa critica per aumentare l'attrattività dell'offerta". A Dubai è prevista la partecipazione di 25 milioni di visitatori di cui il 75% provenienti da Paesi emergenti come Cina, india e Indonesia dove c'è un PIL a due cifre. La Regione Abruzzo ha già partecipato all'incontro con il Commissario generale di sezione per l'Italia Paolo Glisenti e del Curatore artistico del Padiglione Italia, Davide Rampello, sullo stato di avanzamento del Progetto per EXPO 2020 DUBAI e sulle modalità di partecipazione delle Regioni, presso la Conferenza Delle Regioni e Delle Province Autonome. In queste settimane, invece, è stato avviato un percorso di coinvolgimento degli stakeholder potenzialmente interessati

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Inapp, in Italia 21% occupati coinvolto nella green economy

In Italia circa il 21% degli occupati e' coinvolto in processi produttivi e professioni che hanno a che fare, attualmente o in prospettiva, con la 'green economy'. E di questo 21% il 9% e' costiutito da 'green jobs' in senso stretto: dal tecnico installatore di impianti fotovoltaici ai pianificatori, paesaggisti e specialisti del recupero e della conservazione del territorio fino agli ingegneri dei materiali, senza dimenticare i certificatori in grado di effettuare una diagnosi degli edifici e rilasciare l'attestato energetico. I 'nuovi mestieri' della green economy, un settore, anche nel nostro Paese, su cui puntano di piu' le aziende per creare nuova occupazione sono fotografati dall'Inapp (l'Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche) nell'Atlante Lavoro, una mappa universale che serve a monitorare l'evoluzione dei settori, delle imprese e del lavoro per valutarne gli impatti sulle competenze e le professionalita'. Nel 2017 circa l'1% degli individui presenti nel dataset - che si basa su comunicazioni obbligatorie su tutte le attivazioni e cessazioni dei rapporti di lavoro in Italia (escluse partite Iva e settore pubblico) - erano occupati in professioni native della green economy (full green), l'8% in professioni esistenti ma aggiornate nella green economy (ibride). In aggiunte a queste si identificano per circa il 12% professioni go-green, ovvero quei lavori che vanno verso l'economia verde come l'agricoltura o il tessile. Emerge inoltre che il fatto di essere occupato in una professione full o hybrid green si associa ad un incremento medio di circa 17 giornate lavorate nel corso dell'anno presso la stessa impresa.

Per quanto riguarda la distribuzione geografica nei green jobs ci sono in testa le regioni Molise, Lombardia e Abruzzo, seguite da Piemonte e Campania. I settori dove si registra invece il maggiore numero di contratti green sono le public utilites e le costruzioni seguiti da servizi sociali e manifattura. Attraverso il sistema informativo dell'Atlante lavoro e' stato possibile identificare tutte quelle attivita' economiche che possono essere definite come core green, cioe' con processi di lavoro finalizzati alla produzione di beni e servizi direttamente connessi al tema ambientale e che non si configurano come alternativi alle produzioni tradizionali. Successivamente, in modo sempre piu' analitico, e' stato possibile isolare le professionalita' operanti nelle attivita' core green suddividendole in: 'full green' cioe' professioni nuove interamente dovute alla green economy (ingegneri energetici, pianificatori, paesaggisti e specialisti del recupero e della conservazione del territorio, tecnici del risparmio energetico e delle energie rinnovabili) e 'hybrid', cioe' professionalita' pre-esistenti alla green economy ma aggiornate (ingegneri dei materiali, tecnici del marketing, tecnici delle costruzioni civili). Accanto a queste ci sono le 'go green' ovvero professioni potenzialmente aggiornabili con competenze green (responsabili di aziende che operano nell'agricoltura, disegnatori di moda, agenti di viaggio) ma dove questo passo non e' stato ancora completato

L'Atlante Lavoro e delle Qualificazioni e' una mappa dettagliata che racconta il lavoro in termini di attivita', task, compiti, prodotti e servizi attesi. Il suo alto valore informativo sta nel riuscire a legare insieme le abilita' e le competenze acquisite in contesti di istruzione o formazione, formali e non, con le richieste del mondo del lavoro, facendo colloquiare due mondi finora caratterizzati da un rilevante scollamento. In particolare l'Atlante e' organizzato in tre sezioni, l'Atlante Lavoro, Atlante e Qualificazioni e Atlante e Professioni. Il primo, nato con lo scopo primario di mettere in trasparenza il repertorio nazionale delle qualificazioni, negli anni ha ampliato il suo campo di applicazione divenendo una mappa dettagliata che descrive i contenuti del lavoro in 24 settori economico professionali descrivendo dettagliatamente i processi di lavoro e le aree di attivita' specifiche. L'Atlante e professioni raccoglie le Professioni regolamentate, il Repertorio delle professioni dell'apprendistato costituito da tutti i profili presenti nei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro relativi all'apprendistato professionalizzante, le Associazioni professionali. Infine, l'Atlante e qualificazioni contiene il Repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle Qualificazioni professionali e che rappresenta il quadro di riferimento in Italia per la certificazione delle competenze. 

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Sanità, il piano della Regione Abruzzo illustrato dall’assessore Verì

Rete e integrazione, unite a sostenibilita' economica, innovazione e valorizzazione del territorio, per ridurre le liste d'attesa e garantire una sanita' vicina a tutti i cittadini. L'assessore alla Salute della Regione Abruzzo, Nicoletta Veri', immagina cosi' la sanita' abruzzese. Il progetto dell'Esecutivo di centrodestra e' contenuto nel "Programma operativo 2019-2021" che indica in sei mosse il piano della Regione. Il documento e' uno di quelli inviati a Roma dall'assessore, in vista del tavolo di monitoraggio del 27 novembre.

"L'idea - spiega Veri' - e' quella di creare un'integrazione funzionale tra ospedale e territorio, grazie a reti efficienti, ottimizzazione delle risorse, del personale e delle strutture. Il tutto, cosa fondamentale, eliminando i doppioni, pur rispettando gli standard di sicurezza, puntando molto sul territorio. Vogliamo ridurre le liste d'attesa, vogliamo ridurre gli ingressi inappropriati in pronto soccorso. Lo faremo portando la sanita' dal cittadino, ma la sanita', non l'ospedale. Vogliamo che sia chiaro questo concetto: il cittadino ha bisogno di sanita', non necessariamente di ospedale. Si deve capire che non per ogni cosa e' necessario andare in ospedale".

La Regione vuole quindi "salvare e preservare i piccoli ospedali, che avranno una vocazione ben precisa e diventeranno punti di riferimento per un determinato settore o una determinata patologia, grazie all'arrivo di specialisti. Puo' sembrare che questo porti ad un aumento dell'impegno economico - dice Veri' - ma se tutto e' ben organizzato non e' cosi'". Secondo l'assessore "non e' un libro dei sogni, al contrario di quanto dice qualcuno: bisogna evitare i doppioni, facendo questo il sistema e' sostenibile. Il concetto di rete e integrazione - aggiunge - al ministero piace e in alcune regioni lo stanno attuando". Per quanto riguarda i Dea di secondo livello Veri' sottolinea che "al momento nessuno dei quattro ospedali ha i requisiti previsti dal Dm 70" e che "nelle more della riorganizzazione per arrivare ai Dea di secondo livello definiamo i quattro grandi ospedali come 'di alta complessita' assistenziale'". 

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Crisi dei consumi causata anche dalla mancanza di innovazione

La crisi della classe media e dell'occupazione giovanile non lasciano prevedere sostanziali e stabili incrementi dei redditi, soprattutto per le fasce più basse. Questo comporterà probabilmente una crescente finanziarizzazione del consumo da parte di operatori bancari e non. La crisi del consumo sarebbe anche legata alla crisi dell'offerta che risente di un deficit di innovazione reale nelle offerte di beni e servizi di consumo e delle formule distributive e commerciali. A dirlo l'Osservatorio Cibi, produzioni, territorio (Cpt) Eurispes, Uci e Univesitas Mercatorum che ha raccolto dati, approfondito fenomeni legati al mercato del mondo alimentare, e osservato come cambiano le abitudini dei consumatori nel position paper 'I consumi alimentari: conoscere per agire'. Fatto 100 il numero dei codici-prodotto nuovi lanciati lo scorso anno nel comparto dei beni di largo consumo, quelli realmente nuovi sono appena il 21,4% del totale. Per il resto, chiamiamo nuovi prodotti quelli che, in realtà, sono estensioni di marca (54,5%) e imitazioni (24,1%). A fronte di un quadro complessivamente statico della spesa per consumi, si ravvisano, tuttavia, notevoli incrementi della spesa per alcune categorie di consumo, che raccontano di un consumatore cambiato. 

Crescono i seguenti tipi di consumo. - Consumi politicamente scorretti (fumo, gioco, alcol, droga, prostituzione) ma, al contempo, quelli politicamente corretti (alimenti salubri, prodotti equi e solidali, biologici, sostenibili). - Consumi di integrazione (parafarmaci, super cibi) e, insieme, quelli di sottrazione (gluten free, sfusi). - I Consumi di protezione (antifurti, assicurazioni, istruzione privata, spese sanitarie all'estero) e, insieme, di esposizione (viaggi, sport estremi). - I Consumi fai da te (cucina, bricolage, distillazione domestica) e, al contempo, quelli del già fatto (cibi pronti, home delivery). In particolare, ad esempio, i prodotti gluten-free valgono oltre 148 mln di euro; gli integrali oltre 343 mln; i sostitutivi del latte crescono di oltre 15 mln di euro a fronte di un calo di oltre 32 mln delle vendite di latte fresco; lo zucchero di canna cresce del 16% a fronte di un calo del 9% di quello da barbabietola. I Consumi italiani sono sostanzialmente stabili nelle quantità, ma vitali nella qualità. Il tratto più evidente appare l'incoerenza

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Emergenza clima in città, i dati di Legambiente

E' emergenza clima in città: dal 2010 a inizio novembre 2019 sono stati registrato danni rilevanti in 350 Comuni dovuti al maltempo, 73 giorni di stop a metro e treni e 72 giorni di blackout elettrici. Roma, Milano, Genova, Napoli, Palermo, Catania, Bari, Reggio Calabria e Torino le più colpite. A scattare la fotografia è il rapporto 2019 dell'Osservatorio di Legambiente sull'impatto dei mutamenti climatici in Italia, un dossier dal titolo 'Il clima è già cambiato', come purtroppo dimostrano le inondazioni dei giorni scorsi a Venezia, Matera e Pisa e gli eventi meteorologici estremi che si sono abbattuti su molti territori e che colpiscono la penisola con sempre maggiore frequenza. L'Osservatorio di Legambiente Cittàclima, realizzato in collaborazione con il Gruppo Unipol, ha l'obiettivo di raccogliere e mappare le informazioni sui danni provocati in Italia dai fenomeni climatici, di contribuire ad analisi e approfondimenti che riguardano le città e il territorio italiano, oltre a condividere analisi e studi internazionali e esperienze di piani e progetti di città, paesi, Regioni. Dal 2010 ad oggi, sono 563 gli eventi registrati sulla mappa del rischio climatico, con 350 Comuni in cui sono avvenuti impatti rilevanti. Nel 2018, il nostro paese è stato colpito da 148 eventi estremi, che hanno causato 32 vittime e oltre 4.500 sfollati, un bilancio di molto superiore alla media calcolata negli ultimi cinque anni. Dal 2014 al 2018 le sole inondazioni hanno provocato in Italia la morte di 68 persone. 

Nelle nostre città la temperatura media è in continua crescita e a ritmi maggiori rispetto al resto del Paese. Secondo le elaborazioni dell'Osservatorio meteorologico Milano Duomo, è un fenomeno generale e rilevante che riguarda tutte le città con picchi a Milano con +1,5 gradi, a Bari (+1) e Bologna (+0,9) a fronte di una media nazionale delle aree urbane di +0,8 gradi centigradi nel periodo 2001-2018 rispetto alla media del periodo 1971-2000. Aumentano gli impatti del caldo in città, in particolare sono le ondate di calore il principale fattore di rischio con rilevanti conseguenze sulla salute delle persone. Uno studio epidemiologico realizzato su 21 città italiane ha evidenziato l'incremento percentuale della mortalità giornaliera associata alle ondate di calore con 23.880 morti tra il 2005 e il 2016, e mettono in evidenza impatti più rilevanti nella popolazione anziana e una riduzione negli ultimi anni attribuibile agli interventi di allerta attivati. Secondo una ricerca del progetto Copernicus european health su 9 città europee, nel periodo 2021-2050 vi sarà un incremento medio dei giorni di ondate di calore tra il 370 e il 400%, con un ulteriore aumento nel periodo 2050-2080 fino al 1100%. Questo porterà, ad esempio, a Roma da 2 a 28 giorni di ondate di calore in media all'anno. La conseguenza sul numero di decessi legati alle ondate di calore sarà molto rilevante: da una media di 18 si passerebbe a 47-85 al 2050 e a 135-388 al 2080.

L'accesso all'acqua è un altro tema rilevante che, in una prospettiva di lunghi periodi di siccità, rischia di diventare sempre più difficile da garantire. La situazione nel nostro paese, già oggi, è complicata, in particolare al Sud, per quanto riguarda la qualità del servizio idrico e nel 2017, nei quattro principali bacini idrografici italiani (Po, Adige, Arno e Tevere) le portate medie annue hanno registrato una riduzione media complessiva del 39,6% rispetto alla media del trentennio 1981-2010. Preoccupante per le città italiane anche l'innalzamento del livello dei mari. Secondo le elaborazioni di Enea, sono 40 le aree a maggior rischio in Italia. A rischio sono anche città come Venezia, Trieste, Ravenna, la foce del Pescara, il golfo di Taranto, La Spezia, Cagliari, Oristano, Trapani, Marsala, Gioia Tauro. D'altronde, secondo un'indagine di Climate Central pubblicata sulla rivista Nature, se i ghiacciai continueranno a sciogliersi al ritmo attuale, 300 milioni di persone che vivono in aree costiere saranno sommerse dall'oceano almeno una volta l'anno entro il 2050, anche se le barriere fisiche che erigono contro il mare saranno potenziate. Per questo Legambiente chiede al governo di approvare quanto prima il Piano di adattamento e di mettere le città al centro delle priorità di intervento. Sul fronte dei costi: l'Italia dal 1998 al 2018 ha speso, secondo dati Ispra, circa 5,6 miliardi di euro (300 milioni all'anno) in progettazione e realizzazione di opere di prevenzione del rischio idrogeologico, a fronte di circa 20 miliardi di euro spesi per ''riparare'' i danni del dissesto secondo dati del Cnr e della Protezione civile (un miliardo all'anno in media, considerando che dal 1944 ad oggi sono stati spesi 75 miliardi di euro). Il rapporto tra prevenzione e riparazione è insomma di uno a quattro. 

Sulla base delle informazioni raccolte dall'Osservatorio Cittàclima di Legambiente è stato possibile mappare le città che nel corso degli ultimi dieci anni hanno subito il maggior numero di eventi estremi che hanno, in un modo o nell'altro, messo in ginocchio la città: Roma, Milano, Genova, Napoli, Palermo, Catania, Bari, Reggio Calabria e Torino. Occorre considerare che anche il non intervento per fermare gli impatti del clima è una scelta, le cui conseguenze oggi si iniziano a conoscere. Secondo alcune stime, in Italia, se l'Accordo di Parigi non sarà rispettato, i danni economici potrebbero far calare del 7% il Pil pro-capite. Mentre in Russia potrebbe scendere dell'8,93%, negli Stati Uniti del 10,52% e in Canada circa del 13%. A livello europeo, le conseguenze degli impatti climatici rischiano di essere drammatiche, con stime che parlano, in assenza di azioni di adattamento, di ondate di calore che potrebbero provocare entro la fine del secolo circa 200mila morti all'anno nella sola Europa, mentre i costi delle alluvioni fluviali potrebbero superare i 10 miliardi di euro all'anno. L'impatto sarà maggiore sulle fasce di popolazione più povere che non dispongono di sistemi di raffrescamento. In Italia il fenomeno della povertà energetica riguarda già oggi oltre 4 milioni di famiglie. Le elaborazioni su immagini satellitari realizzate da e-Geos per Legambiente relative alle città di Milano e di Roma hanno messo in evidenza come disponiamo di tutte le informazioni per capire i quartieri a maggior rischio durante le ondate di calore e incrociando i dati con analisi sullo stato di salute e le condizioni economiche delle famiglie, degli strumenti per prevenire e ridurre gli impatti sulle famiglie.

 

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Tassa sui rifiuti, in Abruzzo la media è di 326€ a famiglia

Ammonta a 300 euro in media nel 2019 la tassa dei rifiuti nel nostro Paese, con differenze territoriali molto marcate: la regione più economica è il Trentino Alto Adige, con 190 euro, la più costosa la Campania con 421 euro. E’ questo il quadro che emerge dalla rilevazione dell’Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva, disponibile online, gratuitamente dietro registrazione, sul sito www.cittadinanzattiva.it. Catania il capoluogo di provincia più costoso (504 euro e un aumento del 15,9% rispetto al 2018), Potenza il più economico (121 euro e un decremento del 13,7% rispetto al 2018). Analizzando le tariffe dei 112 capoluoghi di provincia esaminati, sono state riscontrate variazioni in aumento in circa la metà, 51 capoluoghi; tariffe stabili in 27 capoluoghi e in diminuzione in 34. A Matera l’incremento più elevato (+19,1%), a Trapani la diminuzione più consistente (-16,8%). A livello di aree geografiche, i rifiuti costano meno al Nord (in media 258 euro), segue il Centro (299 euro), infine il Sud, più costoso (351 euro). In Abruzzo la media è di 326€ a famiglia (+1,8% rispetto al 2018), ma si passa dai 373 euro dell’Aquila ai 283 euro di Pescara, mentre a Chieti si registra un incremento del 13,4% rispetto al 2018. Per quanto riguarda la raccolta differenziata, si va dal 61,4% di Teramo al 35,7% dell’Aquila. Più di due famiglie su tre (precisamente il 68,2%) ritengono di pagare troppo per la raccolta dei rifiuti: la percentuale sale all’83,4% in Sicilia, segue l’Umbria con l’80,2%, la Puglia con il 79,1%, la Campania con il 78,4%. Solo il 60% delle amministrazioni comunali o delle aziende che gestiscono il servizio ha elaborato e reso disponibile la Carta dei servizi. Solo due su tre indicano il tipo di raccolta effettuata, la metà esplicita la frequenza con cui è effettuata. E al cittadino è ancor meno dato a sapere con che frequenza vengono igienizzati i cassonetti (lo indica appena il 47% delle Carte), pulite le strade (37%) o svuotati i cestini per strada (25%).

L’indagine sui costi sostenuti dai cittadini per lo smaltimento dei rifiuti in tutti i capoluoghi di provincia prende come riferimento nel 2019 una famiglia tipo composta da 3 persone ed una casa di proprietà di 100 metri quadri. Tutti i dati su tariffe, agevolazioni, qualità e tutela, per singolo capoluogo di provincia, sono disponibili sulla piattaforma interattiva INFORMAPal link www.cittadinanzattiva.it/informap.Da oggi online le informazioni sul servizio di gestione dei rifiuti, a seguire sugli altri servizi pubblici locali: trasporti, acqua

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Dal Ministero delle Finanze 24,2 milioni per prestiti a Pmi e famiglie a rischio usura

 Il ministero dell'Economia e delle Finanze (Mef) ha messo a disposizione ulteriori 24,2 milioni di euro in garanzie statali per facilitare l'accesso al credito di imprese e famiglie a "rischio usura". Lo riferisce il Mef in una nota. L'importo verra' erogato entro la fine dell'anno attraverso il Fondo per la prevenzione del fenomeno dell'usura (istituito dalla legge 108 del 1996 presso il Mef a 122 "Enti gestori": 89 Confidi (consorzi di Pmi), che riceveranno circa 17 milioni di euro e 33 associazioni e fondazioni impegnate nella lotta all'usura, che riceveranno circa 7 milioni. Nel complesso, oltre ai 122 Enti per i quali e' stata quest'anno deliberata la nuova erogazione, sono circa 200 i soggetti attivi, e con fondi ancora a disposizione, ai quali imprese e famiglie in difficolta' economica e a rischio di diventare vittime di attivita' criminali possono rivolgersi per richiedere le garanzie dello Stato

Come negli anni scorsi - spiega la nota -, l'ammontare del Fondo e' stato ripartito con delibera di un'apposita Commissione interministeriale (presieduta dal Mef) sulla base di una combinazione di indicatori che tengono conto dell'indice del rischio usura presente nell'ambito territoriale dove opera l'ente assegnatario, dell'efficienza nell'utilizzo delle risorse dimostrata nel passato e della effettiva capacita' di garantire l'accesso al credito. Inoltre, si e' stabilito di confermare, anche per questa nuova ripartizione, un contributo speciale agli enti delle aree dell'Abruzzo, dell'Umbria, del Lazio e delle Marche colpite dai terremoti del 2016 e del 2017. Il Fondo, operativo gia' dal 1998, viene ogni anno alimentato, secondo un circolo virtuoso, dai proventi delle sanzioni amministrative antiriciclaggio

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Nel 2020 l’e-commerce italiano salirà a 104,4 miliardi

L'e-commerce italiano mantiene le promesse e proseguirà la sua crescita anche nel 2020 con un valore degli acquisti online che, includendo l'indotto, arriverà a sommare 104,4 miliardi di euro, facendo segnare un +264% negli ultimi 2 anni. Lo sostiene un'analisi elaborata da AJ-Com.Net secondo cui nei prossimi anni la web-economy avrà un valore sempre maggiore rispetto ai settori economici tradizionali. Nel 2020 si arriverà al 34% della popolazione planetaria utilizzerà i canali digitali per fare acquisti.

A far lievitare questa stima sono in particolare gli acquisti di prodotti che includendo l'indotto, cioè i prodotti scelti online, ma acquistati poi nei negozi tradizionali, hanno già registrato nel 2019 un tasso di crescita quattro volte superiore a quello dei servizi. Sono tre i motivi che spingono a comprare online: il prezzo più vantaggioso, la comodità di acquisto e la maggiore varietà di scelta offerta dal web. L'Italia si conferma come il più importante hub del digitale in Europa con tassi di crescita che sono sorprendenti. La domanda dell'e-commerce è trainata prevalentemente dal settore del turismo (21,6 miliardi di euro previsti per il 2018), informatica ed elettronica (9,4 miliardi), advertising e marketing (9,1 miliardi), abbigliamento (7 miliardi), food e beverage (4,7 miliardi), arredamento (4,6 miliardi), assicurazioni (3,2 miliardi), editoria (2,1 miliardi), auto, moto e ricambi (1,2 miliardi) e beauty (1 miliardo).nche il mobile advertising in Italia è cresciuto. Supererà nel 2020 i 3,6 miliardi di euro, pari al 48% del mercato digitale. Sia le grandi e medie imprese che quelle più piccole e i professionisti stanno puntando sull'online, anche perché le soluzioni di visibilità sul web sono accessibili con investimenti alla portata di tutti. 

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