L’Osservatorio

Coldiretti, gravi i danni per l’agricoltura col maltempo

"E' calamità per l'agricoltura italiana con l'ondata di maltempo che ha colpito l'Italia da Nord a Sud, con perdite per milioni di euro per le coltivazioni e le infrastrutture nelle campagne". Emerge da un primo monitoraggio di Coldiretti sulle conseguenze delle tempeste di pioggia, vento e grandine che hanno colpito dalla Lombardia al Lazio, all'Emilia Romagna, dall'Abruzzo alla Sicilia con agrumi e ortaggi sommersi dall'acqua, muri di contenimento distrutti, alberi abbattuti e torrenti straripati. Nel Lazio - dice la Coldiretti - la violenta grandinata, che si è abbattuta anche sulla Capitale, ha danneggiato le serre di ortaggi nella fascia di Anzio, Nettuno, Pomezia e Ardea, mentre a Palombara e Nerola la tempesta di ghiaccio ha distrutto le ultime olive che erano sopravvissute alle gelate di primavera. In Sicilia le zone più colpite sono quelle comprese fra Catania e Siracusa e quella intorno a Palermo ed Enna, mentre in Emilia Romagna l'epicentro è a Bologna e in Romagna dove si trovano frutteti. In Abruzzo gli agricoltori sono con il fiato sospeso per le colture ancora in campo. La grandine - precisa Coldiretti - è l'evento più temuto dagli agricoltori in questo momento perché provoca danni irreversibili alle coltivazioni in prossimità della raccolta e fa perdere un intero anno di lavoro in pochi minuti. L'Italia - conclude la Coldiretti - si colloca tra i dieci Paesi più colpiti al mondo da alluvioni, siccità, tempeste, ondate di calore e terremoti.

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Rallenta il Pil nel terzo trimestre

 E' in rallentamento il Pil nel terzo trimestre: sarebbe infatti cresciuto in termini congiunturali cioe' rispetto ai tre mesi precedenti dello 0,1%. Lo rileva Bankitalia nel Bollettino economico. Il 30 ottobre verra' resa nota la stima preliminare dell'Istat. Per gli esperti di via Nazionale, "l'intervallo di incertezza e' quantificabile in 0,1 punti percentuali al di sopra e al di sotto della proiezione centrale. L'attivita' avrebbe segnato un incremento nei servizi, mentre sarebbe rimasta stazionaria nell'industria in senso stretto. Il valore aggiunto delle costruzioni avrebbe proseguito a espandersi a un ritmo moderato". Se l'indice nel settore dei servizi si e' stabilizzato in generale su valori positivi, "l'apporto delle nascite e cessazioni di imprese, uno degli indicatori inclusi nei modelli di previsione dell'attivita' del terziario, sarebbe stato nullo". All'incremento dell'attivita' nei servizi avrebbe contribuito il buon andamento dei flussi turistici dall'estero. Nel bimestre luglio-agosto invece la produzione industriale e' lievemente scesa sul trimestre precedente e secondo le prime stime, anche nei mesi estivi l'attivita' industriale si sarebbe mantenuta nel complesso stazionaria. C'e' pero' da dire che il clima di fiducia delle imprese manifatturiere e' peggiorato nel corso dell'estate: sono diminuiti gli indici relativi ai giudizi sugli ordini esteri, in particolare nei comparti dei beni di investimento e intermedi

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I laureati in statistica hanno percentuale di occupazione superiore al 90 per cento

I laureati in Statistica a cinque anni dal conseguimento del titolo sono occupati in percentuale superiore al 90%. Il dato emerge da un'indagine di AlmaLaurea svolta in tutto il paese, che in occasione della giornata italiana della statistica (20 ottobre), promossa dall'Istat e dalla Società italiana di statistica (Sis), ha analizzato le caratteristiche e gli esiti occupazionali dei laureati in materia. Dall'indagine emerge che nel corso della triennale, gli iscritti studiano prevalentemente Statistica, Matematica e Scienze Economiche. Si tratta in particolare di maschi (52% contro il 48% delle femmine) che hanno conseguito il diploma in un liceo scientifico (56,1%) o in un istituto tecnico (27,6%). Una volta conseguito il titolo di primo livello, il 69,5% dei laureati in Statistica decide di proseguire gli studi iscrivendosi ad un corso di laurea di secondo livello. Il percorso magistrale biennale più seguito è Scienze statistiche (63,9%), mentre un 27,7% opta per Scienze statistiche attuariali e finanziarie. Dopo cinque anni dalla laurea magistrale biennale, tra i laureati in Scienze statistiche il tasso di occupazione è pari al 95,9% e le retribuzioni sono, in media, pari a 1.703 euro netti al mese. Il 69,1% è assunto con un contratto a tempo indeterminato, mentre il 16,8% può contare su un contratto non standard (prevalentemente a tempo determinato). L'occupazione è alta anche per quanti hanno optato per il percorso in Scienze statistiche attuariali e finanziarie: a cinque anni dal titolo il tasso di occupazione è infatti pari al 92,9% e la retribuzione è di 1.651 euro netti al mese. Il 75,2% dei laureati è assunto inoltre con un contratto a tempo indeterminato.

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Rapporto Caritas, è povera una famiglia italiana su 20

Tra gli italiani risulta povera una famiglia su venti, tra gli stranieri quasi una su tre": è quanto emerge dal Rapporto Caritas Italiana 2018 su povertà e politiche di contrasto presentato oggi. "La povertà assoluta si mantiene al di sotto della media tra le famiglie di soli italiani (5,1%), sebbene in leggero aumento rispetto allo scorso anno, mentre si attesta su livelli molto elevati tra i nuclei con soli componenti stranieri (29,2%). Lo svantaggio degli immigrati non costituisce un elemento di novità e nel 2017 sembra rafforzarsi ulteriormente. Volendo semplificare, tra i nostri connazionali risulta povera una famiglia su venti, tra gli stranieri quasi una su tre" "In Italia il numero dei poveri assoluti (cioè le persone che non riescono a raggiungere uno standard di vita dignitoso) continua ad aumentare, passando da 4 milioni 700mila del 2016 a 5 milioni 58mila del 2017, nonostante i timidi segnali di ripresa sul fronte economico e occupazionale. Dagli anni pre-crisi ad oggi il numero di poveri è aumentato del 182%, un dato che dà il senso dello stravolgimento avvenuto per effetto della recessione economica", rende noto la Caritas. Da circa un lustro "la povertà tende ad aumentare al diminuire dell'età, decretando i minori e i giovani come le categorie più svantaggiate (nel 2007 il trend era esattamente l'opposto). Tra gli individui in povertà assoluta i minorenni sono 1 milione 208mila (il 12,1% del totale) e i giovani nella fascia 18-34 anni 1 milione 112mila (il 10,4%): oggi quasi un povero su due è minore o giovane".

 

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Coldiretti, il 71% degli italiani taglia gli sprechi a tavola

Oltre 7 italiani su 10 (71%) nel 2018 hanno diminuito o annullato gli sprechi alimentari, secondo un'indagine Coldiretti/Ixe' presentata in occasione della Giornata mondiale dell'alimentazione promossa dalla Fao. Gli sprechi domestici, secondo la Coldiretti, rappresentano in valore il 54% del totale e sono superiori a quelli nella ristorazione (21%), nella distribuzione commerciale (15%), nell'agricoltura (8%) e nella trasformazione (2%) per un totale di oltre 16 miliardi che finiscono nel bidone in 1 anno. Non si tratta quindi solo di un problema etico ma determinano anche effetti sul piano economico e ambientale per l'impatto negativo sul dispendio energetico e sullo smaltimento dei rifiuti. Un comportamento grave, rileva la Coldiretti, in un Paese come l'Italia dove sono 2,7 milioni le persone che durante l'ultimo anno sono state costrette a chiedere aiuto per il cibo nelle mense dei poveri o con pacchi di aiuto alimentari. Tra i consigli salva-sprechi la Coldiretti ricorda anche di verificare il frigorifero dove i cibi vanno correttamente posizionati, effettuare acquisti ridotti e ripetuti nel tempo, scegliere frutta e verdura con il giusto grado di maturazione, preferire la spesa a chilometri zero che garantisce una maggiore freschezza e durata e non avere timore di chiedere di portarli a casa quando si mangia al ristorante. 

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Enit, boom passeggeri Usa (+14,4%) tra giugno e settembre

E' boom di turisti statunitensi, australiani e cinesi negli aeroporti italiani da giugno a settembre 2018. E' quanto rileva l'Enit(Agenzia nazionale del turismo), secondo cui rispetto al periodo giugno/settembre 2017 tra i principali mercati di origine d'Oltreoceano, gli Usa si presentano come il Paese piu' performante (+14,4%), seguiti da Australia (+13,1%) e Cina (+0,2%). In calo, invece, i flussi aerei dalla Russia (-15,8%), che nel 2017 avevano fatto registrare una forte crescita (+25%), quest'anno condizionata invece dallo svolgimento nel Paese dei Campionati Mondiali di Calcio nei mesi di giugno e luglio. A fine anno si prevede che gli arrivi aerei dagli Usa faranno segnare il +14,1% sul 2017. Per quanto riguarda le previsioni a chiusura d'anno sulla base delle prenotazioni aeree effettive raccolte al 6 ottobre, rimane alta la stima della crescita dei flussi aerei anche dall'Australia (+13,5%) e dalla Cina (+2%), mentre risultano ancora in calo quelli dalla Russia (-9,4%). Focalizzando lo sguardo sulle rotte Cina/Europa, nell'intervallo gennaio/aprile 2018 sullo stesso periodo 2017, i viaggi aerei dalla Cina verso il resto del mondo hanno fatto registrare un incremento del 7,1%, mentre quelli verso la sola Europa hanno messo a segno una crescita del +10,5%. Prendendo in esame il periodo maggio/agosto 2018, le partenze aeree dalla Cina globalmente sono cresciute del 6,5%, del 6,1% nelle tratte sull'Europa. 

Analizzando a consuntivo il traffico aereo verso il nostro Continente proveniente dalla Cina nell'intero 2017 si rileva un incremento del 10% cosi' declinato per singoli Paesi: Italia +10%, Austria + 7%, Germania + 2%, Francia + 3%, Olanda - 1%, Uk + 6%, Danimarca stabile, Finlandia - 3%. In sintesi, la Cina si sta affermando come uno dei mercati dei voli piu' interessanti. L'Europa sta in larga misura contribuendo a tali risultati. L'Italia, tra gli altri Paesi, e' un esempio in questo senso, dal momento che i collegamenti aerei con la Repubblica cinese sono raddoppiati negli ultimi cinque anni, il piu' alto tasso di sviluppo in Europa. La diffusione dei dati fin qui raffigurati, e' stata anche l'occasione per fare il punto sull'attivita' di ENIT in Cina. Gia' lo scorso anno ENIT, in sinergia con Ice, aveva stretto un accordo con il colosso cinese dell'eCommerce Alibaba Alitrip per la gestione, tra le altre iniziative, dell' Italian National Pavillion online dedicato agli operatori italiani del settore, che possono cosi' sfruttare le opportunita' legate all'espansione del turismo italiano per viaggiatori cinesi. Da segnalare, inoltre, la partecipazione di ENIT ai tre eventi fieristici piu' importanti dell'Asia: la fiera di Chengdu Ttm - Travel Trade Market, la Wcif - Western China International Faire, sempre a Chengdu. Sara' presente anche al Citm - china International Travel Mart di Shanghai. Nello stesso tempo, con l'obiettivo di promuovere il brand Italia, ENIT ha organizzato due workshop, il primo a GuangZhou (Canton) e l'altro a Xi'an. L'elaborazione dei dati e l'implementazione delle iniziative fin qui delineate si avvale del cosiddetto "cruscotto" ENIT, ovvero l'architettura dei flussi informativi che permette all'Agenzia del Turismo di generare dati alla base delle scelte strategiche e delle operazioni da mettere in campo. Tre sono le "sorgenti" del cruscotto: i big data, l'Osservatorio Nazionale del Turismo (indicatori classici), le rilevazioni dirette. Il sistema degli indicatori 'Big Data' si articola in tre sottosistemi: flussi aeroportuali (quantita' e trend per aeroporto di provenienza/destinazione), Global market approach (Analisi congiunta delle variabili del Travel insieme a quelle sociali ed economiche), social monitoring (web e canali social). Gli indicatori classici sono quelli di Istat e Bankitalia.

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Istat: lavoratori irregolari in lieve calo nel 2016 a 3,7 milioni

Nel 2016, le unità di lavoro irregolari sono 3 milioni 701 mila, in prevalenza dipendenti (2 milioni 632 mila), in lieve diminuzione rispetto al 2015 (rispettivamente -23 mila e -19 mila unità). Il tasso di irregolarità, calcolato come incidenza delle unità di lavoro non regolari sul totale, è pari al 15,6% (-0,3 punti percentuali rispetto allìanno precedente). Lo rileva l'Istat, segnalando che l'incidenza del lavoro irregolare è particolarmente rilevante nel settore dei Servizi alle persone (47,2% nel 2016, in calo di 0,4 punti percentuali rispetto al 2015), ma risulta significativo anche nei comparti dell'Agricoltura (18,6%), delle Costruzioni (16,6%) e del Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (16,2%). 

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Struttura e profili del settore non profit

Ad un anno dalla pubblicazione dei dati del primo Censimento permanente delle istituzioni non profit vengono diffuse stime aggiornate al 2016 sulla consistenza e le principali caratteristiche strutturali del settore non profit1 . Nel 2016, le istituzioni non profit attive in Italia sono 343.432 e complessivamente impiegano, alla data del 31 dicembre 2016, 812.706 dipendenti2 . Rispetto al 2015, le istituzioni crescono del 2,1%, i dipendenti del 3,1%; si tratta quindi di un settore che continua ad espandersi nel tempo con tassi di crescita medio annui in linea con il profilo delineato dai censimenti tradizionali.

Aumenta l’incidenza delle istituzioni non profit rispetto al complesso delle imprese dell’industria e dei servizi: dal 5,8% del 2001 al 7,8% del 2016 per le istituzioni e dal 4,8% del 2001 al 6,9% del 2016 per gli addetti3 . Nel biennio 2015-2016, le istituzioni crescono di più al Nord-ovest (+3,3%), al Sud (+3,1%) e nelle Isole (+2,4%) mentre i dipendenti soprattutto nelle regioni meridionali (+5,8%) e al Nord-est (+4,4%). Considerando il numero di istituzioni, gli incrementi percentuali maggiori si osservano in Basilicata (+8,8%), Molise (+8,7%) e Calabria (+5,6%); aumenti più contenuti si rilevano in Abruzzo (+0,2%), Provincia autonoma di Bolzano (+0,5%) ed EmiliaRomagna (+0,7%) mentre le variazioni sono di segno negativo in Umbria (-0,5%) e nelle Marche (-0,4%). Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti, le regioni maggiormente interessate dalla crescita degli occupati sono Basilicata (+9,5%), Campania (+7,9%) ed Emilia-Romagna (+5,0%).

La distribuzione territoriale vede oltre il 50% delle istituzioni attive nelle regioni del Nord contro il 26,7% dell'Italia meridionale e insulare. Il numero di istituzioni non profit ogni 10mila abitanti è un indicatore che misura più chiaramente la presenza territoriale: se al Centro-Nord tale tale rapporto assume valori prossimi se non superiori a 60 (in particolare al Nord-est, dove raggiunge il livello di 68,2), nelle Isole e al Sud è pari rispettivamente a 48,1 e 42,2. Infine, i dipendenti sono ancora più concentrati delle istituzioni dal punto di vista territoriale, con oltre il 57% impiegato al Nord.

La distribuzione delle istituzioni non profit per periodo di costituzione è piuttosto simile a quella delle imprese, con il 2005 come “anno mediano”. Nel dettaglio, il 7,3% delle istituzioni non profit è nato nel biennio 2015-2016, una su quattro fra il 2010 e il 2014 e oltre il 30% fra il 2000 e il 2009, il 6,9% è stato infine creato prima degli anni ottanta

L’età media delle istituzioni non profit varia in relazione alla localizzazione territoriale e, come atteso, alla dimensione occupazionale. Infatti, le istituzioni nate prima del 2000 sono presenti soprattutto nel Nord-est (43,5%) e nel Nord-ovest (39,6%) mentre al Sud prevalgono quelle costituite a partire dal 2010 (41,6%). Rispetto alle risorse umane impiegate, circa due terzi delle istituzioni senza dipendenti è stata costituita a partire dall’anno 2000 mentre le unità con almeno dieci dipendenti sono nate in anni precedenti nel 62,7% dei casi

Nel biennio 2015-2016 le istituzioni non profit aumentano pressoché in tutte le forme giuridiche ma sono le fondazioni a crescere di più (+16,4%) mentre le cooperative sociali mostrano un lieve calo (-3,3%). L’associazione è la forma giuridica che raccoglie la quota maggiore di istituzioni (85,1%), seguono quelle con altra forma giuridica4 (8,2%), le cooperative sociali (4,5%) e le fondazioni (2,2%). I dipendenti aumentano in misura maggiore nelle fondazioni (+10,3%) e nelle cooperative sociali (+3,0%). La distribuzione dei dipendenti per forma giuridica resta piuttosto concentrata, con il 52,7% impiegato dalle cooperative sociali rispetto al 19,1% e al 12,1% di associazioni e fondazioni. La media dei dipendenti, pari a 27,5 tra le cooperative sociali, scende a 0,5 tra le associazioni.

Rispetto al 2015, le istituzioni in crescita sono quelle impegnate nelle attività della religione (+14,4%), delle relazioni sindacali (+5,8%) e dell’ambiente (+6,2%); al contrario, risultano in calo i settori della cooperazione e solidarietà internazionale (-6,5%), della filantropia e promozione del volontariato (-4,7%) e dello sviluppo economico e coesione sociale (-3,3%) (Prospetto 5). Nonostante tali variazioni, la distribuzione per attività economica permane sostanzialmente stabile, con il settore della cultura, sport e ricreazione che raccoglie quasi due terzi delle unità, seguito da quelli dell’assistenza sociale e protezione civile (9,3%), delle relazioni sindacali (6,4%), della religione (4,8%), dell’istruzione e ricerca (3,9%) e della sanità (3,5%). Nel biennio 2015-2016, i dipendenti crescono in misura relativamente maggiore nel settore della religione (+28,2%) ma anche in quello della cultura, sport e ricreazione (+9,1%) mentre diminuiscono nell’ambito delle altre attività (-16,8%), della filantropia e promozione del volontariato (-9,0%) e della cooperazione e solidarietà internazionale (-6,4%). Sebbene meno concentrati delle istituzioni, oltre la metà dei lavoratori dipendenti ricade nell’ambito dell’assistenza sociale (36,4%) e della sanità (22,6%); seguono quelli impiegati nei settori dell’istruzione e ricerca (15,1%) e dello sviluppo economico e coesione sociale (11,9%).

Il ricorso al personale dipendente è maggiore in alcuni settori d’attività. Se l’85,5% delle istituzioni non profit opera senza personale dipendente, nei settori dell’istruzione e ricerca e dello sviluppo economico e coesione sociale le quote si attestano rispettivamente al 41,2% e al 25,8%. In questi settori circa un’istituzione su quattro impiega almeno dieci lavoratori

Sotto il profilo socio-demografico, l’occupazione dipendente nel settore non profit presenta alcune specificità rispetto a quanto si osserva nelle imprese dell’industria e dei servizi

Tra i dipendenti delle istituzioni non profit la quota di donne è molto superiore a quella di maschi (71,9% contro 28,1%) mentre nelle imprese prevale la componente maschile (59,4%). La distribuzione per classe di età è piuttosto allineata tra settore non profit e profit, con oltre il 57,3% dei dipendenti compreso nella classe 30-49 anni (56,9% tra le imprese), il 31,6% in quella 50 anni e più (27,3% nelle imprese) e l’11,1% sotto i 30 anni (15,6% nelle imprese). I dipendenti delle istituzioni non profit presentano livelli d’istruzione superiori rispetto a quelli impiegati dalle imprese: i laureati sono il 31,0% (14,4% nelle imprese) mentre i lavoratori con al più un attestato di scuola secondaria di primo grado (licenza media) sono circa il 25% (34% nelle imprese). Rispetto al paese di nascita non si notano differenze significative, i lavoratori nati in Italia sono superiori all’85% in entrambi i casi. I lavoratori dipendenti per i quali le istituzioni non profit hanno beneficiato di sgravi contributivi sono 40.436 nel 2016 (5,0% del totale). Nel 70,8% dei casi si tratta di fasce socialmente deboli rispetto all’ingresso nel mercato del lavoro (come detenuti, disabili e donne svantaggiate) mentre le imprese hanno usufruito di agevolazioni fiscali principalmente per l’impiego di giovani (65,4%). L’occupazione dipendente nel settore non profit si differenzia da quella delle imprese anche in relazione all’inquadramento professionale, alla tipologia contrattuale e al regime orario (Prospetto 8). I dipendenti delle istituzioni non profit sono prevalentemente inquadrati con la qualifica di impiegati (54,5%) e lavorano con un regime orario a tempo parziale (51,8%) mentre quelli delle imprese sono assunti principalmente con la qualifica professionale di operaio (54,2%) e con un contratto di lavoro a tempo pieno (71,9%). Inoltre, la quota di lavoratori a tempo determinato è lievemente superiore nel settore non profit rispetto a quella osservata tra le imprese (15,5% contro 12,3%).

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Parità di genere, l’Italia migliora

L'Italia migliora in tema di pari opportunità anche se la sua posizione è inferiore alla media europea, e si colloca appena al 14/o posto fra i 28 paesi membri. Le donne italiane sono ancora molto discriminate in casa, nella parità salariale, nell'occupazione. Lo dice l'Eige (European Institute for Gender Equality) che oggi - in una conferenza organizzata con il Dipartimento per le Pari Opportunità - ha presentato il 3/o rapporto sull'indice di uguaglianza di genere 2017 (periodo 2005-2015) che assegna all'Italia un punteggio di 62,1 (su un massimo di 100 che indica la totale parità) contro un 66,2 di media europea (+4%). Il rapporto (che dal prossimo anno diventerà annuale) lancia anche un allarme con la prima stima sul costo sociale che il nostro paese si trova ad affrontare come conseguenza della violenza maschile sulle donne: 26 miliardi di euro l'anno, praticamente una manovra finanziaria. In generale, il nostro paese è quello che ha fatto registrare i maggiori progressi tra gli stati membri, passando in dieci anni dal 26/o al 14/o posto. "Il rapporto - ha commentato Alessandra Ponari, capo del Dipartimento per le pari opportunità - è uno strumento utile per le decisioni politiche, per individuare le priorità su cui bisogna intervenire, e permette di aumentare la consapevolezza sulla parità uomo-donna. Bene i miglioramenti ma dobbiamo proseguire e migliorare ancora". 

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In Italia il 2018 è l’anno più caldo dal 1800

Il 2018 è l'anno più caldo, almeno in Italia, dal 1800. Si è registrata una temperatura superiore di 1,49 gradi rispetto alla media storica e il 2018 si classifica come l'anno piu' bollente dal 1800, anno in cui sono iniziate le rilevazioni. E' quanto emerge da una analisi dellaColdiretti sulla base dei dati Isac Cnr relativi ai primi nove mesi dell'anno in riferimento all'allarme degli scienziati del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, l'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) sul riscaldamento globale. I pericoli dell'Onu riguardano anche la Penisola dove - sottolinea la Coldiretti - si assiste a una decisa tendenza alla tropicalizzazione del clima con il moltiplicarsi di eventi estremi e una tendenza generale al surriscaldamento con la classifica degli anni interi più caldi da oltre due secoli che si concentra nell'ultimo periodo e comprende nell'ordine - precisa la Coldiretti - anche il 2015, il 2014, il 2003, il 2016, il 2007, il 2017, il 2012, il 2001 e poi il 1994. Un fenomeno che - sostiene la Coldiretti - ha cambiato nel tempo la distribuzione delle coltivazioni e le loro caratteristiche con l'ulivo, tipicamente mediterraneo, che in Italia si è spostato a ridosso delle Alpi mentre in Sicilia e in Calabria sono arrivate le piante di banane, avocado e di altri frutti esotici Made in Italy, mai viste prima lungo la Penisola. E il vino italiano con il caldo - continua la Coldiretti - è aumentato di un grado negli ultimi 30 anni, ma si è verificato nel tempo un anticipo della vendemmia anche di un mese rispetto al tradizionale mese di settembre, smentendo quindi il proverbio "ad agosto riempi la cucina e a settembre la cantina", ma anche quanto scritto in molti testi scolastici che andrebbero ora rivisti. Il riscaldamento provoca anche - precisa la Coldiretti - il cambiamento delle condizioni ambientali tradizionali per la stagionatura dei salumi, per l'affinamento dei formaggi o l'invecchiamento dei vini. Una situazione che di fatto - continua la Coldiretti - mette a rischio il patrimonio di prodotti tipici Made in Italy che devono le proprie specifiche caratteristiche essenzialmente o esclusivamente all'ambiente geografico comprensivo dei fattori umani e proprio alla combinazione di fattori naturali e umani.

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